Le tappe kafkiane di una vicenda ai confini della realtà. Ma ben dentro la giustizia “civile” di questo Paese.
Riassunto delle puntate precedenti (e aggiornamenti).
La Voce viene condannata dal tribunale di Sulmona a 95 mila euro di danni per aver leso l’onore di una insegnante, Annita Zinni, che ha subito un “patema d’animo transeunte” per via di 20 righe sulla Voce a firma del giornalista Rai Alberico Giostra, che pochi mesi dopo pubblica “Il tribuno” su Antonio Di Pietro, grande amico della Zinni. L’articolo della Voce riguardava la controversa maturità del figlio di Di Pietro, Cristiano, ed era stato dalla Voce rettificato – per una piccola imprecisione – nel numero successivo, caso più unico che raro. Zinni cita in sede civile la Voce, batte cassa per 40 mila euro, il giudice Massimo Marasca ritiene la cifra modesta e va oltre il raddoppio. Quando uno stupro a Roma viene risarcito con 30 mila euro e un operaio Thyssen che – ustionato – ha avuto un patema un po’ più pesante assistendo in diretta alla morte di sette compagni viene liquidato con 35 mila euro. Storie di ordinaria – e civile – giustizia.
Altrettanto kafkiano è l’iter che segue. E che si svolge su 4 fronti quattro, perchè il team legale messo su dalla Zinni band spara una raffica di azioni esecutive – fra pignoramenti multipli e richieste di vendite all’asta – degne d’un gruppo Berlusconi e di un colosso Murdoch. Ecco una rapida carrellata, fronte per fronte.
L’Aquila – Dopo la condanna in primo grado a 95 mila euro e passa, abbiamo fatto appello, e abbiamo chiesto un giudizio d’urgenza, visti i gravi danni che provoca una sentenza del genere con la quale vengono bloccate le pubblicazioni di una testata in vita da trenta anni esatti. Motivi respinti: secondo l’Aquila non c’è alcuna urgenza. Abbiamo aspettato, allora, la data prevista per l’udienza, lo scorso 7 aprile 2015, una data per noi fondamentale: ebbene, in 2 minuti 2 l’udienza viene spostata a settembre 2016. Un anno e mezzo. Quando noi avevamo chiesto “urgenza”. Perchè un giornale che non esce muore. Senza leggere una carta, senza muovere un foglio, tutto rinviato. Giustizia civile.
Roma – Al tribunale civile di Roma sono stati presentati atti esecutivi e pignoramenti presso tutte le banche italiane e filiali estere, come se la cooperativa Comunica – che editava il giornale – avesse conti correnti nell’universo bancario. Lo stesso nei confronti di Andrea Cinquegrani, il direttore della Voce (causando a Cinquegrani, come persona fisica, evidenti danni: perchè da un anno non può avere più un conto corrente). Ma soprattutto, a Roma, è stato azionato un pignoramento presso la presidenza del consiglio dei ministri, dove vengono accantonate le somme che spettano alle cooperative che editano testate storiche: piccole cifre che però, in periodi di fortissima crisi della pubblicità, rappresentano l’ultimo ossigeno per una stampa sempre più accerchiata da mafie e lobbies. I legali della signora Zinni hanno perciò chiesto l’assegnazione – proprio in forza della sentenza sulmonese di primo grado – dei fondi “editoria (circa 20 mila euro per una annualità) più piccole somme trovate su un conto corrente di Banca Etica, poco più di mille euro (cui vanno aggiunte “10 azioni di banca Etica”, come recita il provvedimento del tribunale di Roma). Ci siamo opposti, sottolineando il fatto che quei fondi dell’editoria sono “pubblici”, e quindi hanno una ben precisa destinazione per sostenere – istituzionalmente – l’editoria minore e indipendente: e per questo “insequestrabili” e “impignorabili”. Il giudice ci ha chiesto di produrre una relazione in grado di documentare ciò: l’abbiamo fatto. Poi il provvedimento del 24 febbraio: le somme vengono automaticamente assegnate perchè “il giudice dell’esecuzione non ha il potere di intervenire sul titolo già formatosi innanzi ad altro giudice. Egli deve limitarsi ad accertare la efficacia e validità del titolo posto in esecuzione”. E ancora: “la impignorabilità delle somme deve derivare espressamente da una disposizione normativa”. Continuiamo a sostenere: c’è una qualche differenza tra somme pubbliche e somme private, ad esempio derivanti da incassi per pubblicità, per vendite o per abbonamenti, quelli di prassi per i giornali, di natura commerciale. Qui si tratta di somme – ripetiamo – pubbliche, a precisa ‘destinazione’, la libertà di stampa: ancora per un po’ – speriamo – da non spedire in discarica.
Nel corso di una udienza, uno dei legali dello studio Russo, che patrocina la signora Zinni, per dimostrare la “liquidità” della sua assistita – nel caso di eventuale soccombenza futura, manifestando quindi l’ampia possibilità di restituire somme a lei assegnate dal tribunale – ha parlato di alcuni immobili della stessa Zinni, tra cui “un appartamento a Roma, in via Merulana”: stessa via dove, guarda caso, ha una magione romana Antonio Di Pietro.
Napoli – Anche qui raffica di pignoramenti verso tutte le banche, sparando nel mucchio (anche per gettare discredito sulla cooperativa e sulla persona fisica). E soprattutto nei confronti della testata, che il team legale della signora Zinni tratta, né più né meno, come una “partita di provoloni”, una partita commerciale, tra scaffali e scatoloni. Abbiamo fatto presente, nelle nostre memorie, che la questione è un tantino diversa, che forse l’impegno trentennale di una storica testata antimafia è un pelino diverso, che chiedere la messa all’asta – come imperterriti hanno fatto i legali romani della signora Zinni – della testata è qualcosa che va ben oltre e ben al di là di rivendicazioni da bottega di periferia.
Campobasso – E’ il quarto fronte. Perchè è in piedi un procedimento penale avviato dopo un nostro esposto al Csm, al ministero della Giustizia, alla procura generale della Cassazione e inviato per competenza anche alla procura di Campobasso, per denunciare una serie di macroscopiche anomalie che si sono verificate nel processo di primo grado. Tra errori, omissioni, complicità che non abbiamo esitato a mettere nero su bianco e che hanno prodotto, a Campobasso, l’apertura di un procedimento penale a carico del giudice di Sulmona (nel frattempo passato al tribunale di Civitavecchia) Marasca per abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio, non proprio bazzecole. Siamo in attesa di notizie.
Nella foto di apertura, Cristiano Di Pietro, il padre Antonio e, in primo piano, Annita Zinni
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