“Borsellino doveva essere ucciso a Marsala. Ma i boss alla fine non vollero farlo perchè sarebbero morte troppe persone. Doveva essere fatto con meno clamore”.
Lo ha dichiarato davanti ai giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta Carlo Zichitella, pentito della famiglia mafiosa di Marsala, nel corso del processo a carico del superlatitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere tra i mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
La versione non è nuova, l’hanno raccontata anche altri pentiti. Stavolta Zichitella fornisce qualche dettaglio in più.
In sostanza già quando Borsellino era a capo della procura di Marsala, Cosa nostra voleva farlo fuori. A tal proposito si tenne una riunione a Mazara del Vallo di vari boss alla quale presero parte anche Francesco D’Amico e Francesco Caparotti. Questi ultimi manifestano delle perplessità agli uomini d’onore di Mazara del Vallo. E per questo vennero eliminati. Zichitella riferisce la vicenda “de relato”, perchè sostiene di averlo saputo da Gaetano D’Amico.
Verbalizza Zichitella: “Non c’era un posto giusto dove si poteva fare. Nel tragitto che Borsellino faceva ogni giorno sarebbero morte altre decine e decine di persone e allora i marsalesi non ci stavano a questa storia e non hanno accettato. Loro dicevano di farlo in un altro posto con meno clamore”.
Zichitella comunque dichiara che l’ultima parola spettava sempre a Totò Riina.
La prossima udienza del processo di terrà il 24 gennaio 2019.
Ma la vera svolta è attesa al processo per il depistaggio delle indagini su via D’Amelio, dove sono alla sbarra tre funzionari di polizia accusati di aver costruito a tavolino il pentito Vincenzo Scarantino, sulla base delle cui verbalizzazioni hanno dovuto scontare 16 anni di galera 7 mafiosi che, però, con la strage di via D’Amelio non c’entravano per niente. Tutti pronti, oggi, ad addossare ogni colpa all’allora numero uno della polizia palermitana, Arnaldo La Barbera, il quale non può più difendersi perchè è morto esattamente 16 anni fa, il 12 dicembre 2002). Quindi accusati i suoi diretti collaboratori di allora.
Ma come al solito sorge spontanea la domanda: potevano non sapere niente dei depistaggi di polizia i magistrati che avevano in mano la bollente inchiesta sulla strage di via D’Amelio? Per la cronaca si trattava di Anna Maria Palma, Carmine Petralia e Nino De Matteo (entrato nel pool a pochi mesi dalla sua costituzione). Staremo a vedere.
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