Mondo bancario in fibrillazione sul fronte delle fusioni e delle aggregazioni.
Ma le opinioni tra gli addetti ai lavori sono diverse. Secondo alcuni il risiko bancario e le grandi manovre avverranno solo tra fine 2019 e inizio 2020, perchè molti istituti devono ancora risolvere problemi interni prima di presentarsi sul mercato in modo ‘decente’: in primo luogo la vendita della “spazzatura”, ossia dei cosiddetti Npl, i “non performing loan” di cui sono zavorrati ancora tanti istituti di credito. Secondo altri, invece, alcune operazioni andranno in porto in tempi anche brevi, vuoi per forza di cose, vuoi perchè si tratta di manovre già avviate da tempo e quindi ormai “mature”.
Procediamo con ordine e partiamo dall’Italia. Dove il tassello bollente è rappresentato dal Monte dei Paschi di Siena. Dopo gli anni delle vacche grasse e poi la crisi galoppante che ha portato a sfiorare il crac, non sono bastate le iniezioni da miliardi di euro da parte dello Stato per recuperare una buona salute. Per cui adesso le strade sono solo due: un definitivo massiccio intervento dello Stato per una vera e propria nazionalizzazione della banca (attraverso la Cassa Depositi e Prestiti), oppure la fusione con un altro istituto di credito di grosso livello, italiano o straniero.
La prima ipotesi – anche dopo le ultime dichiarazioni politiche – pare definitivamente sfumata. Troppo massiccio sarebbe il peso che lo Stato dovrebbe affrontare, in una situazione dove il nostro bilancio è passato ogni giorno ai raggi x dalla Ue. Resta una fusione: probabile che il governo caldeggi quella con un grosso istituto di casa nostra, per dar vita a un forte gruppo, in grado di competere sul mercato.
Da non escludere, però, un intervento dall’estero, ad esempio una banca che goda di ottima salute e caso mai con Mps pensi anche di poter fare un buon affare, ossia di acquistarla a prezzi di “saldo”: potrebbe trattarsi di Jp Morgan, la banca Usa dalla liquidità stratosferica (ha un capitalizzazione da 380 miliardi di dollari), che si è già occupata del “caso Mps” ai tempi del governo Renzi, ma non se ne fece niente. E’ arrivata l’ora? Sul fronte europeo, ci potrebbe essere l’opzione Santander, che è in ottima salute (70 miliardi di euro di capitalizzazione), ha voglia di comprare e allargarsi ed è amministrata da un italiano, Andrea Orcel, di freschissima nomina.
Passiamo al gruppo Unipol, che ha già in mano il 19 per cento di BPER (la Banca emiliano romagnola) e non vede l’ora di poterne fare un sol boccone. Questo permetterebbe al colosso assicurativo di rientrare a pieno titolo nel mondo bancario, dopo il mezzo fallimento di Unipol Banca, affogata sotto una montagna di “sofferenze” che però Unipol ha provveduto a smaltire ormai quasi per intero. A quel punto, Unipol può puntare ancora più in alto, cioè ad una fusione con un istituto di pari peso per dar vita ad una realtà competitiva sul mercato. Su tutto, però, pesa l’incognita sul rinvio a giudizio del numero uno, Carlo Cimbri, per l’acquisto del gruppo SAI dalla famiglia Ligresti.
Per ora alla finestra Unicredit, che però sta lavorando sotto traccia per un’acquisizione importante: un po’ come nel mercato del calcio, a volte si aspetta fino all’ultimo momento per mettere a segno il colpaccio.
Passiamo all’estero. In Germania dovrebbe essere giunta in dirittura d’arrivo la fusione tra Deutsche Bank, l’istituto storico che però non naviga in ottime acque, e Commerzbank, per dar vita ad un mega polo del credito capace di fare la voce forte in Europa. Nei mesi scorsi si era ipotizzata una fusione di Commerbank proprio con Unicredit, ma l’operazione non è andata in porto.
Francesi per ora fermi. Guardano con interesse al mercato italiano (ricordiamo l’operazione BNL-Paribas). Tra i più attivi nella caccia a nuovi partner, comunque, si segnala il dinamico Credit Agricole.
Sul fronte Usa, come detto, gli istituti di credito scoppiano di salute, con degli indici di produttività mai raggiunti. E ben superiori al 10 per cento massimo dei nostri. Quindi uno shopping non sarebbe difficile, vista la potenza di fuoco che le banche a stelle e strisce possono mettere in campo. Potrebbe essere un modo, per Donald Trump, di “aiutare” l’Italia e caso mai sottrarla al corteggiamento di Vladimir Putin, che si è detto disposto – ad esempio – a comprare i nostri titoli di Stato.
Osserva un analista finanziario. “Dobbiamo evitare nel modo più assoluto una campagna di colonizzazione nel nostro Paese. Bussano gli americani e ci comprano una banca, bussano i tedeschi e ce ne comprano un’altra. Non è un discorso nazionalistico, ma dobbiamo saper tutelare la nostra autonomia, come nazione che ha una sua struttura economica ancora forte. Quindi, è auspicabile che in tempi medio-brevi si creino due o tre aggregazioni significative da noi. Il primo problema da risolvere, evidentemente, è quello del Monte dei Paschi, che si trascina da troppi anni e ha inghiottito un mare di risorse: ci vuole un’aggregazione forte dentro il nostro sistema bancario. Poi, molte piccole banche devono riunirsi, altrimenti spariranno: si possono creare due o tre poli al massimo, caso mai uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud. L’unione, in questo caso, deve fare la nostra forza contrattuale, per rispondere con voce alta all’Europa”.
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