Non perdono la minima occasione, da quando stanno imponendo la loro ‘democratica’ dittatura, gli sfascisti al governo per mostrare a tutti gli italiani di quale pasta sono fatti, di quale ‘cultura’ si nutrono, e quale caratura politica possono mettere in mostra.
Per massacrare quotidianamente – ogni giorno che passa, con ogni provvedimento che prendono, con tutti gli atteggiamenti che mostrano fieramente al loro Popolo come neanche a Piazza Venezia – i diritti di ogni cittadino, ormai ridotti al lastrico dalle loro economie di fame & guerra, tasse & ticket, sanità negata & pensioni minime da brividi, precariato & morti sul lavoro.
Al tempo stesso calpestando tutti i giorni la Costituzione, facendola a brandelli vuoi con le picconate contro quel poco che resta della Giustizia, già ridotta in stato comatoso, oppure della struttura minima dello Stato, con la scellerata riforma del premierato in stile golpista.

L’intervento di Giorgia Meloni alla Camera sul Manifesto di Ventotene. Nel fotomontaggio in apertura, Altiero Spinelli
A questo punto, lo stesso ‘Piano di Rinascita’ sembra una barzelletta e il suo autore, il Venerabile Licio Gelli, un boy scout o, se preferite, una giovane marmotta…
Ciliegina sulla torta, poche ore fa, la vergognosa sceneggiata, recitata non da una barista del caffè sotto casa, ma dalla nostra premier Giorgia Meloni, per ridicolizzare il ‘Manifesto di Ventotene’, vale a dire il documento che fu alla base della travagliata nascita della prima Europa Per chi crede, un sacrilegio; per chi non crede un oltraggio alle istituzioni e ai principi (quei pochi rimasti in piedi) del nostro Stato ancor per poco – se continua a tiare quest’aria – ‘democratico’.
LA LUNGA CATENA “NERA”
E’ solo l’ultimo episodio di una lunga catena NERA, iniziata proprio con lo sgoverno-sfascista Meloni, fortissimamente determinato a picconare e abbattere le poche strutture che ancora reggono di quella repubblica voluta da partigiani e cittadini per liberarsi dal tumore nazi & nero come la pece. Che oggi sta tornando a manifestarsi con le sue orrende metastasi.
E’ successo svariate volte in questi mesi nefasti.
Il primo, ad esibirsi in modo tragicamente pirotecnico, è stato non un passante qualunque, ma la seconda carica dello Stato, ossia il presidente del Senato, Ignazio BENITO La Russa: tanto per ricordarvelo, se succede qualcosa a Sergio Mattarella, ce lo ritroviamo a capo dello Stato. Intesi?
Ebbene, a pochi mesi dall’insediamento sullo scranno più alto di Palazzo Madama, La Russa tirò fuori da suo nero cilindro la story della banda di musicanti in pensione che si trovava in via Rasella: da 113, perché un tipo che non ricorda o fa finta di non ricordare quell’eccidio non può neanche fare il portiere di uno stabile alla Garbatella (ossia nel quartiere che diede i natali al suo capo, o meglio, al suo Kapo’). Ma così succede, in un’Italia sempre più alla frutta. O al Meloni: una vera repubblica (sic) delle banane marce.
La lista nera può essere lunga ed è meglio stendere un velo pietoso su impresentabili e non solo (perché parecchi sono alle prese con grosse rogne giudiziarie) che hanno fatto e fallo bella mostra nel museo degli orrori griffato ‘Giorgia’: dall’ex ministro della Sub-Cultura Genny Sangiuliano, a lady Daniela Santanchè in pieno crac ‘Visibilia’; dal cognatino Marco Lollobrigida a tutta agricoltura che parla di etnie italiche e ferma i treni dove gli fa comodo, al sottosegretario (alla Giustizia, sic) Andrea Delmastro che ne combina di tutti i colori, mentre il suo scagnozzo Emanuele Pozzolo, fra i tric trac di Capodanno 2023, spara e ferisce un festaiolo.
Ai confini della realtà.
Ma ben dentro un Barnum della politica che fa tremar le vene ai polsi. Soprattutto agli italiani che non ce la fanno più e non sanno come arrivare alla fine del mese.
Ma lei, lady Giorgia, ha le antenne ritte verso Ventotene.
MELONI & BIGNAMI, ATTENTI A QUEI DUE
Ecco cosa è riuscita ad estrapolare dal mitico ‘Manifesto di Ventotene’ con la sua cultura da autentico ‘Bignami’. Ricordate, quasi mezzo secolo fa, gli altrettanto famosi ‘manualetti’ che ciuccioni e ripetenti usavano per appiccicarsi in testa quattro cavolate per passare l’esame? I ‘Bignami’: e così, ironia della sorte, si chiama il Galeazzo (altra coincidenza) che oggi issa il vessillo di Fratelli d’Italia come capogruppo alla Camera, protagonista di gesti e parole da bar di periferia proprio per il ‘caso Ventotene’. “Ma basta, piantatela con ‘sto fascismo”, ha sbraitato come un ossesso, mostrando in modo non british alla minoranza AVS la via dell’uscita dall’aula. Altre sceneggiate made in Garbatella, il quartiere che ha dato i natali alla premier e che non merita la colpa di esserle geograficamente accomunato.
Veniamo quindi, fior tra fiori, alle parole pronunciate dalla Vatessa. O dalla Ducessa, se preferite.
Alla Camera, e non in un cortile della stessa Garbatella.
Riferendosi ai partecipanti alla manifestazione (peraltro discutibilissima) del 15 marzo organizzata in piazza del Popolo da Michele Serra e ‘La Repubblica’, esordisce Giorgia: “Ne parlano tanto ma spero non l’abbiamo mai letto, quel Manifesto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa”.
E la conclusione è altrettanto lapidaria, ormai scolpita nella roccia dei secoli: “Non so se questa è la vostra Europa. Ma certamente non è la mia”.
Chiaro?
Eccoci ai passaggi clou, ripresi a modo suo, da quel ‘Manifesto’.
“La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, deve essere socialista”.
“La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente”.
“La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere non può essere il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà private dei mezzi di produzione deve essere abolita e tollerata in linea provvisoria quando non se ne possa proprio fare a meno”.
“Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce miseramente. Nel momento in cui occorre la massima decisione a audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un tumulto di passioni. La metodologia democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”
Non è finita qui, lady G. continua nella sua dotta lettura (sic) gonfiando il petto: “Il partito rivoluzionario attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non dalla preventiva consapevolezza da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e intorno ad esso la nuova vera democrazia”.
Un passaggio fa riferimento agli “imprenditori che, sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle barriere burocratiche e dalle autarchie nazionali”. Mentre un altro è di aperta condanna della prassi comunista, destinata a generare “un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati e dei gestori dell’economia”.
COME TI CALPESTO UN MANIFESTO
Sorgono spontanee alcune elementari domande.
Ma Meloni ci è o ci fa?
Cosa cavolo c’entrano le frasi dello storico “Progetto di un Manifesto per un’Europa libera e unita” profeticamente ideato da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, nei mesi del confino a Ventotene (dove oggi Spinelli è sepolto) in quel tragico 1941, con le attuali bagarre di bassa e lurida politica?
Con quale coraggio e con quale faccia di bronzo osa la camerata, la SS Meloni oltraggiare la Memoria di chi ha fondato l’Italia post fascista e messo le basi, in modo assolutamente innovativo, per un’Europa diversa e unita?
Certo non il baraccone guerrafondaio oggi griffato Ursula von der Leyen, amica e alleata a giorni alterni della nostra ‘Giorgia’. Ma un’Europa vera, unita, socialista come del tutto legittimante auspicavano eroi civili come Spinelli e Rossi: al cui confronto la nostra premier è solo una impresentabile nana, soprattutto sotto il profilo politico, distante anni e anni luce.
A questo punto, come mai la nostra ‘illuminata’ prima ministra (maestra di minestroni, visto il caos che ha creato per depistare meglio dai veri problemi di casa nostra, anche sul versante estero, dove non sa quali pesci prendere) non mette in croce un Antonio Gramsci che s’è fatto anni di galere nere e fasciste? O, in tempi meno lontani, un Enrico Berlinguer che sul fronte della Pace potrebbe oggi dar lezioni a tutti i finti politici e mezzibusti tivvù totalmente ignoranti che pure dettano quotidianamente il loro Verbo?
QUANDO LA VOCE INTERVISTO’ SPINELLI
Terminiamo questo tour ai confini della realtà per tornare alla mitica figura – in queste ore calpestata da sgherri & neri di casa nostra – di Altiero Spinelli. Che la Voce ebbe, quasi 40 anni fa, l’onore di intervistare sul fronte delle prime politiche comunitarie (per quella occasione, in campo agricolo), agli albori di un’Europa nascente, e carica di speranze (purtroppo tradite strada facendo).
In basso potete vedere le pagine di quel lungo reportage e dell’intervista ad uno dei (pochi e veri) fondatori dell’Europa, e dell’autentico spirito che l’avrebbe dovuta animare basandosi su quei principi cardine delineati allora, a cominciare da “una migliore condizione di vita per i lavoratori e i cittadini italiani”, nonché dalla “promozione della pace e della cooperazione internazionale”. Principi di ben oltre mezzo secolo fa e da noi, così come in mezza Europa, rimasti totalmente lettera morta.
Ecco cosa dichiarava alla Voce, gennaio 1978, Altiero Spinelli, per quanto riguarda l’allargamento dell’Europa a Spagna, Grecia e Portogallo.
“Sono naturalmente d’accordo per l’ingresso nella CEE di quei tre paesi, dove da poco vige la democrazia. L’interesse di queste nazioni è chiaramente quello di avere solidarietà per il rilancio delle loro economie. La CEE, con il loro ingresso, si deve assumere una grossa responsabilità, politica ed economica, che può, anzi dovrà, significare una diversa logica comunitaria”.
“La CEE ha sempre accolto tutti i paesi democratici dell’area europea. Grecia, Spagna e Portogallo devono trasformare le loro strutture economiche e svilupparsi, per non dover diventare pedine delle grandi potenze straniere. E’ nell’interesse della Comunità, quindi, riuscire ad unire i paesi che, geograficamente, sono europei”.
“Anche se ufficialmente favorevole, il governo italiano sta adottando, per il loro ingresso, una tattica ‘rallentatrice’. Il problema centrale è l’agricoltura e il maggior concorrente, per l’Italia, è la Spagna”.
Ecco le foto di quelle pagine della Voce 1978.
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