Maxi maquillage nel gruppo Rocca, una delle potenze non solo a livello italiano, ma anche internazionale. E’ stato infatti da poco varato un riassetto in grado di rafforzare e organizzare meglio le tante società del gruppo, attorno ad un paio di casseforti impenetrabili.
Da un paio d’anni la magistratura milanese sta cercando di trovare la “combinazione” di San Faustin, la storica cassaforte di famiglia, acquartierata in Lussemburgo. Moltissimi i suoi soci, ma pochi quelli che detengono grossi pacchetti azionari. I pm di Milano stanno cercando la chiave per decrittarne i misteri, dal momento il capo d’imputazione è da non poco, “corruzione internazionale”. Come più volte la Voce ha dettagliato, l’inchiesta si collega all’altra sulle super mazzette per l’affare Petrobras in Brasile, dove i magistrati locali da anni stanno portando avanti “Lava Jato”, che ha condotto all’impeachment dell’ex presidente Dilma Rousseff, a 9 anni di galera per Ignacio Lula da Silva e alla decapitazione di mezza classe dirigente verdeoro.
In particolare, gli inquirenti milanesi starebbero indagando sul coinvolgimento sia di Techint che di Tenaris nell’affare Petrobras, dopo le verbalizzazioni di un “manager pentito”, il quale avrebbe parlato di mazzette uscite dal Lussemburgo in direzione Brasile. Sono coinvolte nella stessa inchiesta anche Eni e la controllata (al 70 per cento) Saipem (il restante 30 per cento fa capo alla Cassa Depositi e Prestiti).
LE DUE CASSEFORTI ZEPPE DI MISTERI
Ma ecco che ora spunta la nuova super cassaforte a cui farà capo la stessa San Faustin: si tratta di Rocca & Partners, una fondazione avvolta nel mistero e regolata dal diritto olandese, stavolta presieduta da Paolo Rocca, fratello di Gianfelice.
Nell’immensa galassia spuntato altre due nuove sigle: Nova Tehol, sotto il cui ombrello sono stati radunati svariati gioielli di famiglia (o almeno significative quote), come Techint Industrial Corporation e le sigle che macinano miliardi di euro in campo sanitario, dal maxi gruppo Humanitas al fresco gruppo Ecas. Movimenti anche intorno alla perla, il San Raffaele, che negli ultimi mesi ha messo a segno due colpi, acquistando le società Static (specializzata in diagnostica e convenzionata con il servizio sanitaro nazionale), e l’Immobiliare Mirasole, tanto per diversificare gli utili nell’edilizia.
Non dimentichiamo che i Rocca sono da sempre interessati al futuro in chiave scientifico-mattonara del super polo che nascerà sulle aree dell’ex Expo di Milano: un vero pallino di Gianfelica Rocca, che su “Technopole” ha già affilato compassi & cazzuole.
E’ poi la volta di Teur, sbocciata da un altro super groviglio: il 100 per cento delle sue azioni fa capo all’ennesima sigla olandese della story, Arotec Investments, che è riconducibile integralmente a San Faustin, il vero pozzo dei misteri.
Insomma, interessi stratosferici in mezzo mondo, compresa la terra madre, l’Argentina, dove il patriarca Agostino Rocca, sotto i benevoli auspici di Benito Mussolini, sbarcò per coltivare affari e ricchezza. E fondare Tenaris, il colosso dell’acciaio a livello internazionale, tra le prime società argentine per fatturato e utili. Spesso e volentieri sfruttando la manodopera locale, per cui sono non infrequenti le proteste dei sindacati.
ROCCA-SCARONI, 30 ANNI FA IN SOMALIA CON TECHINT
Il rafforzamento di Techint, la storica corazzata impiantistica del gruppo (coinvolta appunto nella maxi inchiesta brasiliana “Lava Jato” nonché in quella avviata dalla procura di Milano), è avvenuto a fine anni ’80, quando a bordo c’era anche l’amico di una vita, Paolo Scaroni, poi top manager di Enel ed Eni, oggi presidente del Milan come espressione del super fondo statunitense Elliott.
Cugino della socialista Margherita Boniver, Scaroni (con Gianfelice Rocca) tracciò per anni la via di Techint verso la trasformazione da piccolo gruppo lombardo in una vera corazzata. E una delle svolte arrivò dagli affari sbrigati in Africa, soprattutto in Somalia.
La Voce ha più volte ricordato la storia di un’inchiesta condotta per il Corriere della Sera, una quindicina d’anni fa, da Massimo Alberizzi, il quale riuscì a dettagliare tutti gli affari portati avanti da Techint nel Corno d’Africa. La fonte era, anche stavolta, un “manager pentito” di Techint, il quale in tribunale (nel corso di un processo per diffamazione) ne raccontè di cotte e di crude circa la disinvoltura dei vertici di Techint sul fronte di quegli affari bollenti: a quanto pare traffici di rifiuti, letteralmente “asfaltati” ed utilizzati per realizzare l’autostrada “Bosaso-Mogadiscio”. Sullo sfondo, le ingentissime risorse per la cooperazione. Rifiuti & soldi, un mix esplosivo.
A quanto pare questo era uno dei fronti delle inchieste di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E infatti Douglas Duale, l’avvocato del giovane somalo detenuto ingiustamente per 16 anni in galera e solo pochi mesi fa liberato, ci mostrò una serie di fotografie che immortalavano una serie di fusti lungo la costruenda strada di Bosaso. Fusti contenenti, di tutta evidenza, sostanze altamente tossiche.
Come mai nessuno ha indagato con maggiore cura su quella strada dei misteri, su quella pista dei veleni?
Intanto, il caso Alpi rischia di essere presto archiviato, dopo le reiterate richieste del pm Elisabetta Ceniccola e del capo della procura romana Giuseppe Pignatone. Cosa deciderà, entro fine anno, il gip Andrea Fanelli incaricato di pronunciare l’ultima parola?
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