A 40 anni esatti dalla posa della prima pietra, rischia di saltare il coperchio sulla metropolitana di Napoli, l’opera pubblica con ogni probabilità più cara al mondo – quasi il doppio della consorella romana – affidata anni fa dal Comune di Napoli ai più grossi mattonari senza lo straccio di un progetto, sperperi a non finire, varianti, sorprese geo-archeologiche, costi lievitati in maniera esponenziale. Tanto che a tutt’oggi è impossibile sapere quanti miliardi di lire prima e di euro poi abbia inghiottito.
Dopo un paio di inchieste della magistratura finite in flop, nel silenzio più totale dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone – che invece su Roma ha puntato i riflettori – adesso arriva per la prima volta la Corte dei Conti, che da Roma ha cominciato a chiedere una sfilza di carte e documenti a palazzo San Giacomo.
Il tutto mentre i trasporti cittadini sono in pieno caos, con il direttore generale della ANM (non l’associazione delle toghe, ma l’Agenzia Napoletana di Mobilità) Alberto Ramaglia, per anni indiscusso e super pagato ras, che ha deciso di dimettersi, vista l’impossibilità di raddrizzare i conti. Subito si è aperto il bando di gara per la successione, un centinaio di domande già ai nastri di partenza. Riusciranno mai lorsignori a rappezzare una barca che da anni fa acqua da tutte le parti? Anche i trasporti regionali, in stato comatoso, sono la principale voce di rosso in bilancio, secondi solo alla sempre strasforacchiata sanità. Incredibile ma vero: Napoli e la Campania al top della spesa per i due settori e cenerentola assoluta per la qualità dei servizi resi ai cittadini. Da quinto mondo.
CARTE AL VAGLIO DELLA CORTE
Ma vediamo cosa bolle in pentola alla Corte dei Conti.
Spiega un funzionario: “Per adesso a Roma hanno messo gli occhi sui lavori per la Linea 1, e non ancora per quanto riguarda la Linea 6, altra gigantesca fonte di sperperi. Ufficialmente risulterebbe che i costi fin qui sostenuti per la Linea 1 siano di circa 4 miliardi e mezzo: la Corte a questo punto vuol verificare se davvero sia così, se le cifre cioè siano proprio quelle e soprattutto la congruità delle stesse cifre con i progetti, i collaudi e le opere effettivamente svolte. C’è un mare magnum praticamente inestricabile di carte da dover esaminare, visti gli anni trascorsi, la molteplicità di soggetti coinvolti, le tante stazioni da passare sotto esame. Se alla fine di questo complesso iter risulteranno della anomalie, cioè si configurerà un danno erariale, a questo punto le competenze passeranno alla Corte dei Conti di Napoli, che dovrà individuare le responsabilità, nome per nome, e irrogare le sanzioni previste dalla legge. Potrà essere uno tsunami”.
Ma i tempi previsti sono non brevi, come purtroppo succede nel Belpaese a protezione dei delinquenti e soprattutto di chi svaligia le casse dello Stato. Dopo Corte 1 e Corte 2, infatti, ci saranno sicuramente i ricorsi dei sanzionati e quindi i procedimenti di secondo grado.
Mentre – se così continuano le cose – la giustizia penale se ne sta con le mani in mano e l’Anticorruzione continua a guardare.
La Voce ha più volte cercato di accendere i riflettori sull’opera più mangiasoldi che si ricordi: basti pensare al costo per chilometro, che ormai viaggia a Napoli a quota 350-400 milioni di euro, a fronte dei 170-180 di Roma – che non presenta certo meno sorprese geologiche lungo il percorso – e dei 100 appena per il tunnel sotto la Manica, forse un pochettino più rischioso e complesso, e per giunta realizzato in un periodo di tempo ben definito, otto anni.
Mentre a Napoli il taglio del nastro avvenne addirittura nella primavera del 1977, quarant’anni fa suonati. E c’è ancora chi ricorda le prime ruspe nei cantieri: facevano capo ad una piccola impresa di movimento terra da Casal di Principe, il titolare, un rampante giovanotto, si chiamava Michele Zagaria. E’ proprio da lì che comincerà l’irresistibile ascesa di uno dei capi dei Casalesi. Così come con il terremoto dell’80 si consoliderà quell’escalation, grazie ai pingui fondi per i subappalti della ricostruzione.
Un copione che sembra partorito dalla fantasia di Monicelli per un Totò in forma smagliante, quello del metrò made in Napoli. Ecco qualche istantanea.
Si racconta che quando doveva partire, convocata al ministero a Roma, una delegazione di assessori, a Palazzo San Giacomo non si sapeva che pesci pigliare: non c’era ancora un progetto definitivo, poche carte, tante idee ma poca sostanza. E cosa successe? Un consigliere aveva un nipote che si stava laureando in ingegneria, tesi sul sottosuolo di Napoli. Bene, lo chiamò, gli chiese della tesi, se la fece vendere e con quella in mano i prodi assessori presero il treno per Roma. Tutto ok, quei primi progetti di conoscenza del suolo valsero il primo disco verde.
PRONTI, VIA? SIAMO SU SCHERZI A PARTE…
In tempi molto più recenti, inizio duemila, si narra che per molti cantieri mancasse la VIA, ossia la Valutazione d’impatto ambientale, ormai necessaria anche per realizzare una veranda. Ebbene, cerca qua cerca là, gli uffici di palazzo San Giacomo vengono rivoltati come un calzino e non salta fuori niente. Persa. Poi ci si chiede: ma è stata mai approvata? Boh. Non resta da fare altro che andare al comando dei carabinieri e presentare una bella denuncia. Carte sparite. Qualcuno, di tutta evidenza, le ha sottratte. I soliti ignoti. Intanto però i lavori sono iniziati, in modo a questo punto clandestino. Che fare? Semplice, riallestire una delibera, farla andare in consiglio e approvarla. Elementare, Watson.
Il seguito saprà soddisfare tutti i palati, a caccia di sperperi, conflitti d’interesse, follie allo stato puro: sempre a danno dei cittadini (e auguriamoci che la Corte dei Conti finalmente lo sveli) e mai di lorsignori, che anzi se la ridono a botte di miliardi prima e di milioni poi.
Partiamo da alcuni progetti base, dopo l’avventuroso start. A confezionarne un bel po’ una star del settore, la Rocksoil della famiglia Lunardi, sigla intestata ai rampolli dell’ex titolare delle Infrastrutture – in palese conflitto d’interessi, perchè il periodo coincide con quello ministeriale – nell’esecutivo Berlusconi, Pietro Lunardi.
Eccoci poi ad altre star, stavolta del mattone. In prima fila la Vianini del gruppo Caltagirone (la dinasty è proprietaria tra l’altro del Messaggero e del Mattino, che a Napoli glissa spesso e volentieri sulle debacle del metrò), la parmense Pizzarotti (già in prima fila con il dopo terremoto in gemellaggio con la pomiciniana Icla), la Astaldi, la Salini Impregilo. Per i lavori killer alla Riviera di Chiaia (è in atto il processo per il crollo dello storico palazzo Guevara dove per miracolo si è evitata una strage) è scesa in campo anche l’Ansaldo.
Qualche spigolatura. Sapete chi è stato per anni responsabile dell’ufficio comunale incaricato di seguire i lavori? Uno dei dirigenti, all’epoca, più potenti di palazzo San Giacomo, Gianfranco Pomicino, cugino di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino (il quale dal canto suo è anche cugino di secondo grado del sindaco Luigi de Magistris).
E sapete chi per anni è stato presidente di Metronapoli, la concessionaria del Comune che tiene i rapporti con tutte le imprese impegnate nei lavori? Giannegidio Silva, rimasto in sella per quasi un ventennio (è scomparso nel 2015). Silva proveniva direttamente dalle fila dell’impresa del cuore di ‘O ministro, l’Icla, dove occupava una posizione di rilievo nello staff di vertice.
Lavori costati un occhio, come abbiamo visto, ma eseguiti certo non a regola d’arte, nonostante le tante opere d’arte che cercano di distrarre il viaggiatore ingolosendone l’occhio (ma sono costate anch’esse un occhio). Ha più volte notato il geologo Riccardo Caniparoli: “I sistemi di sicurezza non sono adeguati, d’estate si muore di caldo, si soffoca, d’inverno si gela, i sistemi di aerazione non funzionano bene, le stesse vie di fuga andrebbero migliorate. Quando poi piove rischia sempre di allagarsi tutto, come è già successo in modo clamoroso alcune volte, con gravi rischi per l’incolumità dei passeggeri”. Insomma, un calvario.
Molti lavori, poi, hanno a loro volta messo a repentaglio la stabilità di intere zone, di palazzi, condomini, chiese. E’ cominciato a succedere nel 2008, quando un comitato di inquilini della zona di piazza Municipio, quindi nel cuore di Napoli, ha denunciato i fatti alla procura della Repubblica di Napoli: crepe nei palazzi, squarci, staticità in pericolo, il tutto con tanto di dati, rilievi, foto. Durata alcuni anni l’inchiesta si è persa fra le nebbie partenopee, fino ad approdare alla sospirata – per lorsignori – archiviazione.
ARRIVA CASCETTA VERSIONE SAN GENNARO ?
E’ continuato a succedere l’anno scorso, quando una serie di chiese del centro storico hanno dovuto chiudere i battenti o limitare l’accesso di fedeli e visitatori per pericoli alla stabilità. Così è successo a piazza Trieste e Trento, a San Pasquale, in piazza Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone. In quest’ultimo caso s’è sbizzarrito il progettista Uberto Siola, già archistar del mostro urbanistico di Monteruscello (la Pozzuoli bis inventata a tavolino dopo il bradisisma del 1983), che ha ideato come stazione un cono rovesciato che si fionda nelle viscere di Napoli. Un progetto ardito e complesso – assicurò l’un tempo assessore pci – ma realizzato in perfetta sicurezza per tutti i cittadini. Si è visto poi con i crolli in chiesa.
Ma chi sarà mai il salvatore della Patria? E’ pronto in rampa di lancio il padre spirtuale e non solo del metrò, Ennio Cascetta, che tra un mese e mezzo dovrebbe essere nominato presidente di Metronapoli, occupando quella poltrona lasciata da Silva e nell’interregno occupata dal presidente del collegio sindacale, Roberto Cappabianca.
Da assessore regionale con la giunta guidata da Antonio Bassolino, Cascetta ha seguito passo passo chilometro per chilometro, tutti i cantieri e le stazioni. Da fine 2015 il ministro per le Infrastrutture Graziano Del Rio lo ha voluto al suo fianco come coordinatore della Struttura tecnica di missione, un ruolo chiave a lungo ricoperto dal brasseur di Stato Ercole Incalza, poi finito nelle maglie dell’inchiesta sugli appalti per le grandi opere avviata dalla procura di Roma.
Sarà in grado, Cascetta, di salvare la sua creatura dagli strali della Corte dei Conti? Di spiegare alle toghe contabili capitoline e poi a quelle napoletane che ogni spesa fu buona e giusta?
Insomma, sarà capace di trasformarsi, miracolosamente, in San Gennaro?
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2 pensieri riguardo “MAXI SPERPERI ALLA METROPOLITANA DI NAPOLI / INDAGA LA CORTE DEI CONTI”