MALAGIUSTIZIA – DIO SALVI LE VITTIME

Bisogna aver trascorso una vita al fianco delle vittime di camorra. O dei loro familiari, che stanno ancora lì, dopo decenni, a chiedersi perché, a domandarsi chi è stato, a interrogarsi su come sia possibile che in un paese civile una morte non faccia rumore, tanto da lasciare impuniti per sempre mandanti e assassini.  E bisogna starci fino in fondo, nei panni di quegli imprenditori che da due, tre generazioni con sudore e sacrifici spinti talvolta fino all’eroismo hanno dato un lavoro onesto a centinaia, migliaia di persone e alle loro famiglie, salvo alla fine ritrovarsi dentro lo sgabuzzino di una fallimentare dove un giudice, senza troppo pensarci, decreta il fallimento prima ancora che si sia fatto avanti un creditore vero.

Di storie come queste sono costellate le cronache giudiziarie. Tutti le scrivono. Nessuno punta l’indice sui responsabili. Nessuno si azzarda a mettere in discussione gli artefici di quelle mostruosità giudiziarie che gridano vendetta al cospetto del quinto comandamento di Dio: non uccidere.

E forse solo a Dio può essere affidato il destino delle vittime della giustizia assassina. Chi dal 2012 ha deciso di prendersene cura ogni giorno è l’AIVM, Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia, che dalla sua nascita ad oggi ha offerto gratuitamente sostegno a 3.075 vittime. Mission dell’AIVM, fondata da Mario Caizzone dopo aver provato sulla sua pelle cosa significa finire da innocente nel tritacarne giudiziario, è quella di fornire «assistenza e sostegno morale nelle azioni giurisdizionali rivolte ad ottenere la riabilitazione morale e giudiziale», nonché «promuovere la partecipazione popolare, l’impegno civile e sociale dei cittadini democratici, senza distinzione di partito». «AIVM – viene spiegato – aiuta tutti coloro che ritengono di essere stati danneggiati da ritardi, superficialità, malintesi, interpretazioni errate, lungaggini e comportamenti arbitrari posti in essere da chi amministra giustizia». (r. p.)

La Voce esprime il massimo della solidarietà e vicinanza all’Associazione, al suo fondatore e a tutti coloro che in essa si riconoscono.

Per questo rilanciamo qui  l’interessante inchiesta  di Lorenzo Staiano pubblicata sul sito dell’AIVM dal titolo Malagiustizia in Italia, cause e soluzioni secondo 11 esperti.

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I nostri volontari hanno portato avanti una ricerca sulle principali cause e possibili soluzioni del fenomeno della malagiustizia in Italia. Nella ricerca sono stati coinvolti sia esperti in materia giuridica, sia giornalisti, onorevoli, senatori e europarlamentari, esponenti di associazioni no profit, come la Caritas, e anche chi è stato vittima in prima persona. Dalle risposte pervenute, ordinate per data di arrivo, emerge che le tre principali cause di malagiustizia possono essere riassunte in insufficienza e incompetenza di chi amministra la giustizia, mancanza di fondi e strutture adeguate, non imparzialità politico-ideologica di giudici e magistrati. Le possibili soluzioni proposte sono una riorganizzazione di tutto l’apparato del personale amministrativo e giudiziario, una riforma globale, organica di tutto il sistema e la definizione di provvedimenti disciplinari tempestivi, efficaci e ben definiti sia per la magistratura sia per gli avvocati che non rispettano il codice deontologico.

1) Marilena Rizzo – Presidente del Tribunale di Firenze

Occorre preliminarmente chiarire il concetto di “malagiustizia” il quale non attiene solo a situazioni di errori giudiziari (sempre possibili anche in situazioni di fisiologia del sistema, tanto è vero che il nostro ordinamento prevede sia nella materia penale che in quella civile ben tre gradi di giudizio), ma anche a situazioni di ritardi ed inefficienza del servizio. È su quest’ultimo punto che intendo rispondere al quesito proposto da AIVM.

La lunghezza dei procedimenti ed il ritardo con cui a volte la risposta alla richiesta di giustizia arriva dipendono fondamentalmente dai seguenti fattori:

1) Il rilevante numero dei procedimenti (l’Italia è uno dei paesi più litigiosi in Europa) e l’esiguo numero di giudici (in questa fase storica il numero dei giudici in servizio è particolarmente basso, causa il massiccio pensionamento coatto dei colleghi ultrasettantenni e i tempi tecnici necessari per reclutare giovani magistrati);

2) l’assoluta inadeguatezza del numero dei dipendenti amministrativi, le cui fila si sono nel tempo assottigliate per il progressivo pensionamento degli addetti e l’assenza di concorsi pubblici (l’ultimo si è svolto nel 1999 e solo nel novembre 2016 è stato finalmente bandito un concorso per 800 posti di assistente giudiziario, le cui prove, però, nella migliore delle ipotesi, potranno terminare non prima del 2018, con correlativo slittamento dei tempi di immissione in possesso delle relative funzioni dei vincitori).

Il personale amministrativo è una parte fondamentale dell’apparato di giustizia, in quanto è il soggetto che assiste il magistrato in udienza (senza la presenza del cancelliere che redige il verbale non può, ad esempio, celebrarsi alcun processo penale) e che costituisce front office e back office del servizio di giustizia (si pensi, ad esempio, al processo civile telematico che, senza il personale che “accetta” le buste telematiche o i provvedimenti del giudice, o dà comunicazione alle parti delle successive fasi del giudizio, non potrebbe affatto funzionare).

3) La mancanza di adeguate risorse materiali per migliorare le infrastrutture del sistema.

4) La presenza di regole procedurali barocche e a volte ridondanti.

L’elencazione delle cause del mal funzionamento della giustizia suggerisce implicitamente le soluzioni che potrebbero migliorare il servizio.

Se poi per “malagiustizia” si intende il caso dell’errore giudiziario, ritengo che possa qualificarsi come esempio di una giustizia malata solo l’ipotesi dell’errore derivante da condotte gravemente negligenti o (peggio) dolose, atteso che l’errore umano è fisiologico nel sistema, ove sono previsti appunto i rimedi normalmente apprestati alla loro risoluzione (si pensi alla previsione di più gradi di giudizio e all’istituto della revocazione e della revisione).

Certamente gli errori possono essere più frequenti là ove il magistrato e il personale amministrativo siano chiamati ad affrontare una mole di lavoro quantitativamente e qualitativamente inesigibile, per cui una riduzione dei carichi sicuramente influisce sulla qualità delle pronunzie, che possono essere più meditate (e pertanto anche in questo caso la soluzione del problema discende dalla risoluzione delle criticità sopra rappresentate).

Le condotte contrassegnate da dolo rappresentano un avvenimento del tutto abnorme (anche se possibili in tutte le professioni e i settori) e qualora una tale evenienza si concretizzi ritengo che la risposta da parte dell’ordinamento debba essere forte e decisa.

 

2) Mons. Francesco Montenegro – Arcivescovo di Agrigento, Presidente della Caritas Italiana, Presidente della Commissione Episcopale della CEI per il servizio della carità e la salute.

Ovviamente il fenomeno della malagiustizia è complesso ed è estremamente difficile stabilire una priorità tra le cause e soprattutto ipotizzare soluzioni. Mi limito soltanto ad alcune riflessioni e ad alcune considerazioni, a partire dal magistero di Papa Francesco e dall’esperienza della Caritas che nel suo servizio pastorale incrocia volti e storie di malagiustizia perché da sempre è impegnata accanto a quanti vivono in modo diretto o indiretto l’esperienza della detenzione. Una presenza a più livelli, vissuta a volte con dei limiti, con la consapevolezza che si potrebbe, e si dovrebbe intervenire in modo più strutturato e completo ma non se ne hanno le forze, le capacità, i mezzi. Nell’impegno delle Caritas diocesane così come nelle diverse parrocchie che si lasciano coinvolgere, accanto a chi vive questa situazione, restano costanti alcuni elementi: il partire dall’incontro e dall’ascolto dell’altro, il cogliere sì le fragilità e i bisogni dell’altro, a cui adoperarsi per rispondere, ma soprattutto aiutare l’altro a riconoscere le proprie potenzialità e a riaffermare i propri diritti.

Una prima sottolineatura la faccio in primo luogo sulla figura del giudice. Il giudice, ha spiegato papa Francesco, “è un personaggio potente, chiamato ad emettere sentenze sulla base della legge di Mosè”: per questo “la tradizione biblica raccomandava che i giudici fossero persone timorate di Dio, degne di fede, imparziali e incorruttibili”. Riproponendo poi la parabola del giudice e della vedova il Papa ha messo in risalto le due figure. Da un lato il giudice in questione che “non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. Era un giudice iniquo, senza scrupoli, che non teneva conto della legge ma faceva quello che voleva, secondo il suo interesse”. Dall’altro una vedova che rappresenta le categorie più deboli della società. I diritti assicurati loro dalla legge potevano essere calpestati con facilità perché, essendo persone sole e senza difese, difficilmente potevano farsi valere. Queste sono già due importanti chiavi di lettura. Così come altra minaccia a una “giustizia giusta” è la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Ecco perché “la prima virtù è la prudenza” Essa, ci ricorda sempre il Papa «non è una virtù per restare fermo. Non vuol dire: io sono prudente e quindi sono fermo, no! È una virtù di governo, una virtù per portare avanti le cose, la virtù che inclina a ponderare con serenità le ragioni di diritto che debbono stare alla base del giudizio». Alle fondamenta della prudenza sta, dunque, la capacità di dominare «il proprio carattere, le proprie vedute personali e convincimenti ideologici».

Questo perché dal giudice dipendono decisioni importanti che incidono non solo sui diritti o sui beni dei cittadini, ma molte volte sulla loro stessa esistenza. Se la prudenza è un’attitudine propria di ogni giudice, una linea fondamentale per fare bene il suo lavoro, è anche vero – prosegue Francesco – che ogni Paese ha norme e leggi che consentono di tutelare la libertà  e l’indipendenza del magistrato, affinché possa rispondere in modo adeguato all’incarico che la società gli affida: mantenendo imparzialità, obiettività e rispondendo alla voce di una coscienza «indefettibile» cioè retta, integra, senza difetti e fondata sui valori fondamentali.

3) Piero Colaprico – Giornalista di Repubblica

Tra le cause, temo che ci sia un intreccio tra la mancanza di professionalità e la mancanza di empatia, in primis da parte di avvocati, che illudono e imbrogliano il cliente, dandogli sempre e comunque ragione, e poi da parte di magistrati, che vedono talvolta numeri e seccature dove ci sono persone e storie. Quando una persona s’imbatte in simili avvocati e magistrati, corre gravissimi rischi per le sue ragioni, la sua salute, il suo portafoglio. La terza causa è l’estrema ignoranza di regole, leggi, codici, tempi processuali, che impedisce a chi diventerà vittima di malagiustizia di pesare da solo rischi e vantaggi e attrezzarsi con consapevolezza sulle proprie scelte, anche difensive.

Il rimedio è difficile. Sono oltre vent’anni che ritengo indispensabile la radiazione degli avvocati e dei magistrati che sbagliano pesantemente e ritengo che il giudizio sulla deontologia non vada affidato esclusivamente agli ordini professionali e al CSM Per me ci vorrebbe un elenco di cittadini, scelto tra i laureati in giurisprudenza, senza gravi precedenti penali, con un rispettabile curriculum, tra i quali sorteggiare chi possa affiancare avvocati e magistrati nei consigli di disciplina, dando la maggioranza numerica sempre ai cittadini. Chi sbaglia in Italia non paga quasi mai, per questo abbiamo alcuni magistrati che non azzeccano quasi mai un’inchiesta e restano nei loro uffici, inamovibili, e avvocati che in altri paesi sarebbero letteralmente in galera per gravi violazioni delle regole di base. Inoltre, terzo rimedio, sindacati, Caritas, associazioni dovrebbero, attraverso loro legali, soccorrere i cittadini incappati nella malagiustizia e anche, più semplicemente, i cittadini vessati da comportamenti razzisti, violenti, offensivi da parte di politici e non solo. La mala giustizia in Italia può diminuire se aumenta il tasso di civiltà media nazionale.

 

4) Dott. Rodolfo Meloni – Presidente Camere Penali di Cagliari

Indicare tre ragioni è impossibile. Una è di certo la mancanza di volontà politica nel procedere a una riforma globale del processo che tenga conto dei principi che sono oramai riconosciuti a livello CEDU e comunitario. Altra ragione è la mancanza di mezzi e personale. Non ultima quella che deriva dalla posizione preminente e privilegiata assunta dalla magistratura divenuto potere autoreferenziale che in omaggio al cd principio della cultura della giurisdizione decide non solo dei processi ma anche delle sorti della politica in un contesto in cui non risponde mai dei propri atti.

Gli interventi del Dott Davigo sono l’espressione di un inquietante ritorno a un triste passato inquisitorio. Per risolvere i problemi occorre la volontà politica di dare al sistema giudiziario personale e mezzi e progettare una intelligente riforma coinvolgendo a parità di condizioni la avvocatura e la magistratura.

Poi ridimensionare il potere della magistratura con la separazione delle carriere, la riforma del csm, la previsione dell’avvio automatico dei provvedimenti disciplinari in caso di errore giudiziario, la maggiore responsabilità civile e l’inibizione dell’attività politica. Eliminare dalle previsioni normative ipotesi di soluzioni strumentali e suggestive quali a previsione di nuovi reati, gli aumenti incontrollati di pena e l’allungamento della prescrizione, ma prevedendo norme che accelerino la durata dei processi e depenalizzino e abroghino i reati inutili ma normalmente realizzati come accaduto di recente.

 

5) Avv. Sergio Paparo – Presidente Ordine Avvocati di Firenze

1) La principale causa del malfunzionamento della giustizia nel nostro Paese è la inadeguatezza delle piante organiche dei magistrati togati e del personale amministrativo che risalgono a vari decenni orsono e che presentano scoperture assai rilevanti (oltre il 10% dei magistrati e circa il 30% del personale amministrativo, quest’ultimo con età media superiore ai 50 anni e non adeguatamente formato rispetto alle innovazioni tecnologiche ed informatiche).

2) La seconda, altrettanto rilevante, causa è il costo eccessivo per accedere alla tutela giudiziaria nel settore civile a causa dei continui aumenti che negli ultimi dieci anni sono stati praticati sul contributo unificato (tassa imposta per poter promuovere un giudizio civile e amministrativo) che è commisurato al valore della domanda che si propone sull’erroneo presupposto che l’ammontare del richiesto sia indice di reddito (quando è evidente che se il cittadino richiede un risarcimento danni di tot euro quell’importo non può essere considerato un elemento di ricchezza ma solo una reintegrazione patrimoniale del torto subito).

3) La terza, non meno importante, causa è l’assenza di un meccanismo di ristoro effettivo dei danni subiti dai cittadini per ritardo di giustizia o errore giudiziario e la sostanziale inefficacia del sistema vigente di responsabilità civile dello Stato per comportamenti scorretti o errori gravi commessi dai magistrati.

 

6) Avv. Mauro Vaglio – Presidente Ordine Avvocati di Roma

Parlare di “malagiustizia” è già di per sé un punto di partenza fuorviante. E’ molto più appropriato riferirsi al “problema giustizia” in Italia come ad una cronica incapacità di far funzionare il processo tanto civile che penale, collegata ad una serie di concause molto semplici che non si riescono o, molto più probabilmente, non si vogliono far emergere. Le tre cause che ora esamineremo, anche se non sono le uniche, costituiscono il maggiore ostacolo ad una giustizia efficiente e contribuiscono alla lentezza dei processi.

1) Carenze strutturali, collegate allo scarso afflusso di risorse finanziarie e, conseguentemente, all’insufficiente numero di magistrati e di personale amministrativo: sembra una banalità, eppure l’assenza di concorsi pubblici per l’assunzione di personale di cancelleria dal 1994/95 ad oggi ha determinato un invecchiamento di coloro che supportano l’attività processuale (ormai l’età media si aggira tra i 50 e i 60 anni), ed è stato un vero miracolo riuscire ad attuare il Processo Civile Telematico. E’ tuttavia una carenza che fa sentire i suoi effetti un po’ in tutti i settori del processo che è diventata inarrestabile. Soluzione: solo ed esclusivamente attraverso l’immissione di forze fresche, che permettano di assolvere ai compiti primari di gestione delle Cancellerie. Quindi è necessario avviare una serie di concorsi per il reclutamento di nuovo personale che vada a colmare l’ormai insufficiente organico rimasto

2) La piaga dei Magistrati fuori ruolo o in aspettativa: altro fenomeno tutto italiano (o almeno così sembrerebbe), comunque da biasimare, è quello dei Magistrati che, pur a fronte di un organico insufficiente, sono posti “fuori ruolo” (assegnati ad altri incarichi, spesso retribuiti, pur mantenendo lo stipendio da magistrato e tutte le ulteriori guarentigie) o in aspettativa (senza stipendio). Per quanto riguarda i primi, sui mass media si parla di numeri che vanno dai 196 ai 300, tuttavia forse non si tiene conto di quelli che vengono impegnati temporaneamente negli esami per notai, per magistrati, per avvocati e così via, i quali per parecchi mesi sospendono la propria attività processuale.

Da una recente indagine giornalistica dell’inizio del 2016 risulterebbero 57 Magistrati assegnati al Ministero della Giustizia, 17 al CSM,  3 al Quirinale, 12 alla Scuola Superiore della Magistratura, e così via in altri organismi nazionali ed internazionali. Soluzione: vietare ai Magistrati qualsiasi incarico esterno, in modo che il Magistrato faccia il Magistrato e basta.

3) Il proliferare di norme inutili a velocizzare i processi e dannose per la tutela dei diritti dei cittadini: dal 1990 ad oggi si sono avute 29 leggi di riforma parziale del codice di procedura civile e altre 9 che, pur contenute in provvedimenti dedicati ad altre materie, hanno inciso sulla formulazione dello stesso codice. In buona sostanza più di un intervento all’anno sul processo civile, ciascuno basato su preclusioni, introduzioni di termini perentori per la difesa, inammissibilità, decadenze, filtri ed altre limitazioni che non hanno portato alcun beneficio all’efficienza del processo, mentre hanno danneggiato i diritti concreti degli utenti della giustizia. Medesimo esito per quanto riguarda il processo penale che, seppur con modalità differenti, nella sostanza si trova nelle stesse condizioni , se non peggiori. Soluzione: una riforma organica e strutturale del processo, che comporti una responsabilizzazione dei giudici, anche a costo di imporre loro dei termini perentori , analogamente a quelli previsti perle parti.

Affidamento delle risorse di ciascuna sede giudiziaria ad una gestione manageriale esterna, responsabilizzazione dei giudici anche sotto il profilo finanziario/contabile (si pensi solo che lo Stato italiano dal 1992 ad oggi è stato condannato a risarcire 848 milioni di euro per ingiusta detenzione e 43 milioni di euro per errori giudiziari, ma nessuno di coloro che hanno sbagliato così palesemente ha pagato alcunché).

 

7) Dott. Francesco Cozzi – Procuratore della Repubblica di Genova

Non credo di poter rispondere congruamente e brevemente perché per vedendo molti casi di risposta insoddisfacente alle esigenze di verità e giustizia  non ritengo si possa parlare di mala giustizia rispetto ad un sistema che presenta molti aspetti positivi quali l’impegno la preparazione di avvocati e magistrati  di personale amministrativo e di polizia giudiziaria e una risposta comunque imponente di esiti giudiziari dopo accertamenti scrupolosi e nel rispetto delle garanzie e dei diritti di tutte le parti, comprese le vittime. Ma proverò a darle qualche riflessione.

Se per mala giustizia si intendono casi di persone processate e condannate ingiustamente o di vittime rimaste senza tutela  giudiziaria reputo che per ridurre al minimo questo rischio occorre investire in capacità investigative sapere giuridico degli operatori, incrementare la cultura e la pratica delle obiettività e del ragionevole dubbio purché ciò non si traduca in denegata giustizia per le vittime specie se più deboli o gli interessi pubblici da tutelare. I problemi di lentezza derivano dalla mancanza di risorse umane (vacanze di organico del personale a vari livelli dotato di adeguata preparazione) e materiali (dotazione di mezzi strumentali e di sistemi informatici evoluti) e da criticità nella organizzazione e distribuzione delle risorse. Se funzionano le indagini o i processi di primo grado ma in appello non vi sono organici adeguati si prescrivono i processi penali e la giustizia civile diventa lentissima e insopportabilmente tardiva.

Da norme inadeguate sulla prescrizione dei reati (non è logico che un reato di disastro colposo con difficoltà di accertamento immani e decine di vittime si possa prescrivere in sette anni e sei mesi); di  carichi eccessivi di lavoro specie nel settore penale in cui un singolo magistrato deve occuparsi di migliaia di quasi un migliaio di procedimenti in media compresi fatti gravissimi e fatti bagatellari) di mancanza di criteri organizzativi per snellire i procedimenti  semplici e consentire di dedicare energie e tempi necessari ai processi per fatti complessi nel rispetto delle necessarie priorità ai casi più gravi. La pena poi deve essere certa ed effettiva quale che essa sia nel senso che se si ritiene congrua una pena consistente in lavori di pubblica utilità e di riparazione del danno perché la legge la prevede e il giudice la ritiene congrua questa deve essere eseguita in modo rigoroso e serie e la collettività  e la vittima deve poter conoscere quale sia stato l’esito.

La mala giustizia sono anche  processi mediatici o in piazza che producono solo un simulacro di giustizia o vendetta privata, foriera di ben più gravi ingiustizie e ripugnanti conseguenze. Ma in ogni caso la vittima o i suoi congiunti non devono sopportare il danno morale di vedere l’autore del male inferto vivere con indifferenza accanto senza che sia stato attivato un processo di mediazione o un percorso di ravvedimento e di pacificazione.

 

8) On. Lorenzo Fontana – Europarlamentare Commissione Giustizia

La Giustizia italiana risente degli stessi problemi di inefficienza di tutta la macchina pubblica che -lo ha rilevato nei giorni scorsi il Fmi – se fosse di qualità farebbe guadagnare al Paese un due per cento di Pil in più. La mala giustizia grava sul destino delle persone ed è un freno all’economia e alla crescita. I casi Tortora non appartengono solo al passato, ma continuano ad essere realtà. Leggendo le cronache si percepisce una tensione schizofrenica tra i criminali impuniti e gli innocenti condannati. Ne risulta una crisi di fiducia e un palpabile scoramento dei cittadini nei confronti dello Stato. E’ fondamentale che le istituzioni lavorino per risolvere la piaga degli arretrati, garantire certezza della pena e giustizia in tempi rapidi e sicuri. Non è solo una questione settoriale, è un problema di civiltà e di diritto.

 

9) Bianca Maria Carletti – Vittima di malagiustizia

1) La prima causa della malagiustizia parrebbe doversi imputare all’insufficienza del personale addetto ed alla carente organizzazione del lavoro giudiziario; una patologia che si traduce in un’intollerabile lentezza dei procedimenti, nonché nella superficialità ed approssimazione che caratterizza la gestione del contenzioso. Purtroppo il rimedio adottato dopo le condanne inferte all’Italia dalla Corte di Giustizia Europea per l’eccessiva lungaggine dei procedimenti rischia di essere più dannoso del male. E’ ormai parola d’ordine, infatti, nei Tribunali il sollecito ai dirigenti a produrre comunque sentenze, anche a scapito dell’approfondimento e della dovuta analisi degli atti, con il risultato di incorrere in sempre più numerosi errori giudiziari. La soluzione del problema passa ovviamente attraverso una migliore organizzazione del lavoro (in certi Tribunali tutto il contenzioso pregresso è stato evaso, in altri ci sono migliaia di fascicoli arretrati in attesa…) e un numero congruo di personale addetto alle varie funzioni, ma anche attraverso una legislazione che riduca le possibilità di rinvio, gli artifici e le strumentalizzazioni legate ad errori formali e soprattutto l’alternarsi disinvolto di più  Giudicanti in cause anche di un certo rilievo, per cui l’ultimo arrivato, non potendo dedicare tempi adeguati ai procedimenti ereditati, si limita a prendere in considerazione le sole memorie finali quando addirittura non ne delega la lettura ai praticanti.

2) C’è poi da segnalare l’incompetenza di molti giudici in particolari campi del diritto (amministrativo, tributario ecc) e l’utilizzo di consulenti d’ufficio spesso impreparati al compito loro assegnato, i quali, nonostante errori ed omissioni, continuano ad essere incaricati, senza alcun serio vaglio della loro professionalità. A questi va aggiunta anche una percentuale di avvocati che svolge con scarso scrupolo deontologico il proprio lavoro causando ulteriori problemi ai loro clienti ed allo stesso buon andamento della giustizia. Una soluzione possibile sarebbe quella di incentivare la specializzazione dei magistrati in specifiche materie e di rimuovere dalle liste dei consulenti coloro che non danno prova di serietà professionale. Anche l’Ordine degli Avvocati dovrebbe censurare in modo drastico i propri iscritti che non rispondono alla sopra citata deontologia professionale.

3) Purtroppo è altresì necessario evidenziare come l’azione dei magistrati risponda non raramente a condizionamenti di carattere ideologico-politico e/o subisca le influenze di legami, appartenenze e relativi “obblighi” di vario tipo. Le conseguenze di tale situazione sono sotto gli occhi di tutti laddove si parla di uso politico della giustizia e quando si emettono sentenze palesemente errate per compiacere e favorire una delle parti in causa. La soluzione a questo grave problema è la più difficile perché molto è lasciato all’etica personale; ove debitamente esercitato, un maggiore controllo degli atti dei magistrati da parte degli organismi istituzionali superiori potrebbe portare alla luce situazioni di dubbio e ambiguità. A mio parere dovrebbero anche essere possibili incontri e/o dibattiti pubblici tra magistrati e cittadini, alla stregua di quanto avviene già in altri settori (ad es. nei Comuni tra cittadini e Sindaci), nell’ambito dei quali, in modo documentato e fondato, si possano esprimere perplessità, doglianze e richieste.

Il potere giudiziario, chiuso nella sua cittadella monocratica,  è in genere del tutto avulso dal contatto con le persone che nella maggior parte dei casi sono soltanto numeri di fascicolo e, a differenza di quanto succede con diversi rappresentanti politici che accettano democraticamente anche  confronti diretti, è estremamente raro il caso di magistrati che siano chiamati a rispondere di qualche loro azione o che accettino un aperto contraddittorio.

Se si considera il fatto che gli stessi Avvocati si guardano bene dal contraddire i Giudici anche quando ce ne sarebbe valido motivo, si capisce bene perché tra i poteri dello Stato quello giudiziario resta tuttora quasi “assoluto” nel senso etimologico del termine, giudicandosi i Giudici tra loro e potendo dunque, più o meno volutamente, quasi sempre impunemente, commettere errori e ingiustizie a danno di semplici e impotenti cittadini.

 

10) Dott. Antonino Maggi – Operatore di settore

Al presente il fenomeno della malagiustizia in Italia, in linea generale, scaturisce da molteplici circostanze sebbene gran parte di queste – a mio avviso – possono ricondursi all’assenza di chiarezza di norme prodotte da parte del Parlamento che poi, in sede di applicazione da parte dei Giudici e di altri Magistrati spesso favorisce discutibili interpretazioni. Relativamente alla risposta al quesito posto, riguardante l’individuazione di tre principali cause di malagiustizia, va tenuto presente che le ripercussioni dei danni sociali che ne derivano trovano maggior o minore impatto in funzione del settore di giurisdizione considerato.

Come è noto, grazie ad una statistica dei dati dell’A.I.V.M., il 52% dei casi di malagiustizia, registrati nell’anno 2015, afferiscono al settore della giurisdizione penale ed il 42% a quello della giurisdizione civile. Più contenuta risulta l’analoga percentuale sia della giurisdizione tributaria e di quella amministrativa che registrano, ciascuna il 3%.

Ciò stante, a mio avviso, le risposte al quesito, oltre a quanto avanti evidenziato, sono le seguenti

1) Riguardo alla giurisdizione penale, va detto che lo Stato – fino all’anno 2015 – sembra non aver tenuto presente né sul piano sociale, né su quello finanziario l’importanza delle conseguenze connesse con i risarcimenti dovuti ai cittadini colpiti da ingiuste detenzioni per errori giudiziari.Ciò, peraltro, se si considera che nello stesso anno, il Vice Ministro della Giustizia Enrico Costa affermava alla stampa che da parte dello Stato oltre seicento milioni di euro furono spesi per riconoscimenti da ingiusta detenzione, nell’arco di 22 anni.

Di conseguenza, da questo aspetto patologico si può desumere sia la causa del problema ( assenza di attenzione da parte dei Governi succedutisi al Ministero della Giustizia), sia trovarne la relativa soluzione. Fra l’altro, dal quotidiano “ Il Messaggero “ del 29 gennaio scorso ( cfr. pag.9 – “L’anno Giudiziario ) è stato evidenziato, dal Presidente della Corte d’Appello di Napoli, anche il problema della esecuzione delle sentenze penali, dovuto soprattutto a carenze nel settore amministrativo ed inoltre che il problema avrà “ la priorità assoluta del nostro distretto”.

Lo stesso alto Magistrato aggiungeva “quando mi sono insediato c’erano circa 50.000 sentenze, non eseguite, 12 mila di condanna definitiva”; una situazione, spiegava testualmente, che “si ripercuote sull’ordine pubblico“ ed è “paradossale che si continuino ad emettere ordinanze nei confronti di imputati che non sono stati ancora condannati” mentre “tantissimi imputati riconosciuti colpevoli e condannati con sentenze definitive rimangono liberi di continuare a delinquere”. In ordine a quanto sopra riportato si può stringatamente concludere che troppe persone sono vittime di errori giudiziari e troppi condannati restano in libertà.

Ergo, quali le soluzioni ? Assicurare, da parte dell’Organo Governativo : regolarità, funzionalità e controlli agli Uffici Giudiziari impiegando personale debitamente selezionato, scrupolosamente valutato sulla base delle capacità professionali acquisite, stimando debitamente il contingente effettivamente necessario.

Adottare, ai sensi e nelle forme di legge, tempestivi provvedimenti nei confronti del personale delle forze dell’ordine e dei Magistrati responsabili di errori giudiziari, atti di negligenza e superficialità dai quali sono conseguiti obblighi di risarcimento.

Provvedere a seguire statisticamente nel tempo la serie dei dati relativi al fenomeno della malagiustizia evidenziando l’entità numerica delle persone che hanno chiesto il risarcimento dei danni, le unità di queste che sono state assistite da un Avvocato d’ufficio, da un Legale di fiducia o che abbiano fruito del Patrocinio a spese dello Stato (ex gratuito Patrocinio).

Riguardo a questo ultimo punto non andrebbe sottaciuta l’opportunità di promuovere una utile integrazione della attuale disciplina del Patrocinio a spese dello Stato con una specifica norma diretta ad istituire una apposita Autorità idonea a valutare le attività effettivamente svolte dagli Avvocati , dai Consulenti e dai tecnici nell’interesse degli assistiti. Ciò potrebbe assicurare maggior impegno dei predetti professionisti, minor gravame per il Giudice e più fiducia agli assistiti.

2) Circa le cause del fenomeno di cui trattasi e le possibili soluzioni dei problemi riguardanti la giurisdizione civile, balza subito in evidenza che il fenomeno della malagiustizia risulta principalmente connesso con la lentezza dei tempi necessari per l’esame e la definizione dei processi.

Tuttavia, è doveroso aggiungere che tale fenomeno non può non tener conto del consistente contenzioso esistente a fronte del ristretto contingente dei magistrati applicati. Qui le soluzioni in linea di massima sono possibili non solo incrementando il contingente dei Magistrati ma soprattutto ristrutturando funzionalmente gli uffici dei tribunali, delle Preture e dei Giudici di pace, non facendo mai mancare ai Giudici il necessario costante apporto del personale delle Cancellerie.

3) Infine, tenendo conto di tutte le considerazioni avanti esposte non posso esimermi dall’individuare la terza causa connessa alla malagiustizia (che potrebbe, per altro verso, essere considerata la prima ) proprio nell’organizzazione giudiziaria affidata al Ministro della Giustizia.

Qui, infatti, si riflettono le cause del più volte accennato fenomeno con particolare riferimento all’aspetto delle decisioni politico-amministrative che adotta il Ministro seguendo l’indirizzo del Governo.

Pertanto, a mio avviso è dal Ministero dallo stesso diretto che dovrebbero partire le indicazioni per promuovere adeguate soluzioni per una sempre crescente rimozione ai problemi di cui trattasi.

 

11) Fabio Pizzul – Consigliere Regione Lombardia, Giornalista

Quali sono le tre principali cause del fenomeno della malagiustizia in Italia e quali possono essere tre possibili soluzioni al problema?

Premesso che la definizione di malagiustizia dovrebbe essere fatta oggetto di un approfondimento che consenta una sua più univoca definizione, provo a indicare sinteticamente  possibile cause e soluzioni.

Cause: eccessiva proliferazione legislativa con conseguente scarsa chiarezza delle norme, procedimenti giudiziari troppo lunghi, scarsa chiarezza degli effettivi diritti dei cittadini di fronte a una giustizia percepita come troppo “lontana”.

Possibili soluzioni: delegificazione e creazione di testi unici, snellimento procedimenti giudiziari e rafforzamento organici giustizia, istituzione di una sorta di garante dei cittadini di fronte alla giustizia (associazioni come AIVM potrebbero offrire delle interessanti prospettive).

 

 


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Un commento su “MALAGIUSTIZIA – DIO SALVI LE VITTIME”

  1. Margherita Imperatrice ha detto:

    Buona giorno,
    Mi chiamo Margherita Imperatrice, sono amministratrice e socia di un azienda che ha presentato denuncia querela presso la procura di Brindisi.

    La denuncia querela, che noi avevamo presentato, riguardava gare di appalto relative a diversi anni e di importi rilevanti, che sistematicamente venivano vinte sempre dalla stessa azienda con sconti impossibili e modalità poco chiare, ma non solo, le stesse presentavano delle irregolarità che anche se evidenziate alla stazione appaltante, non venivano considerate ed inoltre non venivano mai forniti chiarimenti di natura tecnica.

    Quando il nostro legale, durante una delle ultime gare a cui abbiamo partecipato, è intervenuto chiedendo chiarimenti ed informazioni sia di natura tecnica che riguardanti i metodi indicati per la formulazione del prezzo, ha ricevuto spiegazioni a gara chiusa che nulla avevano a che fare con i quesiti esposti.

    A nulla è servito inviare negli anni raccomandate (non abbiamo mai ricevuto risposta).

    Poi, nel 2014, ci siamo accorti di una situazione ancora più grave di quanto immaginavamo, ovvero: Ci sono stati affidati in sub-appalto dei lavori che a nostra insaputa sono stati eseguiti dall’azienda di cui sopra, ma al contempo risultavano presenti presso il cantiere alcune delle nostre maestranze per l’esecuzione degli stessi lavori, pur non essendosi mai presentati in quell’aria per svolgere le sopra citate attività.

    All’inizio del 2014 ci è stata recapitata una PEC da parte di un legale dell’INAIL, con la quale ci intimava di dare urgenti spiegazioni in merito ad un DURC per liquidazione/fine lavori richiesto dall’ente appaltante, avente per oggetto la voce del capitolato generale d’appalto anziché il riferimento alle attività che noi avremmo dovuto effettivamente svolgere.

    Tempestivamente abbiamo risposto che non avevamo eseguito noi quei lavori, pertanto, non solo dovevano regolarizzare la nostra posizione, ma non dovevano rilasciare il DURC richiesto, giacché non avevamo svolto nessuna attività per quella commessa nell’arco temporale di riferimento ed attendevamo indicazioni da parte del cliente per la ripresa dei lavori; in fine avremmo comunque svolto solo quanto di nostra competenza…Ovviamente l’INAIL ha emesso il documento e lo ha fornito all’ente appaltante !

    A distanza di giorni, ci è arrivata dallo stesso ente una richiesta documentale riguardante l’esecuzione di quegli stessi lavori, abbiamo scritto evidenziando l’impossibilità di fornire documentazione relativa ad attività mai svolte, ma per contro ci sono arrivati solleciti per produrre la documentazione richiesta.

    Abbiamo contestualmente richiesto di accertare l’elenco degli ingressi tramite badge in portineria per verificare le effettive presenze di nostri mezzi e lavoratori in cantiere, dai quali avrebbero evinto che nessun nostro dipendente si era recato presso la centrale elettrica riguardante quel sub-appalto per effettuare i lavori sopraccitati; in realtà delle presenze sui loro documenti risultavano, ma al riguardo non è mai stata fornita alcuna spiegazione…

    In fine, invece di giustificare l’accaduto, hanno redatto un report estremamente negativo in cui risultavamo inadempienti e, di conseguenza, inaffidabili e con un rating estremamente negativo!

    A seguito delle attività da noi intraprese, siamo stati invitati raramente alla partecipazione a gare d’appalto che, comunque, non avevano molto a che vedere con le attività che la nostra azienda effettivamente svolge.

    Nel 2015 ci siamo rivolti sia all’ANAC che alla procura di Brindisi, quest’ultima ha archiviato, nel mese di Dicembre 2017, con motivazioni a dir poco ridicole!

    La nostra è una piccola impresa a conduzione familiare, non possiamo, ne vogliamo, cedere a sistemi illeciti che escludono chi cerca di lavorare onestamente e, come sempre, chi fa parte del sistema fa cartello contro tutti gli altri… ci hanno messo in ginocchio e se continua così saremo costretti a chiudere! Speriamo ancora che almeno l’ANAC, possa far chiarezza sull’accaduto, perché al di là di un possibile risarcimento, vorremmo fosse fatta giustizia per noi e per le aziende che costituiscono il tessuto industriale ed artigianale sano del nostro territorio…

    Rimango nella speranza che sarà così, ma intanto non ho più la forza e i mezzi per andare avanti, pertanto, ho deciso di contattare delle associazioni che potrebbero aiutarmi a superare questo periodo difficile e consigliarmi la strada giusta per ottenere chiarezza in tempi brevi.
    La ringrazio anticipatamente per i consigli e l’attenzione che ci vorrete dedicare.

    Saluti
    Margherita

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