Finalmente è arrivate la super fake in vista del 4 marzo. Alta come un grattacielo di Manhattan, imponente come il Colosseo, pesante come un bastimento Costa. La fake di tutte le fake news, da Guinness dei primati, da Palma d’oro al prossimo Cannes. E’ la Rimborsopoli grillina, che fa rima con Tangentopoli, Premiopoli, Sanitopoli e chi più ne ha più ne metta.
Scatenati da una settimana i media, Repubblica e Corriere della Sera nella prima linea di fuoco, 3 o 4 paginate di apertura quotidiana, neanche se Trump avesse deciso di pigiare il bottone rosso per aprire il conflitto nucleare.
ACROBAZIE STORICHE
Epico un fondo che ha davvero toccato il fondo, firmato da una griffe di Repubblica, Filippo Ceccarelli, che possiede l’archivio giornalistico più sterminato d’Italia ma evidentemente non ne sa far uso. Abbeveriamoci alla sua fonte.
Una vicenda, la rimborsopoli grillina, da perfetto incipit per una “Storia della cialtroneria italiana”. Da far invidia alla Prima Repubblica, quando “Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti, beccato a colloquio con il bancarottiere latitante Michele Sindona a New York ebbe il cuore di spiegare che era successo per caso, trovandosi lì per comprare certi soldatini”.
Con la Seconda Repubblica – prosegue il magistrale racconto del prossimo Pulitzer – eccoci a Roberto Maroni che “firmò il decreto salva-ladri senza averlo letto. E Scajola non sapeva chi l’avesse aiutato a comprare la casa vista Colosseo: ‘ci vengo solo per dormire’ chiarì dopo aver promesso di venderla. E Formigoni girava per l’universo mondo convinto che mai toccasse a lui di pagare nemmeno il caffè e il barbiere, come hanno scritto i giudici. Nè Bossi era al corrente che la tesoreria leghista pagasse la rinoplastica, le contravvenzioni o la laurea albanese del figlio”.
Continua il Vate nella sua storia, degna di Tucidide: “Per non dire delle chiacchiere rifilate da Fini sulla casetta”. “Ma l’unico veramente all’altezza si conferma ancora una volta Lui. Il supremo inventore della nipote di Mubarak, il supremo anfitrione delle cene eleganti”.
E il finale scoppiettante: “I cinque stelle e tutti gli altri si inchinano al suo cospetto. Con Berlusconi scontrini, rimborsi e bonifici non hanno le gambe corte, ma veleggiano nel vento dell’implausibile con la leggerezza delle foglie morte”. Ci mancava solo Prevert.
MA CHE C’AZZECCA TANGENTOPOLI ?
Sorge spontanea una domanda: ma che c’azzecca – come direbbe quel Di Pietro che non fa capolino nell’elenco made in Ceccarelli – che c’azzecca questa sfilza di storie della prima e seconda Repubblica che tutti conosciamo a memoria con la cosiddetta rimborsopoli grillina?
Cominciamo dal termine, Rimborsopoli, costruito ad arte per echeggiare, appunto, le varie Tangentopoli a pochi giorni dal voto, tanto per tentar di delegittimare i grillini, renderli uguali – cioè ladri – come tutti gli altri, scioccamente moralizzatori.
Ma lo sanno Ceccarelli & C. che questa vicenda dei rimborsi non c’azzecca – arieccoci – proprio un tubo con le tante Tangentopoli di casa nostra? Che è tutt’altra cosa rispetto a tutti i furti perpetrati da lorsignori, ad esempio sul fronte degli appalti per opere pubbliche, dall’alta velocità alla Salerno Reggio Calabria, dall’Expo al Mose, dalla linea metropolitana di Roma a quella di Napoli? E sul versante della sanità mangiamiliardi, tra sperperi e clientele d’ogni razza, sulla pelle dei cittadini che reclamano diritti e si vedono sbattere in faccia servizi da settimo mondo? E poi tutto il vastissimo panorama di sprechi pubblici, montagne di soldi buttate al vento dalla pubblica amministrazione, da Regioni e Comuni per favori agli amici, consulenze d’oro agli amici degli amici, baronie d’ogni sorta e così continuando a svaligiare le casse dell’erario?
Come è possibile mescolare le carte a tal punto, paragonare le collusioni andreottiane con le mafie di Sindona a questa vicenda? Le maison di Scajola e di Fini ai rimborsi?
Ma va soprattutto chiarito un punto: si sta parlando di rimborsi, il cui importo totale si aggira sui 23 milioni di euro: 23 milioni e 400 mila euro, l’ultima. Rimborsi che hanno preso il posto di quello che una volta si chiamava “finanziamento pubblico ai partiti”, poi abolito tanto per moralizzare meglio. Invece, i finanziamenti sono rientrati – e peggio – dalla finestra come rimborsi elettorali.
LA VERA BANDA BASSOTTI
Ebbene, quei pingui, milionari rimborsi finiscono nelle casse di tutti i partiti, nelle tasche di tutti i parlamentari. Se lo tengono tutti ben stretto, quel bottino, da vera Banda Bassotti, con tanto di mascherina sul volto. Gli unici che hanno deciso di restituire una parte di quelle somme sono i grillini, che lo hanno codificato nel loro statuto. Un po’ come una volta si faceva nel Pci, con una consistente quota destinata alle casse del partito, sottraendola perciò all’appannaggio privato e personale.
Quindi – proseguendo nel ragionamento – i 5 Stelle sono gli unici ad aver destinato una loro quota per una finalità ‘altra’, in questo caso il finanziamento di un apposito fondo per alimentare il microcredito destinato alle piccole imprese.
Adesso, sul totale dei 23 milioni di rimborsi grillini, mancano all’appello 800 mila auro, con i quali non si compra neanche la riserva della riserva di un calciatore di serie B. Una cifra comunque inferiore a quella sbandierata dagli avversari (politici e della comunicazione) per giorni, 1 milione e 200 mila abbondanti.
Ma tant’è, puntano l’indice lorsignori: hanno rubato. Cioè, alcuni di loro – a quanto pare 8 e “non oltre una decina” – non hanno restituito per intero, manca una piccola parte della cifra totale.
Insomma, una vera, minuscola pagliuzza rispetto alle gigantesche travi dei furti di Stato, delle ruberie della classe politica di casa nostra, delle malversazioni dell’intero sistema dei partiti: eccetto forse solo proprio quei 5 Stelle oggi sotto il fuoco incrociato, con i fucili puntati contro dalle artiglierie di Stato – giornali e tivvù in prima linea – in vista del 4 marzo. Un appuntamento che terrorizza i ladri, quelli veri, i ladri di danari, speranze & democrazia.
E appunto. Vi par questa una democrazia, o non piuttosto una autentica Repubblica delle Banane? Dove una colossale fake è gettata come il più denso fumo nero in faccia agli italiani per intontirli meglio davanti all’urna?
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