Decisione finale al tribunale di Roma sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A pronunciarsi, la mattina dell’8 giugno, sarà il giudice Andrea Fanelli che dovrà decidere in merito alla richiesta di archiviazione tombale avanzata dal pm Elisabetta Ceniccola, richiesta controfirmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone.
Fanelli dovrà valutare alcune circostanze. A partire dagli ultimi elementi emersi nel corso di un’indagine della Procura di Firenze. Gli inquirenti gigliati, infatti, hanno scoperto una serie di intercettazioni telefoniche intercorse nel 2012 tra alcuni somali in cui si parlava del delitto “dei due italiani ammazzati”. Lo stralcio d’inchiesta è stato trasmesso alla procura di Roma che deve valutare il contenuto di quelle telefonate ai fini dell’accertamento della verità sul duplice omicidio dei nostri giornalisti.
Ma soprattutto Fanelli è tenuto a valutare il contenuto di una gran mole di documenti prodotti dai legali della famiglia Alpi, Giuseppe D’Amati, Giovanni D’Amati e Carlo Palermo. E a considerare in tutta la sua forza la sentenza di Perugia pronunciata meno di un anno fa con la quale veniva completamente scagionato il somalo ingiustamente accusato del delitto e che ha dovuto scontare 16 anni di galera (tra l’altro ha appena ottenuto un maxi risarcimento per ingiusta detenzione).
Quella sentenza parla strachiaro: nel caso Alpi c’è stato un colossale “depistaggio di Stato”, servito a buttare “il mostro in prima pagina”, sbattere in galera un innocente e ad evitare che killer e soprattutto mandanti venissero scoperti.
La svolta è arrivata solo grazie all’impegno dell’inviata di Chi l’ha visto Chiara Cazzaniga, che ha intervistato a Londra il teste taroccato, Ali Rage alias Gelle, il quale ha alzato il sipario su tutta la tragica connection: era stato ‘addestrato’ dalla polizia a rendere la falsa testimonianza e poi aiutato dalla stessa polizia a farsi uccel di bosco, evitare l’interrogatorio davanti al tribunale e fuggire prima in Germania e poi in Inghilterra. Dove non lo ha certo scovato la nostra intelligence con tutti i suoi potenti mezzi – figuriamoci – ma Chiara Cazzaniga con i pochi mezzi di cui può disporre un giornalista.
Quella testimonianza di Gelle è stata la chiave per la sentenza di Perugia che ha scagionato da ogni accusa il somalo innocente e messo nero su bianco che si è trattato di un “depistaggio di Stato”.
Chiunque, a questo punto, si sarebbe aspettato che la procura di Roma cogliesse la palla al balzo per riaprire le indagini, seguire la pista chiaramente tracciata dalla sentenza perugina e arrivare finalmente a scovare i colpevoli.
Invece, niente di tutto questo. Il silenzio più tombale. Anzi la paradossale richiesta di archiviazione avanzata dalla imperturbabile Ceniccola e avallata dall’ancor più imperturbabile Pignatone. A testimonianza che quello di Roma è tornato ad essere un porto delle nebbie in piena regola.
I legali di Luciana Riccardi, la madre di Ilaria, a questo punto chiedono che il processo venga spostato a Perugia, visto che in quella procura sono stati meticolosamente raccolti tanti e così rilevanti elementi probatori.
Avrà il coraggio, il giudice Fanelli, di dire un forte no al tandem Ceniccola-Pignatone tutto pro archiviazione?
Staremo a vedere se, almeno una volta, Giustizia e Memoria riescono ad avere la meglio.
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