DI LÌ O DI LÀ: A MEZZO DEL GUADO

Non c’è nulla di fermamente incognito nel partito principale oppositore del regime di neofascisti. È noto e non basta mascherarlo con smentite di evidenti turbolenze. Che si agitino malumori, dissonanze contrarie all’unanimità della progettazione politica e non si plachi la guerriglia di mini potentati con ambizioni di leadership è di tutta evidenza. Ma davvero in casa Pd c’è chi crede che il disastro del voto difforme sul riarmo è figlio di normali valutazioni antitetiche, di autonomia democratica di giudizio sul merito della vicenda? È ingenua buona fede o tattica nella delicata fase di intermedia di un disegno destabilizzante la leadership del Partito Democratico? Ha margini di credibilità l’idea di rivincita di Bonaccini, in sordina a suo tempo per non assumere a caldo il ruolo di ‘guastatore’ cioè all’indomani della competizione per la segreteria dem, della sconfitta ad opera della Schlein?

È ampia la pubblicità, non solo dei followers della destra, fornita ai dieci eurodeputati del Pd dissidenti, che hanno votato in dissenso con l’indicazione della segretaria, è provocatoria la sottolineatura del ‘no’ di Bonaccini, presidente del partito. Significativa la ‘disubbidienza’ di Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo. Intervistata da ‘La Stampa’ ha dato un chiaro segnale di conflittualità nei confronti dll Schlein: “Astenersi? Errore”. Cosa nascondono queste mine vaganti?  Racconta molto la voragine aperta tra i due versanti della piramide dove convivono faticosamente i dem orfani della partitocrazia dei moderati e chi stenta a riproporre la strategia del “dire e fare cose di sinistra”. Una terza variante dell’ingarbugliato antagonismo è la saggezza decisamente progressista di Rosy Bindi, distante convinta dal passato di leader della Dc e il dichiarato endorsement di Franceschini al proposito di valorizzazione delle componenti catto-moderate del Pd. Nello stato para-confusionale, Franeschini ha nel cassetto un progetto di consistente valorizzazione dei centrofili accolti dal Pd, ma riceve modesti consensi e indispettito dissenso, la contestazione dell’intento di connettersi al passato di Dc, Partito Popolare, Ulivo, Margherita.

È simile il percorso politico di Renzi, identiche le radici nel fertile terreno della Dc, molto simile il credito aperto dai democratici, il ruolo di leader del centro sinistra.  Enrico Letta, omologo di Franceschini, incompatibile con la ‘pasionaria’ Schlein, ha restituito il badge di accesso alla casa Pd, “al bello del fare politica”, si è tempestivamente rifugiato nell’oasi dell’insegnamento. Franceschini non è detto che non lo imiti, contestato com’è per l’‘affinità elettiva’ con i moderati. L’incognita, che piaccia o dispiaccia ai dem resta il futuro prossimo di Renzi, che bocciato a giusta ragione torna alla ribalta con il suo scarno Italia Viva, dichiaratamente centrista, ma al tempo stesso dice e fa cose di sinistra, affonda Delmastro, infligge una stoccata a Giorgia Meloni in ‘letargo’. Dichiara: “Il sottosegretario alla giustizia, Delmastro, dice che la riforma della giustizia presentata dal ministro della giustizia, Nordio, fa schifo. Stesso governo, stesso partito, stesso palazzo, eppure dicono l’uno il contrario dell’altro. Tutto bellissimo”. Più volte l’ex presidente del consiglio spiazza con irruenza l’intero emiciclo di Montecitorio e dintorni. Renzi redento al 100×100, o solo un abile affabulatore alla ricerca del potere perduto? “Che confusione…sarà perché…


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