Le politiche di austerità e di macelleria sociale del governo tecnico di Mario Monti, insediatosi a fine novembre 2011, invece di salvare l’Italia con la riforma delle pensioni, il dramma degli esodati ed altre misure per salvare le banche, non ha fatto ripartire l’economia, ma ha ammazzato la crescita economica, aggravando la crisi con un costo di circa 300 miliardi di euro sul Pil. Lo scrive nero su bianco il ministero dell’Economia, in una paginetta a pagina 17 del Piano nazionale di riforma (Pnr), uno dei tre pezzi di cui si compone il Documento di economia e finanza (Def) approvato dal governo il 12 aprile, dal titolo (link allegato) : “Una valutazione del ‘Salva Italia’ con la nuova variante del modello Igem con frizioni finanziarie”.
La manovra di Mario Monti di tagli, tasse e stretta sulle pensioni, invece di salvare l’Italia dalla bancarotta nel dicembre 2011, (che in realtà ha salvato le banche),ha finito di distruggere l’economia italiana con una minor crescita per circa 300 miliardi di euro dal 2012 al 2015.
La nuova stima degli economisti del Tesoro, pubblicata a pag 17 (pag. 407 del Def, come è stato riportato oggi da un articolo del Fatto Quotidiano firmato da Carlo Di Foggia e Marco Palombi), “gli effetti prospettati sono indotti solamente dalle misure correttive dei conti pubblici”, ha deteriorato le condizione di offerta di credito, causando un aumento medio del rapporto tra le sofferenze (i crediti inesigibili) e il capitale bancario pari al 6,2% tra 2011 e 2015”, aggravando col decreto “Salva Italia” gli effetti recessivi del consolidamento fiscale sia sul Pil sia sulle principali componenti della domanda (consumi e investimenti).
Il premio per il finanziamento esterno aumenta e così il costo che le imprese devono sostenere per finanziarsi – scrive il Tesoro – mentre l’aumento del costo dell’ indebitamento spinge le imprese a ridurre gli investimenti, deteriorando così ulteriormente le prospettive di profitto e quindi il valore degli investimenti stessi, ampliando lo choc.
L’austerità imposta dal Fiscal Compact ai Paesi Ue e realizzata in Italia soprattutto dal governo Monti, hanno ridotto di quasi il 10% gli investimenti e del 3,6% i consumi tra il 2012 e il 2015, riducendo gli effetti sulla ricchezza prodotta in Italia (il Pil) del 4,7% in media, cioè circa 75 miliardi l’ anno per quattro anni, vale a dire circa300 miliardi di euro.
La stretta fiscale ammontava a 26 miliardi nel 2012, per poi salire a 31 nel 2013 e a 33 miliardi nel 2014, divisi nel triennio tra 65 miliardi di “maggiori entrate” (Imu, Tares, aumento dell’ addizionale Irpef regionale,ecc. e 25 miliardi di “minori spese” (cioè tagli). Invece di ridurre il deficit pubblico e far calare il rapporto debito/Pil rassicurando i mercati, provocò un aumento dello spread, pattestato stto i 400 punti, fino a 515 punti del 23 dicembre 2011 quando il testo ottenne l’ ok definitivo del Parlamento.
La conferma dello studio del Mef che le politiche di austerità hanno ammazzato la crescita, aumentato disuguaglianze e povertà, compresso i consumi, aggravando una crisi economica, politica e sociale che non è ancora tutta da risolvere.
Nella foto Mario Monti
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http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/057/005/00000026.pdf
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