La faccia immorale del calcio

Non si fa errore se si scrive una cifra con nove zeri. Come direbbe Totò, non sono quisquilie gli euro e i petrodollari trasferiti da cassa a cassa di quello che nel mondo balordo del calcio non ci si vergogna a chiamare “mercato”, considerato che si tratta di giocatori, cioè di persone. I padroni del gioco più diffuso e praticato del pianeta, al tempo dei Borghi, Lauro, Ferlaino, Agnelli, Moratti, Berlusconi, erano industriali appassionati ai primi posti nella graduatoria delle ricchezze aziendali e personali. Quindi nessuna casualità se nelle bacheche di Juventus, Milan, Inter fanno bella mostra di sé coppe e testimonianze di scudetti vinti. I numeri? 33 sono juventini, 18 interisti, altrettanti del Milan. Per tutti gli altri briciole, primati del tutto casuali, quisquilie appunto.

Fanno sorridere ed è un sorriso amaro, i 105 milioni sborsati dal Napoli di don Achille Lauro per regalare ai tifosi Hasse Jepsson, un signor centravanti, e non meno i due miliardi tra contanti e cessione di giocatori, investiti da Ferlaino per il bomber Savoldi. Di altra pasta è De Laurentiis, che gestisce il calcio, come il cinema, per trarne lauti profitti.

Il calcio, investito dallo tsunami di super ricchezze del terzo millennio, fa impallidire il passato e dopo averla sfiorato s’immette con la violenza di un bulldozer nel buco nero dell’immoralità. Il Paris Saint Germain, finito nelle voraci mani degli emirati, non fa una piega alla richiesta del Barcellona e gli consegna duecentoventi milioni di euro (sì, 220) per un giovanotto brasiliano dai piedi buoni, al secolo l’attaccante Neymar. A fronte di questa follia, sembrano bruscolini i 181 milioni dei cinesi versati per far contento Montella, allenatore del Milan con l’“acquisto” di quattro assi della pedata. Dopo l’operazione il saldo del conto è in rosso per 156 milioni , ma i cinesi non fanno una piega ed è inevitabile riflettere sullo sfruttamento dei lavoratori cinesi con paghe da fame.

Tra i club europei al top della spesa ci sono il Barcellona, il Bayern, il Manchester City, con cifre che messe insieme risanerebbero i bilanci di alcune nazioni fortemente indebitate.

A chiare lettere: che senso hanno campionati di calcio inglesi, francesi, spagnoli, italiani, se a dominarli sono abilitate solo le squadre miliardarie?

Il futuro, ma già in qualche misura il presente, è dell’impero cinese che ha già cooptato allenatori e giocatori italiani, o comunque europei, con l’offerta di ingaggi da superstar del cinema: di che sorprendersi se la nazionale dell’Italia rimedia figuracce? Il calcio nel Paese di Rivera, Mazzola, Riva, del grande Torino, è un ricordo labile per nostalgici, offuscato dalle prime della classe che mandano in campo undici giocatori stranieri. Chissà, forse conviene tifare per il Sassuolo e per consorelle che devono accontentarsi di in larga parte di talenti italiani.


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