Antonelli e i ragazzi del Tam tam basket di Castelvolturno

Il mondo, ammesso che sia ben fatto e non lo è, secondo un detto popolare sarebbe bello perché vario ed è l’unico attributo da condividere in pieno.

Tra mille esempi di contrasto: bianco-nero, buono-cattivo, giusto-ingiusto, si impone il confronto tra due notizie di cronaca. La prima arriva da casa Storace (a suo tempo fuoriuscito dalla destra di Fini), in sintonia con Alemanno, emigrato da Fratelli d’Italia. Il sodalizio, in nome di un neofascismo delirante, si riconosce in una formazione destrorsa con un nome lungo quanto piacerebbe a Lina Werthmuller: “Movimento nazionale per la Sovranità” (sovranità di che?) In un impeto di strepitosa coerenza, Storace-Alemanno hanno affidato il ruolo di responsabile dell’immigrazione a Paolo Diop, originario del Senegal, arrivato in Italia con la sua famiglia alla tenerissima età di due mesi. Diop si sdebita e ringrazia per l’incarico ricevuto dai suoi “mecenati” dichiarando il suo “no” allo ius soli e all’ “invasione” dei migranti. “Serve un percorso come il mio” pontifica (ma non specifica quale) e finge di non sapere che lo ius soli normalizza proprio chi è diventato italiano per essere nato nel nostro Paese, o per esserci vissuto dall’infanzia.

In questa controversa vicenda del nostro tempo, strumentale il no della destra, irrompe il presidente del Coni Malagò e dichiara “Siamo l’unico Paese che non consente ad immigrati nati in Italia di far parte delle nostra rappresentative nazionali”. Lo dice in margine a un evento di cui è protagonista Massimo Antonelli.

Per chi ama il basket, come chi scrive, Massimo è il campione che vinse lo scudetto con la Virtus Bologna e ha contribuito a far grande la pallacanestro napoletana. Ora è un coach, un tecnico, un allenatore e da anni si è speso per trasmettere ai ragazzi la passione per il suo sport. A Castelvolturno e la scelta non ha nulla di casuale, Antonelli ha ottenuto di rimettere in piedi una malandato palazzetto dove allena una quarantina di ragazzi, tutti immigrati di seconda generazione. La filosofia di questo “miracolo”, in un’area della provincia di Caserta che ospita immigrati di oltre quaranta nazionalità e una settantina di etnie (ventimila irregolari), si ispira alla straordinaria semplicità dell’idea “lo sport aiuta i diversi a sentirsi uguali”. Nasce la squadra Tam Tam Basket, tutta di ragazzi nati in Italia da genitori immigrati, ma non riconosciuti dallo ius soli dalla politica malata del nostro Paese. Per allenarsi, uno dei giovanissimi atleti della squadra compie a piedi un percorso di due chilometri, ma compensa tutto l’entusiasmo. Gli chiedono cosa pensa che significhi essere italiano. “Far parte di qualcosa”, risponde, “di un posto che ti rispetta”. Un altro ragazzo della squadra indossa la maglia della nazionale italiana: “Sono nato in Italia e indossare questa divisa è un onore. Siamo una bella squadra e l’Italia deve vederci giocare”.

Sarebbero molti di più i ragazzi e le ragazze che vorrebbero partecipare a questa esperienza, ma manca lo spazio vitale per accoglierli tutti. C’è altro: Antonelli ha provato a iscrivere le squadre ai campionati di categoria. E’ andata bene per gli under 13, male per gli under 14. Antonelli si è rivolto a Malagò perché venga meno la norma discriminante. Propone di adottare la formula “stranieri in Italia nati in Italia”. L’appello va ben oltre il pur importante vertice nazionale dello sport. Chissà se raggiunge le coscienze di quanti in Parlamento e fuori, continuano a negare un diritto riconosciuto in Paesi come gli Stati Uniti, leader del mondo per il contributo decisivo alla sua nascita ricevuto dall’emigrazione.


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