“Fuori i mandanti della trattativa e quelli delle stragi!”. E’ l’imperioso appello esternato dall’eroe in toga Nino Di Matteo ai microfoni di Lucia Annunziata per il consueto appuntamento della domenica di Mezz’ora in più.
Ha poi aggiunto l’icona antimafia: “L’attuale sentenza può costituire un imput anche per la riapertura delle indagini sulle stragi che probabilmente non furono opera solo di uomini di Cosa nostra”.
E ancora: “Non pensiamo che i carabinieri abbiano agito da soli. Sarebbe utile, ora, un ‘pentito di Stato’”.
Che le stragi di siano “state di Stato” e certo non solo opera di Cosa nostra lo sanno ormai anche i bimbi delle elementari. E lo sa bene – non da oggi né da ieri – un magistrato di grande esperienza come Nino Di Matteo.
Quel che sbigottisce è il tono dell’appello lanciato non dall’inquilino della porta accanto o dal tabaccaio della piazza a fianco, ma da un magistrato di grido, da una toga impegnata da anni in prima fila per portare avanti grossi processi antimafia e non furti di pecore in Sardegna.
Sorge spontanea la domanda: perchè quella domanda non la rivolge prima di tutti a se stesso?
Nell’inchiesta che potete leggere nel link in basso, documentiamo per fare un solo esempio l’incredibile iter dei processi Borsellino e la costruzione – a tavolino – del pentito Vincenzo Scarantino, servito a depistare per anni e a mandare in galera per 15 anni degli innocenti.
Perchè Di Matteo, che ha condotto quell’inchiesta con un’altra toga antimafia di calibro, Anna Maria Palma, non chiede a se stesso (e quindi si risponde) sul giallo del pentito taroccato Scarantino? E non gira l’interrogativo alla collega Palma?
Combiando l’ordine dei fattori il prodotto comunque non cambia. Lo stesso appello a scovare i mandanti delle stragi mafiose venne lanciato anni fa a Napoli dall’altro pm di punta, Antonino Igroia, che ha aperto il processo sulla trattativa poi portato a termine in primo grado da Nino Di Matteo.
Sbarcò a Napoli, Ingroia, in occasione di una convention che si svolse al Maschio Angioino per sponsorizzare la candidatura a sindaco di Napoli dell’allora fresco ex pm Luigi de Magistris.
“Basta con i misteri, è venuto il momento di trovare i mandanti delle stragi”, tuonò allora il super pm, poi passato con penosi risultati alla politica e – con maggiori ritorni, anche economici – alla corte della Regione Sicilia guidata da Rosario Crocetta, indossando nel contempo un’altra toga, quella di avvocato (tra l’altro è il legale del super boss di Mondragone, Augusto La Torre).
Anche in quella occasione furono non pochi a commentare: “ma parla un cittadino qualunque o un magistrato che si è dedicato a tante inchieste sul fronte mafioso?”.
Come – per fare un solo esempio – quella sul covo di Totò Riina: il covo rimasto incustodito per due settimane e dal quale venne agevolmente prelevata la cassaforte con le carte bollenti di Cosa nostra, compreso l’archivio dei 3000 nomi.
Ma per il pm senza macchia e senza paura Ingroia, “il fatto non sussiste”: perchè il generale Mario Mori – oggi condannato eccellente nel processo sulla Trattativa – agì all’epoca “seguendo la ragion di Stato e non per altri motivi”.
Quale Stato, avvocato Ingroia?
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