Politicamente c’è chi si avvantaggia delle stragi che insanguinano il mondo. Sono i secessionisti, gli xenofobi, chi erge muri anti emigrazione, chi espelle i profughi senza distinguere tra esuli da guerre e fame e pseudo islamizzati indotti al suicidio-omicidio, plagiati da farneticanti sanguinari che inculcano odio e promettono l’utopia impossibile in una vita ultraterrena di gloria, garantita da Allah. E’ opportuno riflettere sulla tempestività degli attentati, alla vigilia di consultazioni elettorali che mettono in gioco le due sponde della destra razzista e delle opposizioni più o meno democratiche. A chi giovano le stragi, la paura, l’impotenza nel prevenirle, i kamikaze assoldati dal Califfato? Nessun dubbio, sono una buona sponda dei Trump, May, Le Pen, in Italia di Salvini, Meloni, Casa Pound. E’ toccato a Manchester pagare un orrendo tributo di vite, strappate al piacere ludico di un concerto. La nuova tragedia toglie ogni spazio di ottimismo a chi spera di contrastare il terrorismo con misure straordinarie di difesa preventiva. Non si può, inutile illudersi. Con velocità vicina alla simultaneità dell’attentato di Manchester, Trump e Putin, hanno offerto collaborazione all’Inghilterra, ma non solo alla May, per sconfiggere l’Isis. La disponibilità non suscita meraviglia. I due capi dei Paesi più potenti del mondo, Cina permettendo, sono in acclarata sintonia nel sostenere con ogni mezzo l’onda lunga del populismo, in Gran Bretagna impersonato dalla May che potrebbe avere buon gioco sui competitori labour con la sua politica di autarchia xenofoba. Esattamente come ha tratto profitto (con percentuali di voto spropositate per la destra estrema francese) la neofascista Le Pen. L’Italia, per nostra fortuna, ancora non ha subito le conseguenze di attentati. Bravi noi a prevenire o solo un rinvio ai giorni che precederanno le elezioni politiche, per far convergere consensi sulla destra? L’Isis è decisamente di destra, e si prefigge di destabilizzare l’Occidente?
Cambia la testa, il corpo nemmeno se ne accorge e lo status quo ante vegeta beato nel suo terreno incolto, più erbacce che fiori: a contare gli avvicendamenti dei vertici che governano la Rai in viale Mazzini c’è da perdersi, ma peggio è tradurre le innumerevoli presenze in decisioni ottimizzatrici dell’azienda radiotelevisiva. Default. Il tappo che preclude il via alla rivoluzione invocata teoricamente dall’intero sistema politico, ma nei fatti ostacolato da tutti, non salta via dal contenitore su cui da sempre è gravata l’ipoteca dei partiti. Altro che manuale Cencelli: è capillare la spartizione di spazi, uomini di vertice, dirigenti e responsabili dell’informazione, star dello spettacolo, redattori e giù, giù, perfino di manovali e addetti alle pulizie. Il culmine dello sperpero pro domo sua (di destra, sinistra, centro) è platealmente l’abnorme e incoercibile frammentazione delle testate giornalistiche, ognuna con referenti di partiti, potentati economici, ecclesiastici. Ultimi a salire in groppa al cavallo di viale Mazzini sono stati la presidentessa Monica Maggioni e il direttore generale Dall’Orto, quest’ultimo reduce da guai finanziari cosmici in La7. Il presunto deus ex machina proiettato sulla poltrona più determinante della Rai ha fallito clamorosamente e il suo piano per l’informazione è stato bocciato dal consiglio di amministrazione. Punto e a capo. Chi succederà a Dall’Orto e con quale garanzia di autonomia nella rottamazione di un sistema obsoleto, patologicamente avvelenato dall’ingerenza delle segreterie di partito? Niente fa pensare a un alleluia di rigenerazione e chissà che stavolta non la spunti De Bortoli, libero dal veleno che lo ha spinto a imputare Renzi e la Boschi (che l’ha querelato) di non trasparenza per vendicare il mancato incarico, poi toccato a Dall’Orto.
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