INCALZA E CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA’, COSI’ IMPOSIMATO E PROVVISIONATO NEL PIU’ TOTALE SILENZIO -16 ANNI FA DENUNCIAVANO

Primi in assoluto ad accendere i riflettori su un business che stava maturando a fine anni ’80, i giudici siciliani Falcone e Borsellino, che proprio un anno prima delle stragi avevano dato un’accelerazione alle indagini, potendo anche contare su un dettagliatissimo dossier, “Mafia e Appalti”, preparato dal Ros dei carabinieri.

Il super burocrate di lavori e appalti pubblici, Ercole Incalza, oggi alla ribalta delle cronache per il fresco arresto su ordine della procura di Firenze. Ma da quasi un trentennio dominus incontrastato, trasversale al punto giusto, il grand commis per tutte le stagioni. E, soprattutto, il gran regista del maxi business dell’alta velocità, la vera manna per politici, faccendieri, imprese di partito, e propellente base per il decollo delle mafie. Senza dimenticare gli scempi ambientali. Il tutto per svaligiare le casse dello Stato. Primi in assoluto ad accendere i riflettori su un business che stava maturando a fine anni ’80, i giudici siciliani Falcone e Borsellino, che proprio un anno prima delle stragi avevano dato un’accelerazione alle indagini, potendo anche contare su un dettagliatissimo dossier, “Mafia e Appalti”, preparato dal Ros dei carabinieri. La Voce fin dal 1992 ha cominciato a scrivere di Tav, denunciando le prime ombre, descrivendo i primi intrecci, le prime connection, portando alla luce sigle, nomi, combinazioni societarie, e tutto quanto fa “o’ business”. E già cominciavano a far capolino i primi nomi da novanta: dal superprogettista Vincenzo Maria Greco al suo grande referente politico, ‘o ministro Paolo Cirino Pomicino, dal potentissimo numero uno delle FS Lorenzo Necci ad manager ovunque, appunto, Ercole Incalza, il quale – non a caso – diventa subito amministratore delegato della società di TAV spa, ovvero il cavallo di troia che servirà a drenare vagonate di miliardi pubblici dalle casse dello Stato a lorsignori, ovvero partiti, affaristi & mafie.
Un conto salatissimo per lo Stato, un conto che dagli iniziali 27 mila miliardi di vecchie lire è lievitato di 5, poi 10, forse 20 volte tanto: un totale oggi impossibile da calcolare. Chi aveva cercato di fare un primo bilancio, arrivando a toccare la già stratosferica cifra di 150 mila miliardi circa, è stato un libro choc scritto nel 1999 da Ferdinando Imposimato Giuseppe Pisauro e Sandro Provvisionato, “Corruzione ad Alta Velocità”, edizioni Koinè. Non solo un dettaglio dei costi, ma un impietosa radiografia di tutti i protagonisti in campo, tutte i responsabili, tutte le società impegnate nell’affare. Il volume, tra l’altro, contiene la battaglia condotta da Imposimato, allora membro della commissione antimafia, per denunciare tutto il marcio che stava emergendo: visibile per chiunque avesse il coraggio di vedere, capire e denunciare. Ma la voce di Imposimato era del tutto isolata, tutti gli altri al solito “consociativamente” d’accordo perchè non venisse posto alcun freno ad un affare comodo per tutti. Tranne che per gli italiani.
Consultando l’indice dei nomi di “Corruzione ad Alta Velocità” salta subito agli occhi un particolare: il personaggio di gran lunga più citato è quello di Ercole Incalza, il super manager amato e voluto da tutti gli inquilini del Palazzo. Vediamo, di seguito, in rapida carrellata, alcuni passaggi tratti dal libro.
Da pagina 40. “Imposimato, in quella seduta della Commissione antimafia, sembra un fiume in piena, l’aula è stranamente silenziosa e attenta. Ed ecco il primo affondo: il relatore fa il nome di due società scelte per l’esecuzione dei lavori dell’alta velocità. Sono due società ben note all’antimafia delle passate legislature: la Icla e la società Condotte. La prima è stata messa sotto accusa anche dalla commissione presieduta da Osca Luigi Scalfaro che indagò sul dopo terremoto del 1980. La seconda vide finire in manette il suo presidente, l’ex comandante dei carabinieri Mario De Siena, arrestato per legami con il clan Alfieri, uno dei più potenti della Campania. Ebbene – si chiede Imposimato – perchè e soprattutto chi ha scelto proprio queste due società per lavori che avvengono in un’area ad alta densità mafiosa? Imposimato ne ha un po’ per tutti. Senza peli sulla lingua chiama in causa anche l’amministratore delegato della Tav spa – la società principe per la gestione dei lavori di costruzione del treno ad alta velocità – Ercole Incalza, al quale lo stesso Imposimato aveva chiesto una relazione molto puntuale. La relazione è invece evasiva e omertosa, sospetta e deplorevole. Il dispendio di aggettivi non manca. Incalza se ne dorrà. Chiederà di essere ascoltato dall’antimafia. Non sarà convincente. E finirà anche lui poco dopo dentro fino al collo nell’inchiesta della magistratura di Perugia”.
Da pagina 51 e seguenti, dedicate all’audizione di Incalza davanti alla commissione antimafia del 1 agosto 1995. “Ci sono diverse cose che Incalza non ha mai spiegato nella sua audizione davanti all’antimafia. In primo luogo perchè la scelta di affidamento dei lavori dell’alta velocità era caduta proprio su imprese in odore di camorra come, ad esempio, le Condotte e l’Icla”. Nel corso dell’audizione, balza con evidenza il nome di Romano Prodi, al vertice dell’Iri (tra i general contractor di spicco). Così dichiara Incalza: “Come amministratore delegato ho firmato la convenzione con il presidente dell’Iri dell’epoca, il professor Romano Prodi. Con lui ho firmato l’atto integrativo; invece la convenzione di quadro l’ho firmata con il dotto Nobili” (il precedente presidente dell’Iri, ndr). Così il Così scrive il Corriere della Sera, in quei giorni: “Alta velocità. Sulle presunte infiltrazioni camorristiche negli appalti della tratta Roma-Napoli, denunciate dall’ex senatore progressista Ferdinando Imposimato, ormai è polemica durissima. Le accuse di Imposimato sono state precise: “L’antimafia aprì un’inchiesta ma non si volle andare avanti”. Con tanto di nomi. Violante, Bargone, Prodi. Sulla vicenda è tornata anche Tiziana Parenti, vice presidente dell’antimafia per spiegare che “in quel periodo Imposimato fu isolato all’interno del suo stesso partito”. E che “si fece di tutto per tenere questa inchiesta sotto tono”. Non solo. La Parenti ha aggiunto che l’attuale sottosegretario ai Lavori pubblici, Antonio Bargone, non dice il vero “quando afferma che non si fece mai il nome di Prodi in commissione. Basta guardare gli atti – ha detto la Parenti – e constatare che “su mia richiesta fu Incalza a specificare che la firma dell’atto integrativo del ’93 alla convenzione era dell’allora presidente dell’Iri Romano Prodi”.
Basilare la ricostruzione effettuata dagli autori a pagina 98 e seguenti. Ecco il succoso incipit: “Tutto comincia nella prima metà del ’93 quando l’ex ministro socialdemocratico Luigi Preti presenta un esposto alla procura di Roma nel quale vengono censurate le procedure seguite per la costituzione della società Tav spa, amministrata da Ercole Incalza. La denuncia viene affidata al sostituto procuratore Giorgio Castellucci. Ma ecco che accade subito qualcosa di inusuale. Nel corso di un vertice per chiarire alcune sovrapposizioni di indagine, vertice che si svolge nel palazzo di giustizia della capitale e al quale partecipano diversi sostituti procuratori di Roma e di Milano, viene deciso lo sdoppiamento dell’appena nata inchiesta sull’alta velocità. Al vertice partecipano anche Castellucci e Antonio Di Pietro. E’ stato lo stesso Castellucci a spiegare, nell’ottobre del 1996, come andarono le cose. Il magistrato romano – è bene evidenziarlo – nel 1993 aveva appena aperto il fascicolo sull’alta velocità, ma Di Pietro – racconta Castellucci – gli confidò che su quell’argomento aveva cominciato a parlare l’imprenditore milanese Vincenzo Lodigiani, secondo il quale intorno al progetto Tav c’era una vera e propria ‘programmazione tangentizia’. Fu così che a Roma rimase l’inchiesta sulla correttezza delle procedure con cui era stata costituita la Tav spa di Incalza, mentre quella sugli appalti per l’alta velocità ferroviari finì a Milano nelle mani di Di Pietro. La trance d’inchiesta presa in carico da Di Pietro a tutt’oggi non si sa che fine abbia fatto. Di Pietro se ne spoglia quando nel dicembre 1994 abbandona la toga”.
Peccato che quelle inchieste al calor bianco, sia a Roma che a Milano (ma non solo) non abbiano prodotto neanche il classico topolino. Peccato siano tranquillamente trascorsi vent’anni abbondanti di vacche grasse per lorsignori, la nutrita band che ha ingoiato vagonate di miliardi pubblici. Peccato che una Corruzione annunciata sia impunemente proseguita per un ventennio. E che solo oggi ci si accorga – senza peraltro non alzare un dito – che la Corruzione è il più grande cancro che ha inghiottito il Belpaese, padre di tutte le mafie e di tutte le lobbies affaristiche. Peccato che chi ha avuto il coraggio di denunciare sia stato isolato come un lebbroso (e con tutti i tentativi di delegittimazione che seguono). Peccato che i media siano stati regolarmente sordi, muti, ciechi e soprattutto zitti. Forse perchè – come ha più volte sottolineato Imposimato – i padroni dei grandi media erano quasi tutti dentro il più grande business di fine millennio.
Post scriptum – Flash su due politici inquisiti dai pm di Firenze. L’ex Pci, Pds, Ds, Pd, il pugliese Antonio Bargone, era stato a fine anni ’80 membro della commissione Scalfaro sul dopo terremoto in Irpinia e Basilicata. Aveva quindi avuto modo di conoscere le imprese di Icla ai tempi dei grandi affari del dopo sisma, Icla che poi ricompare tra le fortunate aggiudicatarie degli appalti Tav. L’altro inquisito eccellente, il Dc, Udc & dintorni, il siciliano Vito Bonsignore, col pallino degli appalti stradali, è molto legato al milieu d’affari che ruota intorno a Paolo Cirino Pomicino e Italo Bocchino, nonché alle sigle di riferimento (nel corso degli anni prima Icla e poi Impresa spa, che ha rilevato la fiorentina Btp e il suo appalto per il tram veloce a Firenze).


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