IL MUSEO MADRE A NAPOLI / DOVE STA L’ARTE ?

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni che un turista veneziano, di passaggio a Napoli, ha inviato alla nostra redazione. Riguardano, in particolare, la visita al Museo d’arte contemporanea che si trova nel cuore antico della città, tra vicoli e panni stesi, a un passo da via Duomo e da piazza Cavour: il Madre.

“Giorni prima ero stato ai due musei su Burri che si trovano a Todi, di grande interesse. Mi ha colpito anche molto la visita al Madre e cerco di spiegarvi subito il perchè”.

“E’ un museo per la verità poco frequentato, eravamo una quindicina di persone in tutto e non si pagava neanche il biglietto, tutto gratis per luglio e agosto ci hanno spiegato quelli del personale, tutti molto gentili e preparati. Speriamo che negli altri mesi ci sia un maggiore afflusso, se no non so come faranno ad andare avanti. E’ vero che l’arte non si mangia ma mantenerne i costi non sarà facile. Perchè è una grossa struttura su tre bellissimi piani e una magnifica terrazza dove dominano il cavallo, l’architetto e la scritta ‘Il mare non bagna Napoli’ ”.

“L’arrivo è stato fantastico. Sembrava già di stare in un museo di arte contemporanea, fra installazioni che più vere non si può. Per strada passa un tizio con maschera antigas, cammina come se niente fosse. Abbiamo subito pensato che si trattava di un’opera d’arte fuggita dal museo per prendersi un caffè. Poi il vetraio appena usciti a destra. Dentro ha un mare di cose, specchi di tutti i tipi ma se gli chiedi un pezzo antico non sa di che stai parlando. Di fronte la botteguccia di un artigiano che ha di tutto, sembra di aprire una scatola e da una cosa esce l’altra, e poi un’altra ancora. Come la scatola del Caffè Torino. O come le due vecchiette che sono sedute nel negozietto 3 metri per 3 e leggono la Bibbia. Ci siamo chiesti se eravamo già entrati al Madre o non ancora”.

Bello il piano terra, subito a sinistra quelle magiche installazioni, le grandi strutture metà umane metà disumane, tutte intrecciate, e quei micro piedi con le scarpette. Ti rimane in testa”.

“Poi si comincia a salire. Particolari gli specchi con le luci mobili e per ognuno il suo teschio. Particolari i colori della cabala napoletana, quel 6, quel salire al piano di sopra, e quelle maioliche che ti imprigionano, sotto i piedi. Un gioco di colori da non perdere”.

“Una vera corazzata Potemkin altre cose”.

madre“Tutto un piano è occupato da moquette blu delle più varie pezzature, una prende addirittura un salone gigantesco. Non le puoi neanche sfiorare che arriva la ghestapo. Sono moquette di un bel blu: peccato non regalarne qualche metro al piccolo rigattiere, Giuseppe”.

“C’è poi una sala con rettangolone nero per terra. Nero nero. Cupo cupo. E basta”.

“Ma il massimo è in una grande sala. Ci sono tre cose. Delle tele quasi tutte della stessa dimensione orizzontale, piccoline, tutte spennellate di bianco, tutte identiche. Saranno una ventina sparpagliate per l’ambiente. Poi ci sono altrettante tele, o forse un po’ meno, rovesciate: cioè è la tela capovolta e appesa non si sa come, il retro per intendersi. Poi un paio di variazioni sul tema: un filo nero, della stessa dimensione rettangolare, che copre il vuoto”. Boh.

“Ma ci sono opere stupende che ho visto in tutti i piani. Ti affacciavi alla finestra e vedevi lo spaccato di un vicolo, una serie di balconi quasi a portata di mano. Una sequela di tetti colorati. Una miriade di panni stesi. Delle figure in lontananza, dei rumori sullo sfondo. Poi, su un tetto, una lunga scala inclinata. Ho chiesto se era un’installazione o una semplice scala. Mi hanno detto che era una delle più preziose opere, ma non ricordavano l’autore”.

Scendendo, di nuovo nel vicolo, altre installazioni.

Ma il museo dove sta?

P.S. Non ho voluto citare nessun autore del Madre per non fare pubblicità. O spubblicità.


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