GIALLO PASOLINI / DA UN ANNO LA PROCURA DI ROMA DORME: QUEL TEST SUL DNA NON S’HA DA FARE

Da più di un anno – era la metà di ottobre 2016 – l’avvocato della famiglia di Pier Paolo Pasolini, Stefano Maccioni, ha chiesto la riapertura delle indagini sull’omicidio, basandosi su una prova del DNA che dimostra come sul luogo del delitto ci fosse almeno un terzo soggetto, il cosiddetto Ignoto 3. Ma a tutt’oggi dal pm che si occupa del caso, Francesco Minisci, arriva il silenzio più totale. Nessuna risposta. La procura, guidata da Giuseppe Pignatone, tace.

Il pm Francesco Minisci. In alto, Pasolini

Il pm Francesco Minisci. In alto, Pasolini

Come nel caso di Ilaria Alpi, per il quale è stata addirittura richiesta l’archiviazione, qualche mese fa, da parte del pm Elisabetta Ceniccola, richiesta controfirmata dallo stesso Pignatone: ora si è in attesa della decisione del gip.

Due buchi neri della nostra storia, due casi fino ad oggi gettati nelle cantine della procura romana, che sta purtroppo tornando ad essere un autentico porto delle nebbie.

Come è possibile che due vicende così tragicamente chiare, e anche storicamente ‘certe’, non riescano a trovare un esito giudiziario? Come è possibile che una verità non impossibile da raggiungere venga negata, calpestata, e le due vittime uccise per una seconda volta? Una vergogna di Stato.

QUEL DNA SENZA RISPOSTA

Ma vediamo più in dettaglio le ultime sul giallo Pasolini.

Un anno fa, appunto, Maccioni chiede che il caso venga riaperto, facendo leva sul parere espresso da una genetista forense, Marina Baldi, che ha rilevato, attraverso il test del DNA, tracce di un terzo soggetto sulla scena del crimine, all’idroscalo di Roma.

Così ha scritto il legale della famiglia: “chiediamo alla procura di Roma di riaprire le indagini per individuare a chi appartenga il profilo biologico di Ignoto 3, oltre a quelli di altri possibili DNA. Si può restringere il campo delle indagini con la nuova tecnica NGS (Next Generation Sequences) e soprattutto cercando fra gli ambienti della criminalità organizzata e comune romana, con particolare riferimento alla Banda della Magliana”.

Elementi precisi e concreti. Una pista tutta da battere. Ma fino ad oggi – e sono passati quasi 13 mesi – dal pm Minisci nessuna notizia. Può contare il fatto che lo stesso Minisci aveva già in precedenza chiesto e ottenuto l’archiviazione? Staremo a vedere.

Ma intanto, nel corso dell’ultimo anno, sono successi altri fatti nuovi, che rendono più che attuale la richiesta di riapertura delle indagini con concrete possibilità di successo.

A partire proprio dal test del DNA. L’avvocato Maccioni, a questo proposito, ha fatto una scoperta da novanta: non è stato fatto alcun test del DNA neanche dopo la morte di Pino Pelosi, il presunto killer, per avere una verifica certa sulla sua presenza. Come non si sanno gli esiti della perizia istologica. Insomma, il buio più profondo.

“Sono veramente sconcertato – sottolinea Maccioni – da queste omissioni e dal comportamento tenuto in questi mesi dalla procura di Roma. Mi sembra che non ci sia una reale volontà di raggiungere la verità processuale. Forse quella verità dà, ancora oggi, molto fastidio. Ma noi non ci arrendiamo nel modo più assoluto. Non ci fermiamo. Vogliamo la verità”.

LE TESTIMONIANZE DI CHI L’AVEVA INCONTRATO 

L'avvocato Stefano Maccioni

L’avvocato Stefano Maccioni

Mesi fa ha rammentato quei tragici giorni un ristoratore romano, Aldo Bravi, che conosceva bene Pasolini: “Qualche sera prima dell’omicidio era venuto nella mia trattoria con Pino Pelosi. Era stranamente taciturno. L’ho visto molto preoccupato, come mai prima. Gli ho detto, ‘lascia perde, ‘sto Petrolio non ti fa bene’. Ho visto nei suoi occhi una paura, uno smarrimento”.

Un paio di settimane prima Pier Paolo era volato a Stoccolma, in occasione della presentazione del suo ‘Le Ceneri di Gramsci‘. Nel corso del dibattito, in una affollatissima aula universitaria, alla domanda di uno studente sui suoi lavori e le sue inchieste risponde: “Temo che mi possano far fuori”.

E ad una cena al ristorante di Stoccolma ‘Gyllen Freden’, in compagnia dell’editore Renè Forlag, e dell’inviato del Giorno Angelo Tajani, ad un certo punto della conversazione Pasolini si lascia scappare un “ho paura”. Della cena, di quell’incontro e di quella presenza a Stoccolma scriverà, qualche giorno dopo, un quotidiano locale, ‘Dajens Nyheter’: e anche stavolta balza fuori la figura del grande scrittore e regista “molto preoccupato”.

In due ampi reportage dei mesi scorsi che potete leggere cliccando sui link in basso, abbiamo dettagliato una sequela di circostanze misteriose e di elementi più che inquietanti circa la pista che porta a decodificare quell’omicidio. Altro che storia di sesso, un vero intrigo di Potere che un grande giornalista d’inchiesta come lui stava scoprendo, e che avrebbe fatto tremare e crollare i palazzi: per questo Pasolini doveva morire, perchè quel sistema di potere, incarnato dal numero uno dell’ENI Eugenio Cefis, potesse continuare a comandare, e con lui tutta quella “Razza Padrona”.

Quel Petrolio non doveva uscire. Perchè quei materiali raccolti in mesi e mesi di lavoro dal Pasolini-giornalista erano esplosivi. Per questo Petrolio vedrà la luce con tanti anni di ritardo. Per questo mancherà il capitolo base, 60 pagine titolate “Lampi sull’Eni”. Per questo mancheranno i tre discorsi di Cefis, strategici per capire il personaggio (soprattutto quello intitolato “La mia patria si chiama multinazionale”). Per questo si volatilizza il brogliaccio redatto da Mauro De Mauro sulla morte, o meglio l’assassinio, di Enrico Mattei, finalizzato alla stesura del copione per il regista Francesco Rosi. E sulla scrivania del giornalista siciliano ammazzato verrà trovata proprio la bozza del Petrolio di Pier Paolo.

Tutti elementi di uno stesso mosaico, un tragico puzzle che non poteva che condurre all’uccisione di chi era arrivato ad un passo dalla verità, l’uomo che in quel momento sapeva e stava acquisendo le prove: quindi ben oltre quel “IO SO, ma non ho le prove” delle sue invettive negli Scritti corsari del Corriere della Sera.

DA PISA A CASARSA, 25 ANNI DOPO QUEL PETROLIO BOLLENTE

E proprio a “Petrolio 25 anni dopo” è dedicato un convegno internazionale che mobilita l’Università di Pisa per il 9 e il 10 novembre. Ad organizzarlo, infatti, sono la stessa Università di Pisa e la Sorbona di Parigi, in collaborazione con la Scuola Normale Superiore. Vi prendono parte studiosi internazionali di letteratura e di cinema, traduttori, scrittori, registi.

Una foto giovanile di Pasolini a Casarsa

Una foto giovanile di Pasolini a Casarsa

Ecco cosa scrivono gli organizzatori: “Nel venticinquesimo anniversario della pubblicazione, il convegno si propone di avvicinare la complessità del testo sulla base dei nuovi dati emersi, facendo il punto sul dibattito che Petrolio ha suscitato in molti campi, letterari, storici e filosofici. Particolare attenzione è data – viene aggiunto – al significato politico dell’opera, ai discorsi di Eugenio Cefis che Pasolini intendeva inserire in Petrolio”.

E ancora: “C’è voluto del tempo affinchè questo insolito libro, oggi considerato uno dei capolavori della letteratura del Novecento, si conquistasse una ricezione adeguata alla sua straordinaria novità e complessità. Ricco di allusioni al contesto storico di quegli anni (la morte di Enrico Mattei, l’Eni, la nascente P2), Petrolio esplora le pieghe del potere politico ed economico, i suoi intrecci e le sue responsabilità nelle stragi e nei fatti criminali che hanno oscurato la vita politica del Paese”.

Di grande interesse anche un altro appuntamento dedicato alla memoria di Pier Paolo. Stavolta in Friuli, a Casarsa della Delizia, dove ha trascorso molti anni della sua vita e dove oggi è sepolto. Il convegno del 10 e 11 novembre, “Pasolini e il giornalismo” è finalizzato proprio a porre in evidenza la grandezza dell’artista anche nel campo del giornalismo d’inchiesta, una sua passione fin da ragazzo e che alla fine gli è costata la vita.

L’incontro prevede anche una seconda tappa, a marzo 2018, per puntare i riflettori sul Pasolini giornalista maturo. Mentre nella prima di novembre, “viene affrontato – spiegano gli organizzatori – il periodo iniziale, dagli anni Quaranta ai primi Sessanta”.

E ancora: “Dagli anni della formazione bolognese e della gioventù friulana (tra l’altro fu direttore responsabile degli ‘Stroliguts‘, collaboratore del Messaggero Veneto, addirittura del ‘Friuli sportivo‘: è stata ritrovata la sua tessera di inviato, del 1947, al seguito delle partite di calcio del Casarsa), fino agli implacabili ‘Scritti corsari’ sulle colonne del Corsera, egli fu una firma costante, sempre più ammirata o vilipesa, ma sempre al centro dell’attenzione”.

Speriamo se ne possano ricordare anche alla Procura di Roma.


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