BANCONAPOLI / VECCHI AZIONISTI-DEBITORI ALL’ASSALTO DELLA SGA

Hanno ricevuto finanziamenti con la pala, contribuito al collasso del vecchio Banco di Napoli e adesso hanno anche la faccia di bussare a soldi.

Succede proprio nel momento finale dell’incorporazione del più vecchio istituto di credito del Mezzogiorno da parte di Intesa Sanpaolo.

E qual è il motivo delle rimostranze dei vecchi azionisti? Il fatto che la società sorta in seguito al crac del Banco e al suo rocambolesco passaggio prima a BNL (per 70 miliardi di vecchie lire) e poi al gruppi IMI-Sanpaolo (per 7000 miliardi dopo appena un anno!), vale a dire la SGA (Società Gestione Attività) è riuscita in un’impresa degna del miglior San Gennaro: recuperare oltre l’80 per cento delle sofferenze, la montagna di crediti incagliati, senza neanche aver finito il suo lavoro. Ma quella massa di rientri che sfiora il miliardo di euro è stata inghiottita con un sol boccone dal governo Renzi, che l’ha indirizzata nelle casse del fondo Atlante, costituito per soccorrere le banche in difficoltà, come Monte dei Paschi di Siena, Etruria e gli istituti veneti.

A questo punto insorgono i vecchi azionisti e chiedono la restituzione delle quote un tempo sottoscritte.

Ecco, fior tra fiore, i principali azionisti-incazzati. La crema di una certa vecchia imprenditoria, o di imprese che hanno saccheggiato le casse dello Stato con l’operazione-ricostruzione per il dopo sisma del 1980.

In pole position i principi napoletani di origine austriaca della dinasty Windisch Graetz: nel 1996 acquistarono – quando il Banco navigava già in pessime acque – l’1,01 per cento delle quote BancoNapoli attraverso due sigle, Sogesco e Venturina seconda. Oggi i fratelli Mariano Hugo e Manfredi Graetz reclamano la bellezza di 75 milioni di euro come risarcimento dal ministero dell’Economia, una rogna in più per il povero Giovanni Tria.

Bussa a danari anche la merchant bank Cragnotti & Partners Capital Investment, nel cui scrigno c’era uno 0,78 per cento di azioni BancoNapoli. Segue poi il gruppo Romanazzi, che faceva capo al costruttore barese Stefano, per anni proprietario del quotidiano il Mattino. Fa capolino anche il gruppo Ligresti, del defunto re delle polizze Salvatore, tramite una delle sigle mattonare del suo ex impero, la Grassetto Nederland Bv.

La lista è lunga e comprende sia big nazionali che locali. Tra i primi ecco spuntare la dinasty dei Ferruzzi, attraverso la Sifi International. E’ poi la volta del re dei polli Luigi Cremonini.

Tra i secondi l’ex re del grano Franco Ambrosio a bordo della sua Italgrani, ottimo amico di ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino, al quale vendè “a prezzo catastale” un super attico a Posillipo; nel 2009 Ambrosio, finito sotto inchiesta, finì ammazzato da alcuni balordi romeni: un processo ancora in corso e un giallo più fitto che mai. Eccoci ad altri amici del cuore di ‘O Ministro, ossia i titolari dell’Icla, Agostino Di Falco e Massimo Buonanno, i re del post sisma in Campania e in tutto il settore degli appalti pubblici per un quindicennio. E ancora un altro amico di casa Dc – equamente suddiviso tra Pomicino e Vincenzo Scotti, pluriministro scudocrociato, dalla Protezione civile agli Interni – ossia Enzo Giustino, deceduto sei anni fa: saranno gli eredi a reclamare le spettanze. Last but not least, Metronapoli, la società che sta portando avanti un progetto decollato 42 anni fa, quello delle linee metrò a Napoli, tra colossali scempi ambientali, sperperi arcimiliardari e poi arcimilionari e interminalibi lungaggini.

Lorsignori bussano a danari per vedersi restituire le loro quote d’un tempo: ma quanti fondi hanno ricevuto dal Banco di Napoli negli anni di vacche grasse? Li hanno poi restituiti? Non varrebbe la penna di far tutti i calcoli?

Se il Banco ha fatto quella fine, svenduto per un piatto di lenticchie alla Banca Nazionale del Lavoro che doveva tappare i suoi giganteschi buchi (provocati dalla filiale di Atlanta che finanziava strani traffici internazionali), è proprio a causa delle voragini provocate da un sfilza di fidi facili, concessi senza le opportune garanzie e solo per motivi di alta “clientela”. A quanto ammontano i buchi causati dai fidi facili ad Italgrani? O al gruppo Buontempo? Oppure al gruppo casertano Maggiò?


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