E finalmente nel giallo Romeo spunta adesso l’appalto targato Inps.
La Voce ne scrisse, con una cover story, “Romeo e il Buon Consiglio”, tre anni e mezzo fa, ottobre 2013. E ora le manovre intorno all’Inps fanno capolino tra le carte dei magistrati partenopei capitanati da Henry John Woodcock, i quali cercano in tutti i modi di conservare alcuni filoni d’inchiesta dopo il passaggio del caso alla procura di Roma.
Così scrive in un lungo articolo del 16 marzo per il Corriere della Sera l’inviata Fiorenza Sarzanini. “Il nuovo filone d’inchiesta avviato sulle attività di Alfredo Romeo si concentra sugli appalti per le pulizie al palazzo di Giustizia di Napoli. Ma è soltanto l’ultimo anello di una catena che – oltre alla gara Consip da quasi tre miliardi di euro – comprende anche i suoi rapporti con l’Inps”.
E più in dettaglio: “tra i filoni al centro delle verifiche dei magistrati c’è il rapporto tra Romeo e il direttore generale del Patrimonio dell’Inps Daniela Becchini. E in particolare un incontro avvenuto nell’ottobre scorso”.
L’inchiesta della Voce, invece, risale a tre anni prima, ottobre 2013, a dimostrazione dello spiccato interesse del re del Global service per quel faraonico appalto, che all’epoca ammontava a 44 milioni di euro.
Continua Sarzanini: “Annotano i carabinieri nella loro informativa: ‘il pomeriggio del 6 ottobre 2016 si reca presso Romeo, come di consueto, Carlo Russo (l’imprenditore farmaceutico toscano amici del babbo di Matteo Renzi, Tiziano, ndr). I due scambiano qualche battuta veloce e dopo pochi minuti sono raggiunti dal direttore Becchini. Giova rammentare che Russo con la Becchini si era già incontrato in due occasioni ed in particolare l’ultima volta la settimana precedente si era recato all’Eur per bere un caffè e preparare la strada a questa riunione’. La funzionaria mirava alla carica di direttore generale e le intercettazioni dimostrano la sua convinzione che Romeo potesse aiutarla per la nomina. Per questo – conclude il Corsera – c’è il sospetto che possa essere stato proprio Russo a garantirle appoggi politici di alto livello in cambio della sua disponibilità”.
Oggi, quindi, la magistratura – e anche i media, in pole position il Corsera – scoprono l’affaire Inps. Vale a questo punto la pena di ripubblicare integralmente quell’inchiesta della Voce, ottobre 2013, “Romeo e il Buon Consiglio” (il riferimento è agli ottimi rapporti con alcune toghe apicali in quel Consiglio di stato sempre generoso, con le sue sentenze, nei confronti di mister Global service), sottotitolo “Ennesimo colpo grosso per l’immobiliarista casertano divenuto uno degli uomini più potenti d’Italia. Ma cosa c’è davvero dietro al boom?”.
Leggete di seguito per scoprirlo.
Mettere l’inchiesta così come era, con foto, ma senza fare due passaggi arzigogolati per arrivarci!!
LEGGI L’INCHIESTA IN PDF
qui il testo
ROMEO E IL BUON CONSIGLIO
inchiesta della Voce di novembre 2013
I più attenti osservatori se lo domandano da sempre: qual è la buona stella che ha consentito ad Alfredo Romeo di scalare i gradini dell’alta finanza nazionale, fino a diventare una star che fa piazza pulita di appalti miliardari, in Italia ed ora anche oltre? L’ultimo colpo grosso riguarda la gestione del colossale patrimonio immobiliare targato Inps, una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile e vede ancora una volta il Consiglio di Stato scendere in campo per accogliere le ragioni del Gruppo Romeo, disponendone istantaneamente la collocazione in pole position come vincitore della gara d’appalto con una sentenza addirittura anticipata rispetto alle motivazioni. Qui ripercorriamo il cammino del cosiddetto “Sistema Romeo” con una serie di vicende inedite.
Boccone grosso, l’ennesimo, per la holding dell’imprenditore di origini casertane Alfredo Romeo, che lo scorso 15 ottobre ha ricevuto su un piatto d’argento dalla sesta sezione del Consiglio di Stato un appalto per la bellezza di 44 milioni di euro. Secondo i giudici di Palazzo Spada che hanno sottoscritto il dispositivo (il presidente Stefano Baccarini, il relatore Bernhard Lageder e i consiglieri Vincenzo Lopilato, Maurizio Meschino e Roberta Vigotti) sarà infatti la Romeo Gestioni spa, d’ora in poi, a gestire l’immenso patrimonio immobiliare dell’Inps, subentrando istantaneamente – ed in maniera del tutto imprevedibile – alla Prelios, società che per il Tar Lazio era risultata vincitrice dell’appalto.
«Una sentenza – commentano nella capitale alcuni esperti – mai vista prima, con un dispositivo addirittura anticipato rispetto alle motivazioni, senza che si riscontrino ragioni di particolare urgenza nell’assegnazione della gara. Per giunta – rincarano la dose – con efficacia immediata, tale dunque da rimuovere il vincitore ed insediare all’istante l’impresa targata Romeo, ribaltando la sentenza del Tar Lazio, terza sezione». Una “fretta” che i giudici motivano «considerato che la parte appellante (Romeo Gestioni, ndr) ha dichiarato di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza». Può bastare, l’interesse di una parte, per emanare una sentenza a dir poco fulminea?
Intanto, al di là del merito – che peraltro ha già fatto scattare le proteste dei lavoratori appartenenti alla storica società di gestione del patrimonio Inps, la Igei, che la Prelios avrebbe riassorbito nelle sue fila e sono invece ora tutti prossimi al licenziamento – scatta ancora una volta il quesito rimasto per anni senza risposta: come fa l’ex cameriere di Cesa (piccolo comune in Terra di lavoro che ha dato i natali ad Alfredo Romeo) a fare man bassa dei più grossi appalti pubblici in Italia? Esiste per lui una specialissima “buona stella”? E se c’è, come si chiama?
Noi qui proviamo a tracciare un paio di ipotesi fondate su elementi concreti, partendo proprio dalla più recente vicenda: il dispositivo di Palazzo Spada del 15 ottobre scorso.
PERCHE’ SEI TU, ROMEO?
Già, potremmo chiedercelo shakespearianamente: perché sempre e proprio Romeo?
Andiamo allora a cercare qualche particolare inedito. E facciamo un piccolo, piccolissimo passo indietro. E’ la sera del 10 aprile 2013 quando tutto lo stato maggiore radical chic del Partito Democratico si dà appuntamento al Teatro Quirinetta di Roma per la presentazione del libro “Una città aperta”, dell’ideologo di partito Gianni Borgna. Fra i maggiorenti sul palco, ai lati dell’autore spiccano Valter Veltroni e Francesco Rutelli, i due sindaci piddini che dovevano “cambiare il volto” della capitale. Nelle prime file, in sala, altri notabili dell’era veltroniana, da Goffredo Bettini a Vincenzo Vita, fino all’attuale plenipotenziario del Pd in Senato, l’onnipresente Luigi Zanda. Non potevano mancare i paparazzi di Dagospia che, irriverenti some sempre, immortalano i vip accorsi per la presentazione. Nella vastissima fotogallery un volto non passa a noi inosservato: si tratta di Maurizio Meschino (così indicato anche nella didascalia), la cui partecipazione all’evento appare tutt’altro che inusuale. «Il giudice Meschino, attualmente tornato in servizio al Consiglio di Stato – spiega un dirigente del Campidoglio – è stato per anni capo Gabinetto di Valter Veltroni, dopo aver svolto analoghe, alte mansioni anche con Rutelli sindaco».
La diatriba sulle doppie mansioni dei giudici, del resto, si trascina da tempo. E in un articolo pubblicato a giugno 2001 dall’autorevole Diritto e Giustizia ci si confrontava, fra l’altro, proprio sul “caso Meschino”. «I magistrati nell’esercizio delle funzioni politiche hanno o meno limitazioni per incompatibilità funzionale? La domanda ricorre incalzante durante la seduta pubblica del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, tenutasi ieri (il 5 giugno 2001, ndr) a Palazzo Spada». Questo l’incipit del pezzo che poi, arrivando alla vicenda specifica, così continuava: «All’ordine del giorno troviamo anche la questione di Maurizio Meschino presentata dal presidente della prima commissione, Rastrelli. Meschino è stato indicato per la nomina a capo di gabinetto o di direttore di dipartimento al Comune di Roma. Rastrelli, nel presentare la posizione del consigliere Meschino – già capo gabinetto quando Veltroni era il vicepremier – sostiene che si deve autorizzare la funzione di capo gabinetto del comune di Roma ed escludere tassativamente quella di direttore di dipartimento sempre presso lo stesso ente comunale».
Fatto sta che il consigliere Meschino è stato poi realmente autorizzato ed ha svolto per anni la delicata funzione di capo gabinetto con Veltroni sindaco della capitale. Ma la sua vicinanza politica all’ex Pci risale a tempi ancor più lontani. Perlomeno a quando, l’11 dicembre del 1998, le agenzie batterono la seguente notizia: «Il consigliere della Camera dei deputati, Maurizio Meschino, è stato nominato consigliere di Stato dal Consiglio dei ministri su proposta del presidente del consiglio Massimo D’Alema. Lo ha annunciato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Franco Bassanini in una conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine della riunione di governo».
TUTTE LE STRADE PER ROMA
E fu proprio durante la travagliata permanenza di “Uolter” in Campidoglio che alle imprese made in Romeo andò il consistente appalto riguardante la manutenzione dell’intera rete stradale di Roma. Correva l’anno 2006 quando a Romeo veniva aggiudicata dalla giunta Veltroni la gara da 576 milioni di euro per prendersi cura delle arterie capitoline. Nell’inchiesta giudiziaria che era stata aperta sulla vicenda nel 2008, gli inquirenti facevano notare una lunga serie di stranezze, a cominciare dal fatto che all’aggiudicatario non veniva richiesta, nel bando, una competenza specifica per le strade. Bastava, guarda caso, quella nel campo dei patrimoni immobiliari.
Inoltre fra i partner della cordata Romeo spuntava un conflitto d’interessi palese, per la presenza d’un ex consigliere della società comunale Risorse per Roma, Luigi Bardelli. Tanto che anche l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici scende in campo e diffida il Comune di Roma dall’aggiudicare l’appalto a Romeo. La prima delle società escluse ricorre al Tar Lazio. E vince. Ma anche stavolta interviene il Consiglio di Stato. Che in tempi rapidissimi (siamo a novembre 2007) dichiara legittima l’aggiudicazione alla Romeo.
Intercettato nell’ambito di un’indagine della magistratura di Napoli, Alfredo Romeo parlava con Renzo Lusetti del Pd anche della vicenda romana pendente dinanzi al Consiglio di Stato. Una faccenda da lui stesso definita «questione di vita o di morte». Del resto, non meno decisivo per le casse della Romeo Holding era stato l’appalto vinto, sempre nella capitale, fin dai tempi dell’amministrazione Rutelli: quello per gestire l’intero patrimonio abitativo comunale della città eterna (93 milioni di euro per 44.800 unità immobiliari, distribuite su 1.239 edifici a prevalente destinazione residenziale).
All’indomani di quella vittoria del novembre 2007, per Alfredo Romeo arriva un 2008 zeppo di guai. Si comincia con i temporali, che si abbattono sulla capitale devastandone le strade e provocando la ribellione dei cittadini contro le imprese addette alla “manutenzione”, le sue. E così a novembre 2008 il neosindaco Gianni Alemanno revoca l’appalto stradale a Romeo, cui intanto il Comune aveva già corrisposto 45 milioni di euro per due anni di attività.
Sono solo i primi lampi. Perchè pochi giorni dopo, il 17 dicembre, l’imprenditore viene arrestato e tradotto nel carcere di Poggioreale. L’ordinanza è firmata dai pm partenopei che indagano sull’appalto “Global Service” bandito dal Comune di Napoli e, secondo l’accusa, tagliato su misura per le imprese di Romeo (vedi pagina accanto).
Arriveranno tempi migliori. A parte la condanna in primo grado a due anni per corruzione nell’ambito di quel processo (marzo 2010) e l’inasprimento della pena in appello (tre anni comminati ad aprile 2013), nel frattempo l’immobiliarista continua a macinare grandi appalti.
E quando qualcosa va storto, interviene il Consiglio di Stato. «Non foss’altro – dice un dipendente di Palazzo Spada – che per la stima reciproca necessariamente esistente fra questa alta sede della magistratura e l’imprenditore casertano, visto che è proprio alle sue imprese che il Consiglio ha affidato la manutenzione e la gestione dell’intero complesso…».
Se quindi perfino il Consiglio di Stato è fra i “clienti” della Romeo, non meno altolocato è il portafoglio degli altri enti pubblici che hanno prescelto i suoi servigi. Davvero un parterre de roi: si va dal Quirinale alle sedi dei ministeri, dall’Agenzia del Demanio alle intere caserme di Guardia di Finanza e Carabinieri, senza contare Avvocatura dello Stato, Consip (che significa tutti gli edifici pubblici di proprietà dello Stato), Corte dei Conti, e chi più ne ha più ne metta: i poteri di controllo, a quanto pare, ci sono tutti, o quasi.
IN VOLO SU MILANO
Mancavano in realtà gli scali aeroportuali, ma Romeo ha provveduto nella primavera di quest’anno, aggiudicandosi la gara da 48 milioni e passa bandita dalla Sea per la gestione degli aeroporti di Milano. Tutto liscio come l’olio? «Ma quando mai! Anche stavolta – dice fra i denti un’impiegata della holding partenopea – siamo dovuti arrivare in Consiglio di Stato per vedere tutelate le nostre ragioni…». Arieccolo. E’ il 20 settembre 2013 quando il Collegio presieduto da Stefano Baccarini (con Maurizio Meschino fra i tre consiglieri) si pronuncia definitivamente sulla controversia insorta fra la Sea (Società Esercizi Aeroportuali, che gestisce Linate e la Malpensa) e tre società che avevano partecipato alla gara d’appalto: il CNS (Consorzio Nazionale Servizi), escluso, la srl Dussmann Service, esclusa, e la spa Romeo Gestioni, vincitrice. Una questione intricata, fatta di postille, ricorsi al Tar ed appelli incidentali. In particolare, il CNS si era rivolto al Tribunale amministrativo per l’annullamento della gara, sostenendo che le altre due sigle non possedessero neppure i requisiti richiesti per essere ammesse. Il Consiglio di Stato, con una sentenza articolata in quasi 60 pagine, accoglie le ragioni addotte dalla difesa di Romeo Gestioni sulle diverse questioni sotto esame, a cominciare dal costo della manodopera utilizzata per i servizi di pulizia («appare congruo l’operato di Romeo Gestioni (…)»), per continuare con la quantificazione delle ore necessarie per le lavorazioni («Romeo Gestioni ha, sul punto, offerto puntuali giustificazioni») o sul «valore medio presunto di ore necessarie per svolgere le lavorazioni su base giornaliera», argomento sul quale il collegio recepisce quanto «condivisibilmente osservato dalla Romeo Gestioni».
Le controparti obiettavano che Romeo intendeva dislocare i lavoratori ad altre mansioni, in violazione delle regole. Ma la Corte così ribatte: «Neppure può trovare accoglimento il motivo di appello con cui si torna a sottolineare che la Romeo Gestioni avrebbe apoditticamente preannunciato la propria intenzione di destinare il personale impegnato nella commessa per cui è causa verso altri appalti nella Regione Lombardia. Al riguardo, l’esame della documentazione di causa mostra che l’affermazione che viene contestata alla Romeo Gestioni fa riferimento semplicemente all’intenzione di spostare verso ulteriori e diverse commesse ricevute da Consip il personale assunto al primo livello (con oneri di lavoro molto favorevoli) e inizialmente destinato ai servizi di pulizia, una volta che (decorsi i primi nove mesi dall’assunzione) si sarebbe reso necessario inquadrarli al secondo (e più oneroso) livello».
Tutto è bene quel che finisce bene.
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