Il Racconto di Domenica 8 gennaio
Governi come i marinai, promesse al vento
di Luciano Scateni
Il primato dell’infingardaggine dei governi italiani, sputtanati per inerzie pluridecennali nell’affrontare e risolvere il dopo terremoto, spetta al Belice, abbandonato al suo destino di devastazione, ma la tragedia del sisma in Italia centrale si avvia, come altri (Veneto, Irpinia) a superare quel caso emblematico. Nell’area colpita con durezza inaudita, dopo molti mesi la rimozione delle macerie è ferma a un vergognoso 8%. La promessa di ospitare i terremotati in casette di legno è stata rispettata in misura ridotta, gli alunni dei paesi colpiti sono emigrati in scuole della costa adriatica. Raro il ripristino di stalle e il traguardo finale della ricostruzione è un miraggio. Il pellegrinaggio di uomini delle istituzioni nei luoghi del disastro per garantire “lo Stato c’è, non vi abbandoneremo” suona come una beffa, tipica delle parole al vento dei marinai. Se n’è andato da poco un prete che con qualche anno in meno avrebbe meritato di condividere, fianco a fianco, la rivoluzione culturale del Vaticano. Don Riboldi, amava che gli si rivolgesse così, semplicemente, dopo anni di assenza dello Stato nella terra del Belice devastata dal sisma, ha capitanato la spedizione romana di protesta per rivendicare il diritto negato della rinascita. Più tardi, vescovo di Acerra, ha vissuto sotto scorta, protetto per salvare la sua preziosa vita dalle minacce di morte della camorra, contro cui la lottato con coraggio e abnegazione.
Il tempo dal punto di vista della capacità di sfumare il ricordo di tragedie è maestro. La tensione positiva della comunità nazionale, gli slanci di solidarietà, l’alacrità dei primi interventi, si coniugano con la presenza intensiva di politici sui luoghi del disastro.
I media: accompagnano con mezzi adeguati gli eventi disastrosi, specialmente alluvioni e terremoti, con dovizia di presenze nei telegiornali e con speciali. Poi, l’attenzione e la vigilanza, quando sarebbero occhi aperti per indagare sui processi di restauro della normalità, diradano la presenza sui luoghi colpiti, fino quasi a dimenticare (o a far dimenticare). E’ successo, meno in Emilia Romagna, regione ad alta qualità nella gestione delle emergenze, molto meno in Veneto per accertata competenza e alacrità, consolidata intraprendenza e gestione dell’autonomia. Sono interessanti eccezioni.
L’evento catastrofico che ha fatto piegare le ginocchia alle popolazioni del centro Italia riporta invece la riflessione sull’inconsistenza del sistema italiano in tema di sciagure provocate dalla natura. Per mesi i Paesi colpiti da un’impressionante sequenza di scosse sono rimasti cumuli di macerie, economie disastrate, insopportabili disagi degli abitanti aggravati da freddo, pioggia, neve, disperazione di chi ha perso familiari, casa, attività, lavoro.
Un dettaglio, tutt’altro che trascurabile: alla consegna di un piccolo nucleo di casette provvisorie i destinatari hanno scoperto difetti e disfunzioni di ogni genere. Porte d’ingresso che non si chiudevano, mancati collegamenti di acqua e luce, infiltrazioni della pioggia. Con lodevole tempestività è intervenuto il capo della protezione ma sentite come ha commentato l’episodio: “Sì, ho constatato questi episodi ma abbiamo provveduto”. E no, bisognava intervenire in partenza, prima della consegna. Ma è solo una goccia d’acqua, pure rilevante, se confrontata con i ritardi nel restituire a un’area di straordinaria bellezza, storica meta di turismo stanziale e temporaneo, il ruolo di polo felice degli Appennini. Le incertezze sul suo futuro sono imbarazzanti. Si ricostruiranno i centri colpiti esattamente com’era prima delle spallate del terremo e con quali garanzie antisismiche, la crepa chilometrica che ha spaccato il territorio è destinata ad allargarsi e a compromettere l’idea di ricostruzione in loco? Si mozzeranno le mani degli speculatori in agguato per arricchirsi aggiudicandosi illecitamente gli appalti?
La lunghezza inconsueta di questa premessa sovrasta il racconto che segue, ma è indispensabile per collocare la storia sociale di Remigio e Cristiana, 71 e 68 anni, contadini di Arquata.
La prima spallata del sisma ha raso al suolo la casetta dove hanno cresciuto tre figli, emigrati in Germania. A non più di cinquanta metri è crollata la tettoia della stalla che proteggeva dalle intemperie il bestiame: mucche, pecore, asini e galline. Remigio rifiuta di ripararsi nella tendopoli allestita in un largo spiazzo ai piedi del paese. A chi lo invita a mettersi al coperto, risponde “Gli animali non li lascio”. Cristiana non può fargli compagnia. Soffre di artrite deformante, responsabile l’umidità della casetta costruita in economia. Non hanno modo di comunicare, il cellulare è un “marchingegno moderno, buono per i nostri nipotini”. E’ difficile inerpicarsi fu lassù dove Remigio è asserragliato con gli animali e se ne deve far carico, con faticose discese e risalite, per procurarsi il mangime e quanto gli occorre per sopravvivere in condizioni estreme. L’inviato di un giornale locale lo raggiunge per raccontare la sua storia di triste solitudine e di abbandono.
“Remigio, come ve la cavate?” “Come vedete, mi arrangio. Le bestie hanno bisogno che io sto qua”. “Avete notizie di vostra moglie?” “Ogni tanto, quando qualcuno sale fino a quassù”. “Di notte fa freddo” “Lo so, mi hanno portato delle coperte, ah, anche una bottiglia di brandy”. “E cosa sperate?” “Che la terra la smetta di tremare. La paura è la mia compagna di ogni notte”.
L’articolo finisce sul tavolo del governo. Il ministro si consulta con la struttura di vertice della Protezione Civile e il caso di Remigio diventa appunto un caso. Una squadra di operai edili raggiunge la stalla e si mette all’opera per ripristinare il riparo degli animali. Un’altra fornisce Remigio di abbondante cibo per alimentarli. Altri tracciano un sentiero abbastanza percorribile per consentire all’anziano contadino di scendere nella tendopoli e risalire quando è necessario. Ora può anche assistere Cristiana, che si rasserena. La storia diventa rapidamente lo strumento di amplificazione dell’efficienza degli interventi nelle aree del sisma. Purtroppo, a distanza di un anno e mezzo dal sisma le macerie sono sempre lì e non tutti i terremotati hanno ricevuto il minimo conforto delle casette provvisorie. A sentire i politici della maggioranza si smentiscono ritardi e inadempienze. “Il governo è vicino alle popolazioni colpite, con qualche prevista difficoltà”.
Il dissenso degli assegnatari parla una lingua a loro sconosciuta. Sono voci pacate, ma comunque ad alto volume, di alcuni privilegiati che hanno ricevuto le chiavi delle “casette”, ma anche la sgradita sorpresa di infiltrazioni, impianti elettrici e idrici non collegati o non funzionanti, porte d’ingresso che non si chiudono, elettrodomestici non attivi. Non è il peggio. Per molti altri l’attesa di un riparo vero è ancora motivo di disagio insopportabile, o di lontananza dalle comunità espulse dal terremoto.
Il rischio di crollare nel tunnel buio della depressione cresce con il passare del tempo e le speranze di tornare alla normalità in tempi ragionevoli svaniscono portandosi dietro tutte le negatività: nella famiglia dei Guerini si sommano con effetti moltiplicatori. Il soggiorno coatto in un ospitale albergo del litorale costringe Gemma, ostetrica di lungo corso, ha spostamenti defatiganti per correre ad assistere le partorienti. Fernando, il primo figlio, universitario, si arrangia in coabitazione con altri due studenti in un mini appartamento della capitale e riesce a fatica a sfamarsi. La piccola Teresina stenta ad ambientarsi nella scuola di Porto San Giorgio. E’ malata di nostalgia per il suo paese, le amiche, la palestra dove si allenava per partecipare alla rassegna nazionale di ginnastica a corpo libero. Sull’intera famiglia pesa la sofferta inattività di Luigi, capofamiglia che per decenni, ogni mattina ha tirato su la saracinesca del “Bar dello Sport” ridotto un cumulo di macerie dalla spallata del terremoto. Segnali preoccupanti di tendenza a togliersi la vita sono solo in sospeso, sventati dall’assistenza di un esperto psicologo della Asl di Ancona, inviato nei luoghi che ospitano i terremotati per fornire assistenza professionale.
“Una famiglia come tante la nostra, forse più serena di altre, unita, con grande fiducia nel futuro. Non so più cos’è, ditelo voi, non lo so più”. Luigi non ha molta voglia di rispondere all’inviato, continua a guardare nel vuoto, come se lo sguardo senza meta possa disegnare il sogno che la terra non abbia mai tremato, fino a cambiargli la vita.
Ne sa davvero qualcosa chi ha il compito di restituire alle sventurate vittime la normalità? La storia e la cronaca recente rispondono elencando lentezze, inerzie, difficoltà burocratiche, mancanza di attenzione quotidiana al rispristino di condizioni di vita accettabili. Lo sfondo dell’illecito è in agguato. Imprese edili border line, ai limiti del lecito, portano il solito assalto a suon di milioni agli appalti della ricostruzione e mettono in forse la qualità e la sicurezza antisismica di quanto dovrà far rivivere le comunità distrutte dalla terra che ha tremato.
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.