Ogni anno buttiamo dalla finestra palate da milioni di euro per matenere in vita quel che dovrebbe essere da anni morto e sepolto. Ovvero il cuore letale delle centrali nucleari, il cosiddetto ‘vessel‘. Invece di pensare a un piano definitivo di smantellamento, il nostro Paese da un lato sperpera milioni e milioni di euro per pagare costi e personale, dall’altro non riesce a partorire un topolino, sul fronte del reperimento di un luogo dove scaricare per sempre tutta la monnezza mortale.
Che però ci costa un botto.
Sono le follie del Belpaese, che si ritrova ancora a che fare con il carrozzone di una società pubblica, la Sogin, controllata dal ministero dell’Economia, per anni guidata da un generale tutto stelle, Carlo Jean, oggi docente all’Università maltese in Italia, il Link Campus, fondato dall’ex ministro degli Interni negli anni delle stragi di mafia, Vincenzo Scotti, cui subentrò, dopo Capaci, l’altro pezzo da novanta di mamma Dc, Nicola Mancino.
Oggi capitanata dal presidente Mario Ricotti e dall’amministratore delegato Luca Desiata, Sogin si trova sommersa dai debiti: cifre che dovranno pagare tutti gli italiani per continuare a tenere in vita bombe nucleari e aspettare come Godot qualcuno dal cielo che risolva il problema.
L’escalation dei costi di tutte le componenti è sbalorditiva. Non solo costi fissi per personale e sicurezza, ma anche per il vero e proprio decommissioning – la dismissione – pari a un centiniaio di milioni l’anno, nonchè per la gestione del ciclo dei combustibili.
C’è poi tutto il capitolo, onerosissimo, dei rimborsi Enel: secondo calcoli attendibili, i rimborsi per l’ente elettrico e le imprese appaltatrici toccano la stratosferica cifra di 7 miliardi di euro, quasi una finanziaria.
Per completare tutto il decommissioning – stando agli ultimi calcoli – ne servono tre volte tanto, una ventina abbondanti. Una cifra folle in tempi di crisi.
Senza contare, poi, la quesitone del mega deposito per tutte le scorie radioattive, di cui si parla da anni. Nessuno lo vuole, tra le comunità locali, ovviamente nessuno ne vuol sentire neanche parlare. Con una ‘Carta’ dei siti che da anni è sotto montagne di naftalina.
Due i bubboni più grossi. La centrale del Garigliano, tra le province di Napoli e Caserta, e quella di Saluggia, nel Vercellese. La prima dovrebbe fare da ‘cavia’ per il prossimo esperimento: smantellarne il cuore, il ‘vessel’, impresa di cui in realtà si disquisisce da trent’anni e passa, i primi articoli della Voce risalgono al 1985.
La seconda custodisce i rifiuti liquidi radioattivi più pericolosi, che anni fa rischiarono di esondare per via di una piena della Dora Baltea.
Scenari da brivido e spese continue. Ma lorsignori se ne fottono, rimuovono il problema e preferiscono che a pagare, sia con i soldi che con la salute, siano i cittadini.
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