Produttore, autore, conduttore, tuttofare di un format che in un decennio ha implementato il “tesoretto”, riecco mister Fabio Fazio, primatista di incassi anche per precedenti ingaggi televisivi. Ci risiamo con “Che tempo che fa” ed è stata sufficiente la curiosità da telespettatore della prima serata per capire che con il nuovo contratto milionario la “star” genovese non ha introdotto niente di nuovo, evidentemente indifferente all’insorgere della noia per cose Tv fatte e rifatte. In verità di nuovo c’è la vitrea scrivania del Fazio che un saliscendi porta su e giù rispetto al paino della “ribalta”. C’è anche altro di inedito. Le carte del conduttore, il monitor di servizio e la base sui poggia il sedere Luciana Littizzetto per i suoi dissacratori monologhi, hanno come base un acquario, abitato da pesci importati dall’Asia, come ha chiarito un’ittiologa ospite della trasmissione che si è guardata bene dal ricordare il disagio di qualunque animale costretto a sopportare la cattività. Succede ai leoni, agli uccelli, alle scimmie in gabbia e perché no, ai pesci “rossi”. Osservateli: vanno su e giù nella vasca di ridotte dimensioni, come succedeva ai malati di mente rinchiusi in locali angusti. Per il resto come prima, peggio di prima: esordio musicale con la canzone di successo, intervista ai due attori protagonisti di un film quasi mai da Oscar, pubblicità di un libro della casa editrice “amica”. Poi il tavolone con i soliti noti: l’immancabile Fabio Volo, l’imbalsamata Orietta Berti, le “sconvolgenti” domande di Marzullo, il campione di turno medagliato, la trita boutade di Salemme “che hai mai vinto un oscar, il David di Donatello, Il Leone d’oro, la timida miss qualcosa e i giochi verbali di Frassica con il suo italiano simpaticamente storpiato. Chiedo scusa, dimenticavo che è nuova la promozione di Fazio in prima serata di Rai1. Merita davvero così poco chi è obbligato a pagare il canone a rate che appesantiscono l’onere della bolletta Enel?
I discreti racconti di chissà chi, editi con un colpo di marketing geniale a firma di Elena Ferrante, hanno assunto la dimensione di bestseller planetario per quasi esclusivo merito della pruderie presente nel genere umano, del suo appagante impersonare il ruolo di investigazione vincente che anela a scoprire il “colpevole”. Insomma: l’anonimato, che teoricamente lascerebbe nel silenzio dell’ignorare chi lo adotta, in questa società dei paradossi garantisce fama e successi. Non meno a profitti altrimenti duri da realizzare.
Al caso Ferrante fa eco la vicenda Liberato, anonimo musicante napoletano di cui si conoscono la voce, non i connotati. Del furbo erede canoro della scrittrice/scrittore, in verità esiste una fotografia che però ne ritrae il lato B, in giubbotto con la scritta “Liberato”. Video di successo, una canzone boom su You Tube “Nove maggio”, milioni le visualizzazioni e perfino un premio, ovviamente non ritirato personalmente. Quale mistero cela la grandezza di questo capolavoro musicale che spopola?
Vado su Youtube, clicco su “Nove maggio” e ascolto. Confesso, sono un utente senza competenze specifiche, ma fan della buona musica, classica, leggera, jazz. La canzoncina di Liberato appare tagliata su misura per le ragazzine romantiche della periferia marginale napoletana, dove vivono le loro semplici storie d’amore, storie di un prendersi e lasciarsi tra dolori e rimpianti. Una cosa a metà tra rep e ariette di neomelodici. In due parole? Tanto rumore per nulla.
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