Commissione sì commissione no. Da mesi continua la sceneggiata sulla formazione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Dopo che gli istituti di credito ne hanno combinate di tutti i colori in questi anni di vacche grasse per loro e sulle pelle dei cittadini ridotti sempre più sul lastrico, a cose ormai fatte è arrivato il momento di creare lo strumento che – nella storia parlamentare di sempre – non ha mai cavato un ragno dal buco.
Comunque meglio di niente, visto che le inchieste della magistratura – le sole che dovrebbero inchiodare alle loro responsabilità ladri e malversatori – spesso e volentieri lasciano a desiderare. E comunque viaggiono con i soliti tempi biblici, molto più adatti a far di tutta l’erba una bella prescrizione piuttosto che portare verità e giustizia.
Il varo, quindi, appare imminente. E i partiti stanno già preparando i loro assi da mettere in formazione.
Di stretta osservanza renziana il gruppo Pd, che dovrebbe essere capeggiato dal presidente Matteo Orfini, dal braccio destro dell’ex premier al Senato e cioè Andrea Marcucci, e dal tesoriere di casa Pd Francesco Bonifaci.
Ma chi sarà il numero uno? A quanto pare un non Pd. Il più gettonato, a tutt’oggi, è il nome di Pierferdinando Casini, già presidente della Commissione Esteri a palazzo Madama. Un volto che più nuovo non si può.
I Pd temono una focalizzazione delle indagini sulle banche d’area, come Etruria, dove è coinvolto papà Boschi, e il Monte dei Paschi di Siena, uno dei bubboni più grossi.
Ma già mette le mani avanti Marcucci, il rampollo della dinasty che ha trovato la sua fortuna nella lavorazione e nel commercio degli emoderivati (i cui ex dirigenti sono sotto processo a Napoli per la strage del sangue infetto, prossima udienza il 18 settembre): “Tutto non si potrà fare”, già osserva.
Come dire: se sarà una bolla di sapone non è colpa nostra…
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