Charlie è nato lo scorso 4 agosto in Inghilterra, apparentemente in buona salute. Ma dopo otto settimane ha cominciato a perdere forze e peso. Portato al Great Ormond Street Hospital di Londra, il più importante ospedale pediatrico inglese, gli è stata diagnosticata una rara malattia genetica, la sindrome di deperimento mitocondriale, che provoca il progressivo indebolimento dei muscoli; ha già perso la vista e l’udito. Come Charlie ci sono soltanto sedici casi al mondo. Ora il bambino è in terapia intensiva, intubato, riesce a sopravvivere grazie ad una macchina che gli apre e chiude i piccoli polmoni, permettendogli di respirare. Secondo i medici e i vari tribunali coinvolti, non ha speranze di sopravvivere a lungo, per cui meglio staccare le macchine per evitargli ulteriori sofferenze, e lasciarlo morire. «È uno dei casi più tristi che siano arrivati di fronte a questa corte», ha commentato uno dei giudici. Invece genitori del piccolo stanno lottando con tutte le forze e con tutti i mezzi contro questa decisione.
Di fronte a un caso limite e raro come questo, siamo assaliti da dubbi e domande: chi ha diritto di decidere della vita e della morte di un bambino? I genitori, i medici che lo hanno in cura o i giudici? Non è un quiz la cui risposta è semplice e unica, ma è una questione complicata che riguarda vita, scienza, tecnica, legge e religione. È il dilemma che prima o poi qualcuno dovrà sciogliere con coraggio. E’ una vicenda complicata che riguarda il rispetto della vita come bene supremo e l’accettazione della morte, il limite della sofferenza e l’accanimento terapeutico, l’uso dell’essere umano come cavia nella sperimentazione di nuove possibili terapie.
Charlie è diventato la metafora dell’intero dramma umano e poteva essere lo stimolo per una riflessione seria su tutti i problemi, i drammi e le speranze che l’umanità affronta quotidianamente. Invece è diventata l’occasione per l’ennesimo teatrino dell’ipocrisia. Oltre agli onnipresenti laici devoti che si eccitano quando possono creare confusione sui cosiddetti “principi non-negoziabili”, la Santa Sede è scesa in campo, a gamba tesa, attraverso l’Ospedale pediatrico “Bambin Gesù” di Roma, che propone una improbabile cura sperimentale.
Forse l’unica domanda che dovremmo porci è: come mai lo stesso interesse non si riscontra per milioni di altri bambini ancora meno fortunati di Charlie? Bambini nati sani e fatti a pezzi dalle bombe in Siria, in Iraq e nelle cento guerre che si combattono nel mondo; bambini costretti a sopravvivere con poche cure dopo essere saltati su qualche mina; bambini che l’egoismo del nord del mondo fa morire di fame e di banali malattie nel sud, ricco di risorse derubate dal nord. Milioni di bambini lesi nella loro integrità, nella loro dignità, cui è sottratto il diritto ad un domani dignitoso, il diritto ad ogni sorta di sviluppo: fisico o mentale, sociale, morale o culturale. Bambini calpestati nei loro più elementari diritti, forzati a fare il soldato, obbligati a prostituirsi o vittime della pedofilia, ridotti in schiavitù, costretti a lavorare per le multinazionali. Bambini senza istruzione, profughi, clandestini, torturati, niño de rua, desaparecido, affamati, sfruttati, maltrattati…
Bambini per i quali solo pochi si indignano e non si fanno campagne di solidarietà. Bambini muti per i quali pochi o nessuno grida.
Quanti bambini migranti nascono in buona salute e potrebbero vivere una vita sana se non li lasciassimo annegare nel mar Mediterraneo?
E’ tremendamente vero, non so dare una risposta alla domanda se Charlie deve continuare a vivere una vita di sofferenza o se bisogna, con umanità, lasciarlo morire. E non so chi ha ragione tra i genitori, i medici e i giudici. So che io non vorrei vivere così, né da bambino, né da adulto. E sono tremendamente certo che il piccolo Charlie vale quanto il piccolo senza nome annegato nel mare della nostra ipocrisia, morto sotto le bombe delle nostre “guerre giuste”, crepato di stenti per il nostro egoismo disumano.
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