Polemiche al calor bianco sul fronte della sanità pubblica in Campania. Nell’occhio del ciclone il maggior presidio oncologico del Mezzogiorno, l’istituto ‘Pascale’ di Napoli, un tempo feudo di Sua Sanità Francesco De Lorenzo e della sua dinasty in camice bianco, a cominciare dal padre, l’eterno presidente dell’Ordine dei medici partenopeo, Ferruccio De Lorenzo.
Ora il Pascale è alle prese con il caso Marfella, ossia la vicenda del ricercatore dello stesso Pascale (si tratta di Antonio Marfella, il medico da sempre in prima fila nel denunciare la crescita esponenziale di patologie tumorali nella Terra dei Fuochi) che ha deciso di farsi operare per un carcinoma alla prostata non nel ‘suo’ istituto, ma al Nord, per la precisione all’Istituto Europeo Oncologico (IEO) di Milano, fondato da Umberto Veronesi. Il motivo-base che ha indotto Marfella alla decisione è il numero di interventi condotti al Pascale, una media di uno ogni tre giorni, sensibilmente più bassa rispetto agli standard del Nord.
Bagarre in Consiglio regionale sul tasso di efficienza (o meglio, di inefficienza) delle locali strutture pubbliche sanitarie, storicamente fanalini di coda nelle hit nazionali. Si parla di un prossimo arrivo degli ispettori inviati dal ministero della Salute per verificare la situazione e i numeri del Pascale. Soprattutto un dato, ossia quello relativo alle ‘migrazioni’ di pazienti in altre regioni per farsi operare, circostanza che appesantisce il già sforacchiato (per sperperi e clientele) bilancio sanitario pubblico: le regioni del centro-sud fanno segnare pesanti rossi, con la Campania in testa (- 282 milioni), seguita dalla Calabria (- 275 milioni) e dal Lazio (- 231 milioni). A fronte dei dati positivi registrati al nord, con una Lombardia largamente in testa (+ 601 milioni), seguita dall’Emilia Romagna (+ 374 milioni).
Marfella – fanno notare non pochi addetti ai lavori – ha avuto la forza di mettere il dito nella piaga. Non solo un j’accuse contro le inefficienze della sanità campana, ma anche il disvelamento dell’ipocrisia di tanti camici bianchi, che mai si farebbero toccare da un collega locale, né curare in una struttura del territorio: e non hanno il coraggio di dichiararlo. Un po’ come succede nel campo dei vaccini: faccio vaccinare i figli dei miei pazienti, non vaccino i miei. Il veccho ritornello: si fa ma non si dice.
Conferma la circostanza uno dei medici di base di maggior storia ed esperienza a Napoli, Pina Tommasielli, una vita tra i suoi pazienti di Soccavo, responsabile di un consorzio che raduna oltre 400 medici di famiglia, animatrice di un’associazione nata a tutela della salute dei cittadini, Isde.
“Tanti medici di qui vanno a curarsi nelle regioni settentrionali e non lo dicono”, il suo j’accuse. “Marfella invece ha avuto il coraggio civile di dirlo”, aggiunge.
“Sono costretti a farlo – precisa – perchè hanno gli stessi problemi di tutti i cittadini, e cioè una sanità pubblica lasciata a se stessa. Si ricoverano negli ospedali del Nord, gli stessi che ci succhiano centinaia di milioni di euro ogni anno proprio a causa della migrazione sanitaria”.
E poi. “I problemi sono quelli noti da sempre, in particolare le interminabili e ingiustificabili liste d’attesa e l’eccesso di burocrazia. E resta paradossale che, pur in presenza di tempi lunghi, le apparecchiature, come nel caso dei robot per le operazioni, risultino non utilizzate a pieno regime: una contraddizione in termini. Forse a causa di conflitti d’interesse che tirano in ballo il lavoro nella struttura pubblica e la professione privata?”.
Ancora. “Continuiamo a vivere dentro un circuito vizioso: qui abbiamo un più alto tasso di patologie, l’età media è più bassa rispetto al Nord, abbiamo le strutture ma spesso le utilizziamo poco, c’è una migrazione sanitaria che non riusciamo a tamponare, spendiamo e ci impoveriamo”.
C’è poca logica, in quel circolo vizioso, ma molti interessi privati da coltivare e veder fiorire rigogliosi. A scapito della salute dei cittadini: in particolare, naturalmente, di quelli con pochi mezzi.
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