L’INTESA CON IL BANCO DI NAPOLI / UN MISTERO LUNGO VENT’ANNI

Clamoroso. Sensazionale. Questi alcuni aggettivi utilizzati dalla stampa ‘specializzata’ per salutare la fusione del Banco di Napoli nel gruppo Intesa Sanpaolo. Peccato che l’operazione, in pratica, sia avvenuta quasi 20 anni fa. Ma forse nessuno se ne era accorto. Misteri della finanza.

Come non bastassero già i neri scenari messi su in questi anni dai Bankster di casa nostra, secondo la colorita definizione che ne ha dato Elio Lannutti, lo storico fondatore di Adusbef, l’associazione a tutela dei risparmiatori, nel suo volume del 2010, appunto, “Bankster – Molto peggio di Al Capone i vampiri di Wall street e piazza Affari”.

Per molti, quasi tutti, forse vale il proverbiale “scordammoce ‘o passato”. Perchè è meglio dimenticare, seppellire del tutto quelle operazioni misteriose – e scandalose – avvenute alla fine dello scorso millennio, quando si registrarono, in rapida sequenza, due autentici ‘colpi’. O golpe finanziari, come preferite.

QUEL BUCO NERO DI ATLANTA

Il primo fu l’acquisto per un pugno di dollari, è il caso di dirlo, dello storico Banco di Napoli da parte della Banca Nazionale del Lavoro, all’epoca alle prese con lo scandalo di Atlanta, su cui mai si è realmento voluto far luce: un buco gigantesco e il forte odore di traffici d’armi, per quella BNL allora guidata dal ‘compagno’ Nerio Nesi, il craxian rifondarolo. E BNL riuscì ad evitare il crac proprio grazie alla super operazione Banco di Napoli: un vero acquisto a prezzi di saldo, 60 miliardi circa di vecchie lire, neanche il costo di Maradona.

Ma eccoci al secondo tempo, quando BNL, dopo appena un anno, rivende il ‘pacco’ Banco Napoli, ben infiocchettato, al gruppo Imi-San Paolo. Ma con due zeri in più, quasi 6 mila miliardi di lire. Un miracolo degno del San Gennaro più in forma.

La storia non finisce qui. Perchè sulle spoglie del più antico istituto del Mezzogiorno, partorita dalla

Fondazione Banco Napoli, spunta la prima Bad Bank made in Italy, chiamata SGA. Anzi. Infatti in una quindicina d’anni riesce a recuperare addirittura il 90 per cento delle sofferenze: da guinness dei primati, tanto da entrare nel mirino, la Band bank, del governo Renzi. Che poco più di un anno fa – prima di sbattere contro gli scogli del NO al Referendum – riesce a far approvare una leggina ad hoc per inghiottire, come un sol boccone, tutti gli utili (cioè i rientri effettuati negli anni) prodotti dalla band bank dei miracoli.

La cifra sfiora il miliardo di euro, non bruscolini, e per la casse del nostro esangue erario sono una autentica boccata di ossigeno. Soprattutto per tamponare le falle del sempre più sforacchiato sistema bancario, alle prese con una nomenklatura di faccendieri e con delle vigilanze (Bankitalia e Consob) che fanno, nella migliore delle ipotesi, acqua da tutte le parti.

LO SCIPPO DI RENZI & C.

A quel punto, nell’autunno 2016, scoppiano alcune polemiche, soprattutto a Napoli, che si sente defraudata di quel patrimonio racimolato dalla bad bank e scippato da Renzi & C.

Sorgono a questo punto spontanei alcuni interrogativi. Il primo concerne ‘o passato: come mai all’epoca nessuna inchiesta ha tentato di far luce su quella rocambolesca vendita che anche ad un bimbo sarebbe risultata del tutto taroccata?

Perchè la magistratura non decise di vederci chiaro sui traffici di Atlanta targati BNL? Forse perchè un pezzo da novanta dell’istituto, proprio negli States, era il figlio di Carlo Azeglio Ciampi, ossia Carlo Ciampi, responsabile della sede BNL di New York? E quindi non era il caso di disturbare i manovratori?

Carlo Azeglio Ciampi. In apertura la sede del Banco di Napoli in via Toledo e, a destra, Carlo Messina

Carlo Azeglio Ciampi. In apertura la sede del Banco di Napoli in via Toledo e, a destra, Carlo Messina

La Voce, dieci anni fa, realizzò una cover story sui misteri targati BNL, una storia che puzzava lontano un miglio (titolo: “Banca Nazionale del Favore”; potete leggere l’inchiesta di maggio 2007 cliccando in basso). E quindi: perchè nessuno allora accese, neanche un po’, i riflettori?

Secondo interrogativo. Come mai nessuno è riuscito a spiegare, in termini finanziari, il miracolo della band bank? Possibile che San Gennaro sia sceso una seconda volta dal suo piedistallo per duplicare il prodigio?

Ancora: perchè nessuno ha fornito una esauriente spiegazione circa lo scippo della Renzi band, che mostra dunque una vera passione per gli istituti di credito? A questo proposito è uscito circa un anno fa un libro scritto da Maria Rosaria Marchesano, collaboratrice del Corriere del Mezzogiorno, la costola partenopea del Corsera, che dettaglia in modo minuzioso la story della bad bank partenopea, le acrobazie griffate Banco Napoli e l’ultima operazione, lo scippo appunto.

Ma torniamo all’oggi. Circa l’odierna fusione a freddo (anzi, a temperatura glaciale, visti gli anni di ibernazione trascorsi) glissa del tutto Repubblica e minimizza il Corsera. Il quotidiano di via Solferino infatti titola “via all’integrazione del Banco Napoli”, ma nell’apertura di Economia del 22 dicembre non fornisce alcun ragguaglio. Solo un asettico: “Il gruppo Intesa Sanpaolo incorpora il Banco di Napoli, lo storico istituto acquisito nel 2002 dal San Paolo-Imi. L’integrazione è societaria, le filiali del Banco di Napoli conservano il marchio”. Fine della storia.

La copertina della Voce di maggio 2007

La copertina della Voce di maggio 2007

Per trovare qualche notizia in più bisogna andare sul web. E leggere l’acrobatico copione. Eccone un esempio: “A seguito dell’acquisizione avvenuta a fine 2002 del Banco di Napoli da parte del gruppo Sanpaolo Imi, la banca nel 2003 aveva assunto la denominazione Sanpaolo Banco di Napoli. L’operazione – viene precisato – si era realizzata in due fasi distinte. Alla fine del 2002 ci fu la fusione per incorporazone di Banco di Napoli spa in Sanpaolo Imi spa, con conseguente cessazione della prima. Successivamente venne costituita Sanpaolo Banco di Napoli spa alla quale, con effetto dal 1 luglio 2003, fu conferita l’intera attività del vecchio Banco di Napoli. Con la fusione avvenuta nel dicembre 2006 tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi la società è entrata a far parte del gruppo Intesa Sanpaolo e ha ripreso successivamenre il vecchio nome di Banco di Napoli”.

E TUTTI A BOCCA APERTA 

Una autentica giungla, che certo non giova alla trasparenza in un universo, quello creditizio, sempre più popolato da affaristi e faccendieri di ogni risma, come stanno abbondantemente dimostrando le ultime vicende targata Monte dei Paschi di Siena, le 4 banche tra cui il bubbone Etruria, gli allegri istituti veneti e chi più ne ha più ne metta: tanto per spolpare meglio i cittadini-risparmiatori, spesso e volentieri privati dei sacrifici di una vita.

Eccoci agli stupori. Un incipit che evoca il clima rovente dei forni all’Italsider di Bagnoli: “Intesa Sanpaolo fonde il Banco di Napoli. E’ una decisione clamorosa ma inevitabile nell’ambito della razionalizzazione e del nuovo piano industriale al 2021 che verrà presentato a febbraio. Il cda di Intesa Sanpaolo, presieduto da Gian Maria Gros Pietro, riunitosi a Torino, ha deciso di incorporare lo storico istituto partenopeo. Non ci sarà più una banca autonoma, anche se già oggi Banco di Napoli è controllata al 100 per cento dal gruppo guidato da Carlo Messina. Ma resterà il suo marchio. La decisione è stata recepita dal board dell’istituto di via Toledo, a Napoli, presieduto da Maurizio Barracco”.

Così continua il report: “Tra novembre 2018 e febbraio 2019 l’incorporazione dovrebbe diventare operativa. Si diceva che l’operazione è sensazionale, perchè mette fine all’autonomia di una banca fondata nel 1539 e che ha segnato, tra alterne vicende, la storia d’Italia”.

Non bastano i giganteschi interrogativi – che non hanno mai avuto, ribadiamo, neanche lo straccio di una risposta – dei quali abbiamo parlato.

Adesso anche la misteriosa nuova operazione, i cui contorni sono avvolti nelle nebbie. Gesù fate luce, come scriveva un tempo il mitico Domenico Rea.

L’articolo di maggio 2007

articolo Voce maggio 2007

 

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