MONNEZZA D’ORO / TRAFFICI TOSSICI, PERCHE’ SI SONO PERSI 30 ANNI ? 

Anche i bambini delle classi elementari ormai sanno che uno degli affari principali della camorra, da anni e anni, è quello dei rifiuti.

Ebbene, il 14 novembre Il Corriere del Mezzogiorno – costola partenopea del Corsera – e Repubblica Napoli hanno il coraggio di titolare: “L’ombra dei clan sui rifiuti, venti indagati”, e “Il grande affare dei rifiuti, inchiesta della procura su appalti e smaltimento”.

Come scoprire, dopo trent’anni, neanche l’acqua calda, ma appena tiepida.

Al centro dell’inchiesta i soliti amministratori locali (soprattutto del Casertano), piccoli faccendieri, ovviamenti camorristi, titolari di società private e pubbliche per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.

Lo stesso, identico copione cominciato “ufficialmente” a Napoli nel 1990, quando il Comune – all’epoca assessore alla monnezza era il Psi Antonio Cigliano – approvò e varò la privatizzazione del servizio di raccolta per i vari quartieri della città, suddivisi in lotti, assegnati a consorzi d’imprese, consorzi nei quali dominavano le sigle della camorra: un gioco da ragazzi, questo lotto a me, quello a te, la torta allora miliardaria venne subito spartita, tanto per ingrassare meglio i business della malavita organizzata e lasciare la città ugualmente sporca.

Quel modello killer è stato man mano adottato dalla gran parte dei comuni dell’hinterland, già infestati dalla camorra, che regolarmente esprimeva i suoi consiglieri comunali. Altri giochetti da ragazzi aggiudicarsi lotti e appalti e spartirsi tutto il territorio del densissimo hinterland provinciale, popolato da ben 92 comuni, per oltre la metà dei casi – nel corso degli anni – sciolti per camorra o sotto i riflettori della Dda.

L’arresto di Francesco Schiavone detto Sandokan

Negli anni ancora seguenti è stata la volta della regolare infiltrazione camorristica nelle partecipate comunali addette appunto al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, spesso e volentieri dei piccoli grandi colossi, in grado di macinare monnezza e milioni di euro con estrema facilità.

Ora il copione si ripete. E – incredibile ma vero – la fonte principale di “illuminazione” per gli inquirenti sono nientemeno che le dichiarazioni rese da Nicola Schiavone, lo zio di Francesco Schiavone, alias Sandokan.

La prima verbalizzazione di Francesco Schiavone, però, è di oltre vent’anni fa, risale al 1976, in una caserma dei Carabinieri a Castello di Cisterna: presente alla verbalizzazione anche l’allora colonnello Vittorio Tommasone (tornato alla ribalta delle cronache per il caso Cucchi).

Come mai quel preziosissimo verbale d’interrogatorio rimase ad ammuffire nei cassetti quando poteva essere utilissimo per individuare e stroncare sul nascere quegli affari? Vi erano indicati i luoghi precisi degli sversamenti tossici, i nomi dei clan, le imprese coinvolte. Perchè non venne utilizzato subito, non solo per allargare le indagini ma soprattutto per assicurare alla patrie galere quei malavitosi che hanno avvelenato la Campania per due decenni e passa?

Quatto anni fa Schiavone riprende a parlare, si trova in una località protetta ma decide di vuotare il sacco con diversi giornalisti; e riparla con i magistrati. Dopo qualche mese cade “incidentalmente” da un pero del suo orto. Nessuna inchiesta ha accertato le modalità della caduta.

Così come nessuna inchiesta se ne è mai fregata di far luce sulla stranissima morte del magistrato, Federico Bisceglia, che più tutti si era esposto sul fronte dei traffici d’oro della monnezza: con lui stava verbalizzando di nuovo anche Schiavone. Il magistrato muore in un incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria, la dinamica del sinistro fa acqua da tutte le parti, una donna che viaggiava con lui passerà due giorni in ospedale e non verrà mai fatta verbalizzare.

I misteri della monnezza dorata che oggi lorsignori “scoprono”…


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