LA SCURE DELLA CORTE DEI CONTI SULL’ISTAT

Con sentenza 302/2018 depositata il 21 maggio scorso la Corte dei conti – Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello – ha messo la parola fine, una volta per tutte, all’ultradecennale querelle, iniziata nel 2007, sulla presunta responsabilità per danno erariale dei vertici dell’Istat, in relazione alla mancata applicazione  delle sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di fornire le informazioni richieste in sede di raccolta dei dati necessari all’elaborazione delle indagini statistiche.

In primo grado, con Adusbef e Usi-Ricerca intervenuti ad adiuvandum della Procura regionale del Lazio, a fronte di un danno erariale quantificato dalla stessa Procura (per il solo periodo 2002-2006) in circa 191 milioni di euro, la Sezione giudicante, con sentenza n. 1096 pubblicata il 7 novembre 2012 (presidente De Musso, relatore Chiara Bersani), prendendo in esame le omesse sanzioni relative al periodo luglio 2003-aprile 2006, assolvendo da ogni addebito tre direttori centrali Viviana Egidi, Giuseppe Certomà e Gian Paolo Oneto, aveva condannato a risarcire a favore dello Stato il danno complessivo di euro 286.176,00 (il presidente Luigi Biggeri, per 145.384,00 euro; i direttori generali Giuseppe Perrone, per euro 10.260,00 e Olimpio Cianfarani, per euro 47.880,00; i direttori di dipartimento Vittoria Buratta, per euro 25.650,00; Francesco Zannella, per euro 22.230,00 e Andrea Mancini, per euro 10.260,00; i direttori centrali Roberto Monducci, per euro 7.980,00; Valerio Terra Abrami, per euro 6.840,00 e Linda Laura Sabbadini, per euro 9.692,00).

Il collegio di appello, con la citata sentenza n. 312, depositata il 21 maggio scorso, dopo aver esaminato i singoli ricorsi (riuniti, perché contro la stessa sentenza) proposti dai soggetti interessati avverso la decisione di primo grado (n. 1096/2012):

– ha confermato la condanna del presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, in relazione alla sua posizione istituzionale, nella misura fissata dalla sentenza di 1° grado, oltre interessi e spese legali;

– ha rigettato l’appello di Giuseppe Perrone, Olimpio Cianfarani e Valerio Terra Abrami, a fronte di una responsabilità accertata in ragione del loro ruolo, per non aver posto in essere iniziative dirette a vigilare sulle omissioni riscontrate, confermando la sentenza di primo grado, oltre interessi e spese legali;

– ha accolto l’appello di Andrea Mancini, Roberto Monducci e Linda Laura Sabbadini;

Quanto ai due direttori di dipartimento, Buratta e Zannella, condannati in primo grado e appellanti, la cui funzione nel caso di specie è stata ritenuta dal collegio giudicante “per molti aspetti analoga a quella dei direttori generali, sia pure con riguardo allo specifico settore di attività …”, v’è da dire che entrambi in corso di causa hanno presentato, in epoche diverse, istanza di definizione del giudizio che, a seguito di accoglimento da parte della Corte, ha comportato l’estinzione del giudizio stesso, previo pagamento del 20% (ex art. 14, comma 2 ter L.102/2013) per il primo, e, per il secondo, del 30% (art. 1, commi 231, 232 e 233 della L. 266/2005) dell’importo a carico di ciascuno di essi indicato nella sentenza di primo grado, oltre interessi e spese legali.

La vicenda che, come detto, coinvolse gli allora vertici dell’Istituto di via Balbo (dal presidente ai capi dipartimento, dal direttore generale ad alcuni direttori centrali), non solo ebbe notevole risonanza sulla stampa nazionale, che ospitò numerosi interventi di vari intellettuali, tutti in difesa dell’operato dell’ISTAT, ma determinò anche un discusso intervento del governo – all’epoca guidato da Romano Prodi – passato alle cronache come “indulto statistico”, espunto dalla “finanziaria” ma riesumato nel decreto “milleproroghe” (art. 44. DL 248/2007), duramente contestato in Parlamento, giungendo finanche all’esame della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 93/2011, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti.

Il predetto art. 44 stabiliva che “Fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’articolo 7, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti”.

In pratica, non bastava – ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste ex lege – che l’impresa o il cittadino coinvolto nell’indagine non rispondesse ma che tale rifiuto fosse messo addirittura per iscritto!

Ciononostante, risulta dai bilanci di esercizio che nelle casse dell’Istat, dal 2008 ad oggi, sono finiti, a titolo di sanzioni per mancate risposte ai questionari, diversi milioni di euro, di cui più di 9 solo nel quadriennio 2013-2016.

Ancora una volta, l’azione di Adusbef, per l’occasione in sinergia con il sindacato Usi-Ricerca, ha permesso all’erario di recuperare ingenti somme e di consentire alla Corte dei conti di accertare e sanzionare comportamenti di pubblici funzionari contrari alle norme vigenti.


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