Nella monumentale sentenza sulla Trattativa Stato Mafia fanno capolino le figure di un paio di pezzi da novanta che hanno amministrato la giustizia in Italia. Il primo è Liliana Ferraro, il magistrato che andò ad occupare una poltrona bollente, sulla quale prima di Capaci sedeva Giovanni Falcone, in qualità di responsabile degli Affari Penali al ministero della Giustizia, all’epoca retto dal socialista Claudio Martelli, che subito riuscì a cucire un ottimo rapporto con la Ferraro.
Il secondo big è Luciano Violante, l’inossidabile uomo scolpito nelle tavole della Legge targate Pci-Pds-Ds-Pd.
Leggiamo un passaggio dell’articolo di Giovanni Bianconi uscito il 21 luglio sul Corsera: “La vicenda delle ‘coperture politiche è racchiusa nelle informazioni allora giunte al ministro della Giustizia Martelli attraverso Liliana Ferraro, che dopo Capaci aveva preso il posto di Giovanni Falcone; al segretario generale della presidente del Consiglio Fernanda Contri: al presidente della Commissione antimafia dell’epoca, Luciano Violante”.
E aggiunge: “La sentenza parla di ‘eclatanti dimenticanze‘ della Ferraro, e sottolinea “i silenzi pluriennali sia di Violante che di Contri”.
Come è mai possibile che una mente così ferra e ferrata come quella della Ferraro, una super esperta tra l’altro in elettronica, già all’epoca, e in informatizzazione dei procedimenti gudiziari, potesse far così clamorosamente cilecca?
Appena sbarcato da Marte anche Violante, il quale sostiene, stavolta in una intervista a Repubblica, di “avere più di una perplessità sulla cosiddetta trattativa. Davvero non ho ancora capito chi l’avrebbe fatta”. Ci risiamo con lo smemorato di Collegno?
Chiede Salvo Palazzolo a Violante: “I giudici scrivono che rivolgendosi a lei, ma anche all’allora direttore degli affari generali Liliano Ferraro, Mori (all’epoca il colonnello a capo del Ros, ndr) svelò la vera natura dei contatti con Vito Ciancimino: non il rapporto con un confidente, ma una trattativa in cerca di copertura politica. Cosa le disse Mori?”.
“Mi spiegò che aveva un’interlocuzione con Ciancimino, gli chiesi subito se avesse informato l’autorità giudiziaria. Mi rispondeva che intendeva avvalersi della facoltà di gestire un confidente, dunque ritendendo riservato il nome. Disse pure che era una cosa più politica che giudiziaria”.
Ultima domanda: “E non ebbe il sospetto che dietro quel dialogo ci fosse una trattativa con un pezzo della mafia?”.
Risposta: “Non ho mai avuto sentore di una trattativa”. Neanche un odorino?
In un eccellente libro sullo sfascio giustizia (il titolo è ancor più duro, “Contro la Giustizia”, editore Pironti) scritto addirittura nel 1995 da un toga coraggio per anni pretore a Borgomanero, Renzo Lombardi, se ne raccontano di tutti i colori sull’incarico ministeriale in precedenza ricoperto dalla Ferraro, in qualità di “responsabile dell’ufficio automazione al ministero di Grazia e Giustizia”. Il sottotitolo del pamphlet è ancor più al vetriolo: “Illegalità, lobby e miliardi al ministero di Grazia e Gistizia”. Se vi par poco.
Ecco un passaggio del volume, in cui vengono anche tratteggiati gli ottimi rapporti tra la Ferraro e il futuro presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro: “Liliana Ferraro se ne fregava ampiamente di essere stata estromessa dall’ufficio automazione e continuava a pilotare il settore. Infatti, dopo aver assestato il colpo miliardario di portarsi appresso tutta la tematica della videoregistrazione dei processi, in ottobre ha portato a compimento un altro progetto. Quello di legalizzare i presupposti per scavalcare un ufficio automazione, commissioni, comitati, e quant’altro per procedere più speditamente verso le mete a lei gradite. Con la ‘Convenzione Inps’”.
E ancora, continuava Renzo Lombardi nel suo j’accuse: “al ministero di grazia e gustizia si può fare di tutto: si possono insabbiare relazioni e decreti; si può videoregistrare a piacimento; si può andare amichevolmente d’accordo con l’Inps; ci si può dedicare a monitoraggi miliardari”.
Ad esempio, “il programma Perseo è diventato un pozzo di San Patrizio per CCI, Computer and Microimagine spa, Olivetti e Syntax spa” (il riferimento, ovviamente è al 1995, ndr). Intorno al programma Rege, poi, ruotano interessi che Lombardi calcola tra i 70 e gli 80 miliardi. E anche questa volta vige la regola: “il problema non è quello di sperderli bene. E’ quello di spenderli”. Parola di giudice.
E quando il grande amico di Liliana Ferraro (ma anche di Livia Pomodoro), ossia Antonio Di Pietro, approdò alla poltrona di ministro dei Lavori pubblici e Infrasrtrutture, lui, grosso esperto di informatica, pensò bene di affidarsi alla cure di un altro super esperto di appalti pubblici (e soprattutto di trasparenza & legalità): il giudice torinese ed ex segretario dell’Anm Mario Cicala, una toga integerrima (come Ferraro): ebbene il ‘feeling’ con Di Pietro durò tre mesi…
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