Quello che segue è la riflessione arrabbiata, piena di amarezza per il silenziatore che ha messo in doppia sordina una voce libera, spregiudicata, professionalmente unica nell’Italia del giornalismo condizionato dal potere in tutte le sue componenti. Per non dimenticare, ecco la storia breve di Milena Gabanelli
C’è, alleluia, chi va contro corrente e si tiene a distanza di sicurezza dall’Italia del nepotismo, dei raccomandati, del coraggio che non c’è per esercitare il diritto alla libertà di pensiero senza riserve o precauzioni autoimposte per non scontentare il boss e far carriera senza merito. C’è in tutti i comparti della società, nello sconfinato pianeta delle professioni e dei mestieri, che ad assumerne l’etica siano operai o impiegati, professionisti, manager, docenti, medici e giornalisti, questi ultimi rari quasi come le mosche bianche, uomini e donne disposti a vivere i disagi della marginalità, impediti a svolgere il loro compito di mediatori tra realtà e comunicazione, perfino pagati per non lavorare. In Italia il sistema dei media tramuta la nobile arte del giornalismo free lance in precarietà di rapporto con le testate. Negli Stati Uniti, famosi editorialisti o giornalisti di inchiesta “free lance” sono ai vertici dei guadagni, retribuiti con cifre da capogiro da quotidiani e periodici con tirature di milioni di copie. In Italia l’iter per accedere alla professione è ancora regolato dall’Ordine di categoria che solo per ricordare una scempiaggine dell’esame di abilitazione ha bocciato un signore di nome Alberto Moravia. La strettoia in cui si immette un giornalista italiano ha inizio con il cosiddetto praticantato, cioè con diciotto mesi di “prova” prima di essere consacrato professionista. Terminato il “rodaggio” la proprietà del giornale può dire “Molte grazie, lei non fa per noi”. Si capisce bene che nel tempo dell’apprendistato il candidato all’assunzione si guarderà bene dal manifestare idee contrastanti con la linea editoriale (politica) del datore di lavoro. E questo solo è il primo passo in una strada destinata a biforcarsi: a destra l’adesione acritica agli interessi dell’editore, a sinistra il coraggio di essere in disaccordo e di testimoniarlo esplicitamente. Già qui ha ragione l’analisi dei perché che limitano il giornalismo d’inchiesta a pochi eroici esempi, sempre più rari, inibiti dalla violenza di chi indagato per corruzione e reati connessi reagisce con querele e richieste di risarcimento impossibili da contrastare o comunque capaci di spegnere voci libere dell’informazione, impossibilitate a sostenere le onerose spese legali per la difesa.
Il fenomeno Gabanelli e di Report, sembra avere il crisma dell’eccezionalità. Milena sfida il conformismo dominante il mondo dei media e lavora come free lance, collabora con la Rai e in seguito con gli “Speciali Mixer”. Inviata di guerra in mezzo mondo, nel 1991 si libera delle troupe di ripresa e filma i suo sevizi con la telecamera personale, propone il nuovo modello di lavoro nelle scuole di giornalismo. Solo allora i grandi network come la Rai cominciano proporre la figura del videogiornalista. Sollecitata da Minoli si occupa del programma sperimentale “Professione Reporter”, poi di “Report” che ha compiuto i vent’anni. Il laboratorio di questo modello d’inchiesta è fortemente innovativo per almeno due motivi. Perché osserva il pianeta della corruzione con la “spregiudicatezza consapevole” di non avere timori reverenziali nei confronti di niente e nessuno e perché pur mettendo il dito e a volte tutta la mano nelle piaghe di giganti dell’economia e della politica corrotti, non è mai stato oggetto di querele. Il segreto dell’attendibilità di Report non è visibile, appartiene all’impegno straordinario nell’acquisizione di dati e testimonianze inoppugnabili, nella strategia di catturare le informazioni solo da fonti dirette, nel riceverle spesso da personaggi che prima di uscirne, hanno rivestito ruoli di rilievo in aziende, banche, imprese. All’unanimità Report è giudicato il migliore programma di giornalismo investigativo e questo riconoscimento galvanizza i giovani reporter a percorrere un analogo sentiero nel mondo multiforme dei media. In dieci anni (2000-2012) la Gabanelli è stata premiata per: il coraggio, la professionalità, la serietà d’impegno svolto in assoluta normalità e sobrietà, il giornalismo critico in lotta per la libertà, un giornalismo che interroga senza riverenze rischiando molto, come ultima giornalista che fa inchieste vere in un momento in cui sono state abbandonate da tuti i giornali, il ricchissimo archivio on line, per aver rilanciato con grinta e determinazione il giornalismo d’inchiesta, lo spirito combattivo e temerario di chi si è infiammato per una nobile causa, servizi che hanno interessato la tutela ambientale e dei consumatori, le indubbie novità introdotte dal videogiornalismo, il significativo contributo sui temi della legalità, i reportage di guerra, come miglior conduttrice di programmi d’inchiesta, l’attività e l’impegno nella salvaguardia e la valorizzazione della natura e dell’ambiente, il servizio Verità e Giustizia, la tenacia, la grinta, il rigore cronistico con cui prosegue, quasi isolata, sulla strada dell’inchiesta in una televisione e in una società diventate deserto dei Tartari, dove si attende una giustizia che non arriva mai, un giornalismo trasparente, per aver dimostrato che anche in Tv è possibile un’informazione libera, critica e costruttiva.
Queste le motivazioni di premi prestigiosi che consacrano la Gabanelli regina del giornalismo d’inchiesta. Report in una puntata particolarmente coraggiosa e dirompente scalfisce con l’abituale intraprendenza il calderone mistificante degli investimenti e rivela le tecniche che consentono alle banche lauti profitti sulla pelle di risparmiatori irretiti con proposte truffaldine di fondi avvelenati. Si deve alle banche anche la speculazione sull’orientamento a investire in diamanti che pagati cento valgono esattamente la metà. L’inchiesta non risparmia il ramo bancario delle Poste che induce a investire in beni immobili, con scelte miopi che dimezzano il valore dei fondi. Nel mirino di report finisce il fratello del ministro Alfano, il suo percorso disseminato di favoritismi, perfino un’illogica variante ai requisiti per consentirgli di battere concorrenti titolari di curricula di livello superiore con lo stratagemma di considerare valida la laurea triennale e non quella magistrale.
Chi pensa che per realizzare Report si sia mossa una macchina complessa e potente è in errore. Il programma della Gabanelli si è avvalso di una preparazione redazionale scrupolosa e di coraggiosi inviati che hanno realizzano i servizi con la loro telecamera e straordinarie capacità professionali di inchiodare alla verità le “vittime” delle inchieste. A loro Milena Gabanelli ha lasciato la direzione di Report in eredità. Qualcuno, ai piani alti di viale Mazzini ha tremato, indotto a dar lo stop alla giornalista da gruppi di potere politico ed economico in ansia per il timore di entrare nel mirino della Gabanelli e con l’ultima operazione di restyling dei suoi vertici l’ha espropriata dello scomodo programma. In cambio offerte alternative giudicate inaccettabili. Allora, Rai addio e con l’esodo ali tarpate alla protagonista numero uno del giornalismo d’inchiesta.
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Un commento su “Milena Gabanelli, regina del giornalismo d’inchiesta, dopo aver lasciato “Report” ha detto addio anche alla Rai”