Se quattrocento / vi sembran molti…/ provate voi a farli bastar…

Secondo il dizionario di Devoto e Oli, la povertà non chiede aggettivi qualitativi per definirla, per quanto è lampante il significato del termine. Pur privandosi del loro illuminato contributo linguistico anche chiunque abbia testa per pensare e non chiuda gli occhi per non sapere, reagisce al dramma di povertà antiche, vecchie e nuove con il più diretto, rabbioso e inascoltato atto d’accusa per la violenza che la società dei ricchi infligge alla quota di umanità succube. Come rispondono Paesi accreditati di regimi democratici è presto detto. Scrollando nei fatti le spalle, ma fingendo, con il rito esclusivamente verbale di parole al vento che non costano e non cambiano di una virgola la sostanza del problema. L’alibi, poco pubblicizzato per non essere sputtanati, è “non ci sono risorse” . I conti in tasca di chi gestisce le risorse del Paese li smentiscono in un amen con un elenco infinito di sprechi inattaccabili. Un esempio terra, terra, è la sopravvivenza di due camere parlamentari con identico ruolo e, peggio, responsabili di nefaste lentezze nella conclusione di iter legislativi, i carrozzoni delle Province, inabilitate ma non per questo meno costose, l’esito recente del referendum che tiene in vita lo scempio del Cnel, inutile totem di sprechi tollerati da anni; poi le remunerazioni degli eletti al Parlamento, anche per deputati con redditi sostanziosi da attività private e i cosiddetti vitalizi, le spese militari, compresa la follia degli aerei f35, la miriade di scorte che la storia ha dimostrato incapaci di evitare attentati, il buco nero dell’evasione fiscale su cui si incide in misura irrilevante, i fondi europei persi in latitanza di progetti e altri mille rivoli di un fiume in piena che fissa l’indecoroso baratro tra ricchezza e povertà. I ricchi restano ricchi e anzi gli statistici dimostrano che lo diventano anche di più, i poveri aumentano e in Italia sono arruolati senza possibilità di disertare nell’esercito di oltre quattro milioni di famiglie prive del necessario per non morire di fame. Il lavoro che non c’è disegna un quadro di desolante staticità con punte di insostenibile gravità per la condizione giovanile che al sud sfiora la tragedia.

Pungolato dai proclami strumentali di 5Stelle che blatera sul reddito di cittadinanza senza spiegare come si sosterrebbe finanziariamente e dalla curva discendente del consenso elettorale, evidenziata nel grafico degli analisti, il governo annuncia con adeguata enfasi di destinare la somma fino a 480 euro alle famiglie italiane in povertà. Dato per vero che la composizione media delle famiglie italiane è di padre, madre e due figli, anche un analfabeta dell’aritmetica due conti li fa senza problemi. Quanto costano il mangiare, pur nella versione al risparmio, quanto le spese generali di base, luce, acqua, gas e a quanto il minimo per l’abbigliamento, la scuola dei figli, quanto il fitto di casa? Neanche Cristo si cimenterebbe nel miracolo della moltiplicazione dei 480 euro e la “generosità” del governo è lontana anni luce dall’idea di tutela delle povertà. Si chiama reddito d’inclusione ed è una definizione impropria. I sommi Devoto e Oli, nel loro dizionario la muterebbero in reddito d’esclusione. In una famiglia con reddito normale spesso è la donna di casa a tenere aggiornato il diario delle spese correnti e straordinarie. Per sopportare la somma del totale, così, a occhio, si devono moltiplicare i 480 euro almeno per quattro, ma se il regime di vita è modesto. Il ministro Poletti con la spavalderia del politico consumato si è prodotto nell’abituale show televisivo autopromozionale, un classico partitico, analogo alle promesse preelettorali del milione di nuovi posti di lavoro, della casa per tutti, delle tasse abolite, di una scuola migliore, della messa in sicurezza del territorio contro gli insulti dei terremoti e delle alluvioni. Il prestigiatore di turno dovrebbe sapere, e finge di ignorarlo, che la famiglia “Esposito” a questa vanteria gratuita, quanto non rispettata, risponde con il solito disgusto per l’infingardaggine di chi l’espone con il megafono dei media. Una provocante postilla al decreto avverte che il sussidio è subordinato al sì di chi riceve al programma di accompagnamento al lavoro dei centri per l’impiego che per il rispetto di questa incredibile norma conta di assumere seicento persone. Il significato non esplicito: se vi troviamo un lavoro e non lo accettate, via i 480 euro. Si può scommettere, di casi del genere non si avrà notizia, perché se ci fossero occasioni di lavoro che è in miseria ci si tufferebbe con un triplo salto mortale. In dettaglio: se il nucleo familiare è composto da una sola persona l’assegno mensile sarà di 250 euro al mese, se di due persone fino a 390, per tre persone finalmente di 480.

 

 

 


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