«La vittima o i suoi congiunti non devono sopportare il danno morale di vedere l’autore del male inferto vivere con indifferenza accanto senza che sia stato attivato un processo di mediazione o un percorso di ravvedimento e di pacificazione». Parola di Francesco Cozzi, procuratore capo di Genova, che un anno fa, intervistato dai battaglieri volontari dell’AIVM (Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia), metteva in guardia sulle cause della mala giustizia.
Peccato però che sulla tragedia del 14 agosto a Genova, ad oggi, non ci sia ancora nemmeno un solo iscritto nel registro degli indagati. E che i familiari delle 43 vittime nutrano ancora il timore di «vedere l’autore del male inferto vivere con indifferenza» accanto a loro.
Sarà anche per questo che adesso i giornali danno i numeri a proposito della tragedia di Genova e del crollo del ponte Morandi.
Titola Repubblica: “Ecco i tredici nomi di chi sapeva che il ponte era in pericolo”. Ricalcola il Corriere della Sera: “Genova, gli indagati per la strage in una lista con trenta nomi”.
Preferiamo non andare oltre con ulteriori macabre lotterie.
Più trascorrono i giorni, però, e più si confonde la matassa. Già oggi il numero degli “indagati” dovrebbe essere stracerto, preciso, non indecifrabile, né tantomeno un mistero. Boh.
Nel bel mezzo comunicazioni che vanno e vengono, fax misteriosi, missive poco chiare: insomma una trasparenza che tra i massimi organismi istituzionali dello Stato, come sono il ministero delle Infrastrutture e Anas (escludendo i privati concessionari), lo stesso Provveditorato alle Opere Pubbliche va a farsi letteralmente benedire (o maledire, ricordando le 43 vittime di tante connection & complicità assassine).
TRA NUMERI AL LOTTO E CARTE CHE SPARISCONO
In un carteggio intercorso tra Ministero e Autostrade per l’Italia presumibilmente del 2016 viene ammessa in modo esplicito “una perdita di tempo nell’approvazione del progetto di manutenzione straordinaria”.
Non è finita. Perchè a fine ottobre 2017 Autostrade invia ad Infrastrutture una importante documentazione, che solo ad inizio febbraio viene smistata al Proveditorato, il quale ci impiega ben quattro mesi di tempo per ripassarla al ministero. I folli tempi della burocrazia italiana, che sovente si trasformano in tempi killer. Succo del discorso: solo a metà giugno il ministero si sarebbe reso conto che qualcosa non andava, che al ponte Morando qualcosa non funzionava e andava preso qualche provvedimentuccio. Ma con calma: è estate….
Nella lunga lista di nomi tra i possibili “indagati” pubblicata dal Corriere della Sera (la più lunga) ovviamente fanno capolino i pezzi da novanta più volte balzati agli onori (meglio, ai disonori) delle cronache di questi giorni, come i vertici di Autostrade Giovanni Castellucci, amministratore delegato, oppure il presidente, Fabio Cerchiai, nonché quello dell’ex ministro per i Lavori Pubblici Paolo Costa, oggi al vertice della Spea, la società che fa capo al gruppo Atlantia dei Benetton e si occupa di sovrintendere a tutte le manutenzioni autostradali: un piccolo-grande conflitto d’interessi, ma nel mare nostrum (e super magnum) di maxi conflitti passa in cavalleria.
Tra i nomi citati ce ne sono alcuni sui quali la Voce ha avuto modo di scrivere, soprattutto all’epoca di Antonio Di Pietro ministro di Lavori pubblici e Infrastrutture, e autentico dominus di Anas, al cui vertice sedeva il maggiordomo Pietro Ciucci, che però riusciva a beccarsi uno stipendiuccio da non poco, tra presidenza Anas e incarico di supervisore per il realizzando Ponte sullo stretto di Messina (arieccoci): 1 milione e mezzo di euro. Alla faccia della spending review.
Per motivi cronologici partiamo da Mauro Colletta, che il Corsera definisce “ex direttore generale della vigilanza”, mentre Repubbica etichetta come “responsabile della divisione analisi e investimenti”. Cambia poco, sta di fatto chè è stato un dei ras incontrastati dell’Anas in quegli anni (dal 2007 in poi).
Tutto comincia dall’inchiesta “Robin Hood” condotta dai pm milanesi Giovanna Ichino e Corrado Carnevali. Si alza il coperchio su un pentolone di tangenti e mazzette senza fine sull’Anas, dove non si muove appalto, progetto, consulenza o altro senza che “lorsignori” non vogliano.
UNA GOLA PROFONDA SVELA TUTTO IL MARCIO DELL’ANAS
A corroborare l’inchiesta un autentico dossier preparato da un ex funzionario, Antonio Lombardo, che, demansionato dalla stessa Anas, decidere di prepensionarsi, si rivolge alla magistratura, vuota il sacco e mette nero su bianco una caterva di denunce, carte, documenti molto dettagliati e in grado di dimostrare tutte le corruttele in campo, e il taroccamento delle singole gare d’appalto, soprattutto al nord. In contemporanea partono altre inchieste su asfalto, strade & affari, condotte dai pm Fabio Napoleoni e Cludio Gittardi. Un’indagine molto complessa che coinvolge anche l’allora governatore della Lombardia Roberto Formigoni.
“Ma torniamo a Robin Hood e dintorni – come scriveva la Voce nell’inchiesta di maggio 2007 – Tira in ballo l’aeroporto di Malpensa, diverse strade statali in Lombardia e in Calabria, lavori nella galleria del Col di Tenda. Nella rete finiscono imprese di mezza Italia, epicentri ancora la Lombardia, la Campania, la Calabria e le Marche; e i compartimenti Anas di Milano, Torino e Palermo”.
Aggiungeva la Voce: “Tra gli arrestati ‘eccellenti’ c’è l’architetto Giovanni Proietti, all’epoca capo compartimento Anas a Palermo, prima in servizio a Milano, quindi la sospensione, il rientro a Roma, un periodo a Napoli, per tornare trionfalmente nella capitale ai vertici dell’azienda”.
Ecco un report dell’Avvenire del febbraio 2003: “l’ultima tangente porta la data del 14 gennaio scorso. 20 mila euro pagati da un’imprenditrice milanese al dirigente amministrativo dell‘Anas di Palermo, Giovanni Proietti, per aggiudicarsi la progettazione degli impianti elettrici di gallerie artificiali all’aeroporto di Punta Raisi. La percentuale? Il solito 5 per certo. Il meccanismo era in vigore da svariati anni. Il fulcro della corruzione era il compartimento Anas di Milano, le mazzette venivano spartite secondo un meccanismo che andava dal capo dipartimento passando per ogni sottoposto e arrivando fino all’usciere”.
Che fine avrà mai fatto quel processo? Al solito sepolto fra gli sterminati faldoni giudiziari del tribunale di Milano che rischia di tornare – come Roma ormai da mesi – un vero porto delle nebbie?
Continuava allora la Voce: “Al vertice aziendale Anas siede l’ingegner Michele Minenna, che occupa la poltrona di condirettore generale. ‘A un passo da Dio’, come direbbe Antonio Di Pietro, che in questo modo etichettava il suo imputato eccellente di Mani Pulite, Francesco Pacini Battagia, l’uomo di tutti i segreti Enimont e sull’Alta Velocità, uscito da Tangentopli come un viola mammola…”. Come Di Pietro volle.
“A un passo da Dio” – per continuare il discorso Anas – ovvero dal presidente di allora, Pietro Ciucci, che era contemporaneamente al vertice della società creata per realizzare il ponte sullo Stretto, e da qui il super emolumetno da 1 milione e mezzo di euro!
Nella seconda puntata dell’inchiesta Voce, di luglio 2007, si parlava invece soprattutto di Mauro Colletta. E, of course, faceva riferimento ad un’altra grossa inchiesta sui soliti appalti stradali portata avanti dalla procura di Torino, in quel caso pm Cesare Parodi e Paolo Toso.
Ecco cosa ricostruiva la Voce nel reportage “Monnezza Way”, significativo anche il il sottotitolo: “Ua bufera di inchieste giudiziarie investe la società Autostrade, impegnata in appalti milionari e fresca di restyling dopo il varo del nuovo organigramma di vertice, capeggiato da Pietro Ciucci e caldeggiato dal ministro Antonio Di Pietro”.
ARIECCO MARCELLINO PANE & MILIONI
Rileggiamo in rapida carrellata alcuni passaggi salienti di quell’inchiesta: “E’ via cavo che sono passate tante conversazioni calde a proposito di appalti e favori a molti zeri: al centro l’Anas e i suoi lavori autostradali, una serie di ‘amici’ e i rituali politici di riferimento. L’inchiesta portata avanti dai pm torinesi ha prodotto i suoi primi effetti: la richiesta di rinvio a giudizio per una quindicina di vip fra i quali un pezzo da novanta del mattone, Marcellino Gavio, e il direttore generale dell’Anas, Mauro Colletta. Al centro delle indagini una sfilza di gradi opere che tirano in ballo anche le commesse olimpiche per Torino 2006 e i lavori ferroviari Torino-Lione”. Arieccoci ai sempre contestati lavori per la Tav.
Sembra lo stesso, identico copione di oggi per la tragedia di Genova. Niente è cambiato.
E allora, per la prima volta, fece capolino anche la Monnezza killer – da qui il titolo – che gli investigatori scoprirono ben mescolata a materiali bituminosi, cemento, calcestruzzo e tutto quanto serve per realizzare la perfetta autostrada: ottima per spendere un decimo di quanto previsto dai capitolati d’appalti, ottimo per far guadagnare a palate non solo imprenditori taroccati e camorristi, ma anche una sfilza di colletti bianchi che vanno dai collaudatori agli ingegneri e a tutta la rituale sfilza di consulenti.
Raccontavano i tecnici Anas: “Spesso sui nostri cantieri vediamo volteggiare stormi di gabbiani, segno evidente che c’è qualcosa di succulento sotto a quei materiali”.
Un sistema, inaugurato oltre 10 anni fa, poi diventato una prassi, visto che per fare un solo esempio uno dei capi d’imputazione più pesanti degli inquirenti fiorentini a carico delle imprese che stanno effettuando i lavori per la Tav nello strategico nodo di Firenze, è quello dell’interramento di rifiuti tossici e pericolosi proveniente dall’area casertana, il feudo dei Casalesi.
E il presiedente di Anas Ciucci, all’epoca, 2007, ebbe la faccia di bronzo di dichiarare, davanti al ministro Di Pietro che veniva ad inaugurare, proprio quel giorno, l’opera: “La nostra società in questa vicenda è parte danneggiata, e continua a prestare la sua collaborazione con magistratura e guardia di finanza. Ho nominato anche una commissione d’inchiesta, guidata dall’ispettore generale dell’Anas Vittoriano Picca”. Ma ci faccia il piacere, avrebbe detto Totò.
I soliti autori degli scempi e dei maxi sperperi che hanno addirittura la faccia di bronzo di costituirsi parti civile e trasformarsi, d’incanto, in gigli candidi.
AGGIORNAMENTO
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DALL’ARCHITETTO GIOVANNI PROIETTI
ll mio processo, scaturito dall’inchiesta detta Robin Hood, si è concluso dopo 7 penosi anni (!!!), dal mio arresto in carcere, con sentenza di 1° grado definitiva nel giugno 2010. Il Tribunale di Palermo mi ha assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste”.
Lo stesso Tribunale ha deciso a mio favore un risarcimento “per ingiusta detenzione” di € 40.000, che ho devoluto e sto devolvendo in beneficenza.
Spero di aver chiarito una grave vicenda che ha segnato me e la mia famiglia per anni e che ancora mi amareggia.
Architetto Giovanni Proietti
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