C’è la prova che il Vaticano sapeva. Finalmente, dopo 34 anni di attesa, si sta per squarciare il velo sul giallo di Emanuela Orlandi, la ragazza sparita nel nulla a 15 anni di età. Secondo fonti attendibili, è imminente la ‘bomba’: ossia la rivelazione di documenti custoditi nella super cassaforte della Prefettura della Casa pontificia che svelano non poche trame. E soprattutto dettagliano per filo e per segno le spese sostenute dal Vaticano in una serie di vicende oscure, compresa la permanenza di Emanuela per un certo periodo a Londra.
A riprova, appunto, che il Vaticano sapeva, non parlava, non ha mai collaborato con la giustizia e non ha mai pensato per un istante di restituire la figlia ai genitori disperati, che ancora adesso non sanno darsi pace.
DAL DOSSEIR ALLE CARTE IN CASSAFORTE
La prima svolta a metà giugno di quest’anno, quando la famiglia Orlandi avanza una clamorosa richiesta: ossia un’istanza di accesso, rivolta al Vaticano, per poter visionare atti e documenti relativi al giallo, il cosiddetto ‘dossier‘ di cui da anni si parla – almeno dal 2012 – e di cui nulla è mai trapelato.
Il dossier conterrebbe notizie fino a tutto il 1997. E’ proprio l’istanza della famiglia a indicare la pista giusta: in particolare quando viene fatto riferimento ad “alcune fonti che riferiscono dell’esistenza presso la segreteria di Stato del dossier con dettagli anche di natura amministrativa dell’attività svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento”.
Ma stavolta ci sarebbe ben di più, tra le carte racchiuse nella cassaforte pontificia.
Ecco cosa racconta un esperto di fatti & misfatti vaticani: “nella cassaforte sono contenuti tutti i documenti più delicati del Vaticano circa le spese effettuate nel corso di tantissimi anni. Una sorta di libro mastro delle uscite. A cominciare dai delicatissimi trasferimenti dei fondi dalla banca privata vaticana, lo IOR, verso istituti lussemburghesi, fino alle spese per la sicurezza vaticana. Tra queste note di spesa c’è un preciso riferimento alla vicenda Orlandi. Ci sono le pezze d’appoggio, tutti i riscontri”.
Precisa la fonte: “In particolare, la nota vaticana conservata nella super cassaforte si riferisce alle spese sostenute per il mantenimento di Emanuela Orlandi in una casa di cura privata a Londra, ovviamente sotto falso nome. La circostanza è di enorme rilevanza, perchè si tratta di fondi segreti vaticani. Ma soprattutto perchè è la prova provata che dentro quelle mura pontificie ai livelli più alti sapevano e hanno taciuto. Hanno coperto e non hanno collaborato con la magistratura e soprattutto con la famiglia che cercava disperamente Emanuela da anni. E che ancora oggi continua a cercarla”.
TUTTE LE PORTE IN FACCIA
E caso mai si sente sbattere la porta in faccia, come pochi mesi fa, appunto, è successo dopo l’inoltro della richiesta di accesso agli atti, e cioè al misterioso dossier.
Ecco cosa scrive una nota d’agenzia del 27 giugno scorso. “La madre di Emanuela, tramite i suoi legali Annamaria Bernardini de Pace e Laura Sgrò, aveva chiesto di vedere il dossier su sua figlia conservato alla Santa Sede (la ragazza è cittadina vaticana). Una domanda legittima per una mamma che ha passato la vita a combattere contro mille depistaggi e insabbiamenti e soprattutto contro la sospetta indifferenza della Santa Sede. Dopo 34 anni di silenzio assordante, passa poco meno di un’ora dalla presentazione della domanda ufficiale di visionare il fascicolo e il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, si affretta a rispondore: ‘Il caso è chiuso‘. Quattro parole per liquidare un calvario di 34 anni. Il linguaggio burocratico per liberarsi diplomaticamente di un caso per cui non si è riusciti neanche a confezionare una verità su misura. Archiviato”.
Così proseguiva quella nota d’agenzia: “Emanuela Orlandi non si cerca più. Non è viva e non è neanche morta: è un caso chiuso. Chiuso? E come? La famiglia aveva chiesto al Vaticano di vedere il dossier perchè recentemente alcune fonti, ritenute molto attendibili, hanno riferito informazioni importanti sul destino della ragazza che loro vogliono verificare consultando quel fascicolo. Perchè questo rifiuto così duro?”.
MIA FIGLIA NON E’ UN CASO CHIUSO
Con grande dignità, e al tempo stesso con grande dolore, ha osservato la madre: “Emanuela Orlandi non è un caso chiuso. E’ mia figlia. E io la cercherò finchè il Signore mi terrà in vita”.
Pochi giorni dopo la sua ascesa in Vaticano, alla fine della messa celebrata nella chiesa di Sant’Anna, Papa Francesco, rivolto al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, pronunciò queste parole: “Lei sta in cielo”.
Sarebbe il caso, adesso, che il nuovo corso intrapreso da Bergoglio, deciso a far piazza pulita di vecchi segreti & sepolcri imbiancati, desse un segnale di forza: riconsegnando alla famiglia Orlandi e alla memoria collettiva quella verità. Anche se tragica.
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