Martina e Di Maio uniti nella toppa.
Nella breve conferenza stampa dopo il colloquio col presidente Sergio Mattarella, il segretario dem Maurizio Martina fa un riferimento al prossimo voto in Friuli. Galeotto fu l’accento. Il ministro dell’Agricoltura, infatti, zappa l’italiano ed erutta in un prorompente Frìuli con un marcatissimo accento sulla ì.
Sanno anche i bimbi ancora alle prese con gli atlanti che non va lì. Solo somari, muli & asini sono imbambolati sulla via dell’accento.
Unica scusante per l’equino titolare di campi da trotto e da zucca, la presenza al suo fianco – per la precisione alla destra – del fresco capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci. Il quale, avendo a che fare con la sua coscienza – ammesso ne sia dotato – impegnata per la strage di 5000 vittime da sangue infetto, sarà alle prese con il suo buon mal di testa quotidiano. Un po’ come un tempo – è una storica narrazione circolata in transatlantico – il divo Giulio, Andreotti, massacrato dalle ricorrenti emicranie perchè pensoso su tante storie di mafie assassine.
Se Sparta piange Atene certo non ride. Ed eccoci all’italiano nei giorni scorsi declinato dall’ormai già eterno aspirante premier, Luigi Di Maio. Che si è esibito in un doppio carpiato: “a Salvini gli mando a dire”. A… gli…? Non la solita congiuntivite, ora di stagione, vista la primavera che bussa a porte e portoni, col suo sciame di pollini. Licenze pomiglianesi o cosa?
Sorge a questo punto spontanea la domanda. Ectoplasmi di programmi politici a parte, come fanno lorsignori a pensare anche lontanamente di proporsi per governare l’Italia, oppure di fare l’opposizione, se non sanno neanche pronunciare una parola nel ‘loro’ italiano?
Prima di candidarsi, forse, sarebbe consigliabile un corso accelerato, una scuola ‘recupero anni perduti’: tanto per un lifting non alla testa – ormai un optional – ma almeno alla lingua. Salvate almeno le forme, se proprio non ce la fate con i contenuti…
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