I media definiscono “turbotrampismo” l’accelerata e caotica applicazione dei principi di gestione economica del nuovo governo americano, indicando in sostanza un veloce e nuovo abito del capitalismo mondiale, quello degli oligarchi. Lo abbiamo plasticamente visto sul palco dell’incoronazione di Trump alla carica di presidente americano con quello schieramento di manager delle principali aziende tecnologiche. Su quel palco c’erano tutti i personaggi più ricchi del mondo, uno accanto all’altro, accorsi lì per farsi vedere da Trump e dal suo scudiero Musk per omaggiarli. Tutti assieme costoro possiedono le più note aziende tecnologiche del mondo. Ma, per loro stessa natura, quelle stesse aziende sono fragili, esposte alle volontà del potere. Tutte utilizzano abbondantemente la diffusione di fake news mirate pur di condizionare le vicende politiche dei paesi in cui agiscono e far passare verità di comodo o demolire avversari scomodi. Si tratta, in sostanza, del nuovo modo di agire del nuovo capitalismo che si appresta a diventare il miglior modo anche per vincere le elezioni. Il loro credo in economia è “tagliare le tasse ai ricchi e affossare lo Stato sociale”.
Trump ha ripetutamente delineato questa inquietante prospettiva per il futuro del suo governo degli Stati Uniti. Procede a tagli fiscali per i più abbienti e, in contempo, pensa a riduzioni forzate della spesa pubblica, naturalmente a cominciare da quella sociale. Ha cominciato con un attacco frontale alle istituzioni di controllo pubblico. Qualcosa di simile a quanto si sta facendo in Italia con gli attacchi alla magistratura nella sua autonoma funzione di controllo. Non è un caso se il più fido e acritico sostenitore trumpiano è quel disperato segretario della Lega alla perenne ricerca di una politica qualsiasi … purché capace di sortire un rilancio elettorale. Nelle more rilancia l’ennesima rottamazione delle cartelle fiscali, che riscuote scarso appeal, a favore di evasori e di partite IVA. Ma se l’obiettivo di Salvini è confuso quello di Trump è molto chiaro. L’obiettivo è smantellare ogni regolamentazione e rendere il paese un paradiso fiscale per attrarre oligarchi, grandi corporation e super-ricchi, sul modello della Russia post-sovietica e di converso respingere gli immigrati poveri. Ora è chiaro a tutti che lo slogan “America Firsth Again” indica, in sostanza, l’obiettivo di rendere gli USA il paese dove chi è ricco può diventare sempre più ricco e chi è povero rischia di rimanere senza diritti.
L’Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia fiscale degli Stati Uniti, sta per licenziare oltre 6700 dipendenti, una mossa che compromette la capacità del governo di riscuotere le tasse, proprio ora che inizia la stagione delle dichiarazioni dei redditi. Una vera goduria per politici come Salvini che ambiscono a fare altrettanto. La scelta di Trump di colpire l’IRS non è casuale, meno controlli infatti significa più libertà per i grandi patrimoni di eludere le tasse federali.
Il sogno di Trump già si delinea e somiglia sempre più al sogno di Berlusconi, costruire uno Stato senza Stato, ossia senza controlli e senza tasse da pagare. Un modello di capitalismo oligarchico, nel quale una ristretta élite politicamente sostenuta può accumulare ricchezza senza regole e cancellare ogni forma di solidarietà. Uno stato con meno controlli fiscali, meno welfare e meno investimenti pubblici. L’America di Trump si configura come un esperimento di capitalismo estremo, in cui il potere si concentra in poche mani e lo Stato è svuotato della funzione di garante. Il futuro è ormai chiaro ed è tutto nello slogan “chi ha già tutto avrà ancora di più, chi ha poco sarà lasciato indietro”.
Per fortuna gli elettori stanno sempre più avanti dei governanti. Le azioni della Tesla cominciano a sprofondare a Wall Street, il social X rischia di soccombere sotto un virulento attacco hacker, gli affari di Starlink in Europa affondano e i dazi, infine, cominciano a produrre seri danni anche in patria. Non è certamente il tracollo, ma è la prima volta che Musk tocca con mano quanti danni il cosiddetto turbotrumpismo può provocare anche ai suoi business. Il connubio Trump/Musk si sta ritorcendo tutto contro quest’ultimo con perdite per miliardi di dollari di perdite. In altri termini, il valore della sola Tesla si è quasi dimezzato negli ultimi tre mesi. La causa? Sono sostanzialmente connesse alle politiche di Trump. Da un lato per le difficoltà di mercato dei veicoli elettrici, il marchio Tesla sconta anche l’incertezza generata dal timore di una guerra commerciale scatenata dai dazi. Una simile crisi ha colpito anche le altre sette sorelle Big Tech, da Apple fino a Meta. Proprio quelle aziende i cui manager erano schierati in tribuna d’onore alla cerimonia di incoronazione. In aggiunta per Musk si mette male anche l’espansione europea del suo più redditizio business, la rete satellitare Starlink. Gli accordi, che sembravano già chiusi in Europa, non appaiono più così certi dopo le pesanti interferenze di Musk nelle politiche locali. A spingere per firmare i contratti di collaborazione con Musk è rimasto solo Salvini, mentre gli altri due leaders di maggioranza hanno iniziato ad avere più di un dubbio sull’affidabilità del magnate sudafricano. Non è un caso se l’Europa abbia voluto lanciare un chiaro monito dicendosi pronta a sostenere Kiev con il suo sistema satellitare, quello francese, forse meno efficiente ma tutto europeo, senza rischiare ricatti né condizionamenti americani.
Non c’è scampo per nessuno, meno che mai per chi intende prendere a colpi di motosega il mondo intero.
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