Dopo un lungo letargo ed errori macroscopici, improvvisamente si desta il pm della procura di Milano Marcello Tatangelo, che mesi fa aveva praticamente messo una pietra tombale sul processo Caccia, ossia l’assassinio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, avvenuto 33 e passa anni fa e ancora oggi senza giustizia.
Mesi fa, infatti, imperturbabile il pm aveva ammesso: “tutti gli atti del procedimento sono affetti da inutilizzabilità, anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare. E’ stato un errore, un errore incredibile”. Ma del quale nessuno ha pagato, ovviamente, il fio.
Così continuava la Voce, in una cover story di fine 2016 che potete leggere cliccando sul link in basso. “Lo ha appena ammesso (l’errore, ndr) il pm di Milano Marcello Tatangelo, il magistrato che insieme a Ilda Boccassini festeggiava in conferenza stampa la soluzione di un giallo durato 30 anni. E che oggi, invece, è costretto a firmare di suo pugno l’esecuzione capitale dell’inchiesta. Rocco Schirripa sarà fuori dal carcere molto presto, forse già questa mattina”. Si trattava del 28 novembre 2016.
“Tutto da rifare. Una montagna di indagini che vengono cancellate con un ‘clic’, per ‘distrazione’”.
E allora la figlia del procuratore coraggio, Paola Caccia, dichiarava: “mi sono chiesta spesso se la verità non stia fuori dal perimetro del processo che ora rischia di saltare. E mi riferisco all’inchiesta che mio padre stava seguendo prima d’essere ammazzato, in particolare sul riciclaggio al Casinò di Saint Vincent e sui rapporti tra il Casinò e la criminalità organizzata. Nei primi tempi si indagò in quella direzione ma poi quel filone si arenò”. E concluse: “Ci hanno detto invece che mio padre è stato ucciso dal clan dei calabresi perchè aveva tenuto in carcere per errore uno di loro”.
Ma a quanto pare il processo s’è desto. E il pm anche. Il quale, caduto, ora si sta rialzando, secondo le sue stesse parole, pronunciate in occasione dell’udienza che si è tenuta a metà maggio: “il percorso del processo è stato complesso, ma siamo caduti e ci siamo rialzati”. Lazzaro nel regno di codici e pandette, speriamo bene, anche se 33 anni non sembran pochi.
Di quell’udienza fornisce un dettagliato resoconto Antimafia 2000. “’A disposizione della Corte c’è una pluralità di elementi di prova che vanno valutati in modo congiunto’. A dirlo è statto il pm Marcello Tatangelo, durante la requisitoria davanti alla prima sezione della Corte d’Assise di Milano”.
Meglio tardi che mai.
Così prosegue Antimafia 2000. “Caccia, ha proseguito il pm, fu ucciso per il suo ‘estremo rigore’ in quanto si stava interessando alle ‘attività finanziarie’ del clan calabrese guidato da Domenico Belfiore”. Per fortuna, l’estremo rigore…
E ancora Antimafia: “Il processo è a carico di Rocco Schirripa, finito in carcere nel dicembre 2015 e considerato l’esecutore materiale dell’omicidio del magistrato, per il quale il mandante Belfiore è stato già condannato in via definitiva all’ergastolo. L’allora procuratore di Torino, secondo Tatangelo, fu assassinato in quanto, nonostante la compiacenza di alcuni magistrati vicini alle cosche, avrebbe impedito all’organizzazione mafiosa di ‘fare affari’”. Cose mai sentite prima.
Non è fintia. “In un dialogo con un altro esponente del clan – continua Antimafia 2000, riportando le parole di Tatangelo – Belfiore disse che con Caccia come procuratore, pur avendo amici in magistratura, per noi non c’è niente da fare”.
Infine, “la goccia che fece traboccare il vaso e che spinse Belfiore a dare mandato di uccidere Caccia, fu la vicenda giudiziaria del cognato Placido Barresi, finito in carcere per alcune perizie ritenute false”.
La goccia? Ma c’era bisogno di un’altra goccia e di tipo del tutto diverso per motivare un omicidio già motivabilissimo per via dei maxi riciclaggi via Casinò? Ha proprio ragione Paola Caccia…
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30 novembre 2016
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