Non è mai troppo tardi. Dopo oltre 40 anni dall’inizio dei lavori, inaugurati nella primavera del 1976, arrivano le prime vigorose bastonate della Corte dei Conti su maxi appalti e mega lavori per la metropolitana di Napoli.
Il più colossale monumento a sprechi & scempi nel panorama dei lavori pubblici di casa nostra. Guarda caso, mai sanzionati dalla magistratura partenopea e, negli ultimi tempi, neanche finiti sotto i riflettori dell’Anac guidata da Raffaele Cantone.
Arriva ora con il treno nero, quindi in ovvio gigantesco ritardo, il fresco dossier della Corte dei Conti, che comunque riesce a mettere in riga bilanci e cifre che parlano da sole.
Conti di previsione più che triplicati, strumenti urbanistici usati nella maniera più disinvolta (dalle varianti alle revisioni prezzi), impalcature di legge adattate in modi che più acrobatici non si può, come nel caso delle concessioni, il vero grimaldello per bypassare norme e codici.
Ecco, fior tra fiore, alcune chicche contenute nella relazione della Corte.
“Il perpetuarsi della vecchia concessione di committenza – senza rischi per l’affidatario e con il ricarico di spese generali attraverso la remunerazione di una serie di servizi in percentuale sul valore della realizzazione – ha fatto lievitare il costo dell’opera”.
Ancora: “la concessione è avvenuta a trattativa privata, in una logica estranea a un mercato aperto” e “il ricorso al mercato non ha trovato applicazione per lungo tempo neanche per i lavori assegnati alla concessionaria”.
Non è finita, perchè “la concessione di sola costruzione, sottoscritta negli anni Settanta, risulta uno schematico e generico contenitore di interventi, sprovvisto di definizione tecnica ed economica”.
E in tale ottica vanno lette e interpretate le tante varianti in corso d’opera, già ritenute nel 1976 – viene sottolineato dalle toghe amministrative – “dannosissime per le conseguenze sul costo e sui tempi di realizzazione” dall’allora Commissione interministeriale per le metropolitane.
Per la serie: appena battezzata, quella linea metrò cominciava già a viaggiare nella più perfetta illegalità amministrativa.
E non solo. Visto poi l’iter di progetti & lavori. Dalle prime rombanti ruspe degli allora ‘ruspanti’ Casalesi affiliati al clan di Michele Zagaria, ai non-progetti serviti per ottenere i primi ok ministeriali, fino ai lavori affidati alla crema dei mattonari partenopei finiti in Tangentopoli e ai relativi subappalti a go go, come ha documetato la Voce in svariate inchieste e articoli di questi ultimi anni.
Senza contare, appunto, costi stratosferici che fanno del metrò made in Napoli l’infrastruttura pubblica più cara al mondo, 400 milioni di euro per chilometro, il doppio di quello romano, il triplo del tunnel sotto la Manica.
Ma chissenefrega.
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