MAFIE / SEMPRE PIU’ FORTI. IL GOVERNO GIALLOVERDE SE NE FOTTE E I CONVEGNI FANNO IL SOLLETICO

C’era bisogno di un mega convegno organizzato dalla solita Libera di don Luigi Ciotti per farci scoprire che gli italiani sanno poco o niente della mafia. E poco sanno anche coloro che intendono, a parole, combatterla.

Don Luigi Ciotti

Un sondaggio lanciato da Libera tra 10 mila cittadini fa davvero venire i brividi. Per la gran parte degli intervistati la mafia è un fenomeno mondiale e da noi è localizzato al 90 per cento al Sud. Siamo tornati ai tempi di Lucky Luciano e delle lupare siciliane o calabresi. Un grado di consapevolezza praticamente pari a zero.

Ma c’è anche l’acqua calda che viene scoperta dai professionisti dell’antimafia. Per don Ciotti “la mafia è diventata imprenditrice”: quando è notorio che mafia, camorra e n’drangheta hanno cominciato a farsi impresa almeno dall’inizio degli anni ’80, quando si passa dal modello cutoliano – ad esempio – in Campania e quello dei Casalesi che comincia a sbocciare.

I GRANDI BUSINESS DELLE MAFIE SPA 

Sono i grandi affari che fanno lievitare le mafie e diventare vere e proprie holding, altro che piccole imprese!

Sono i lavori per realizzare la terza corsia sulla Roma-Napoli – fine anni ’70 – il primo assaggio, con i clan di camorra pronti a scendere sul terreno di gioco.

E sempre sull’asfalto nasce l’altro business “eterno”, i cantieri per la Salerno-Reggio Calabria, suddivisi scientificamente tra clan e cosche di camorra e ‘ndrangheta per tutto il lunghissimo tracciato.

C’è poi il gran boccone del Dopo terremoto in Campania e Basilicata che fa da spartiacque, con i 70 mila miliardi (in realtà sono circa il doppio) ufficiali serviti per la Ricostruzione e – secondo non poche analisi, a cominciare dal famoso studio del sociologo italoamericano Rocco Caporale – ben un terzo è finito nella mani della camorra. Che quindi cresce a dismisura.

Amato Lambert

Poi l’altro gran piatto dell’Alta Velocità, che comincia a bollire in pentola a fine anni ’80, per maturare subito all’inizio ’90: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino drizzano subito le antenne e intuiscono il sistema di imprese di copertura e mafie, unite nell’assalto ai miliardi dello Stato. Lievitati dai 27 mila iniziali a circa 150 mila a fine anni ’90 (come hanno denunciato Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel loro “Corruzione ad Alta Velocità” del 1999) e oggi a chissà quanto. Perchè non è stata mai seguita la pista “mafia & appalti”, in particolare quelli per la Tav, nelle indagini sulla strage di via Capaci?

Imprese criminali che, da almeno 35 anni, hanno raffinato i loro metodi, invaso i subappalti, si sono servite delle maglie larghe delle concessioni, hanno subito provveduto a riciclare a mani basse.

E’ qui che nasce, già a fine anni ’80, in concomitanza con il crollo del muro di Berlino, la fulminea penetrazione nei paesi dell’Est e in tanti altri: per fare un solo esempio, la Scozia, meta preferita Aberdeen per il clan La Torre di Mondragone, come denunciato dal presidente dell’Osservatorio sulla camorra (al quale collaborava anche Giancarlo Siani) Amato Lamberti a inizio anni ’90.

Sottolinea oggi il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho: “il problema grosso è l’intreccio tra mafia e corruzione”. Ovvio. E poi sottolinea il disimpegno totale della politica, presa su altri fronti.

Altro che disimpegno. La politica, anche quella “nuova”, se ne frega di combattere le mafie, di stroncare i suoi affari, di elaborare politiche che siano di serio contrasto: bisogna tornare alla Rognoni-La Torre d’inizio anni ’80 su sequestri e confische per trovare una legge che intendeva sul serio contrastare le mafie sul terreno più delicato, per colpirle al cuore: gli interessi economici.

E invece, paradossalmente, ancora oggi non sappiamo far funzionare neanche quella benedetta legge. Da un lato i tribunali prima sequestrano poi non confiscano e danno vita a indecenti balletti di patrimoni illeciti che fanno il via vai. Dall’altro la gestione dei beni confiscati – quando miracolosamente dopo anni e anni si arriva alla meta – finiscono nel calderone dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, che funziona in modo farraginoso e raramente riesce nei suoi scopi istituzionali, cioè rendere produttiva quella azienda, quel terreno, quel supermercato per restituirli alla loro vita normale.

C’è poi il paradosso – che raccontano alcuni creditori – di soldi che possono rimanere incagliati per sempre. Crediti che un’impresa vantava nei confronti di quella sequestrata: il processo può andare avanti per anni e poi la stessa confisca, quando per prodigio arriva, può essere revocata.

Una montagna di problemi che la politica non vuole risolvere, perchè per molti eletti – è stato sempre un classico – il cordone ombelicale con soggetti quanto meno in

Federico Cafiero de Raho

odore di mafia è inscindibile e il voto di scambio è stato e ancora è una prassi inestirpabile.

ZERU TITOLI CONTRO LE MAFIE NEL PROGRAMMA GIALLOVERDE

Ma abbiamo letto nel programma gialloverde qualche cosa sul reale contrasto alle mafie, che quanto meno uccidono tanto più fanno affari?

Trovate forse traccia, anche andando con il lanternino, nel programma di governo per trovare norme che colpiscano al cuore le mafie? E soprattutto i riciclaggi, il vero strumento che le fa ingrassare e rendere eterne, organiche ormai al tessuto statale con il quale fanno tutt’uno?

Macchè, neanche un granello di sabbia da mettere nel motore delle mafie che viaggiano più che mai spedite, coprendo tutto il Paese capillarmente, globalizzandosi, entrando in banca, arruolando eserciti di colletti bianchi.

Come mai Luigi di Maio e Matteo Salvini, oltre al premier Giuseppe Conte, se ne fottono delle mafie? La pensano come gli italiani, ormai sono “un fenomeno mondiale” che non ci tocca più? Che siamo ancora alle lupare e ai pizzini?

E intanto lanciano i salvagenti giusti ai capitali scudati, fanno il solletico ai grandi evasori e addirittura lisciano il pelo a riciclatori e autoriciclatori.

E’ la nuova politica, bellezze!


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