Ci sono padri che non si daranno mai per vinti, padri che dopo aver donato la vita ai propri figli, continuano a lottare per ottenere verità e giustizia quando i loro ragazzi, quella vita, la perdono. E’ un padre così Carlo Iannelli, che dalla tragica giornata del 7 ottobre 2019, quando il suo Giovanni morì schiantandosi sullo spigolo di un muro non transennato mentre partecipava ad una corsa ciclistica, non ha mai smesso un attimo di lottare. Pur costellate di punti oscuri ed evidenti omissioni, che Carlo non esita a definire depistaggi, le indagini sono già state archiviate una volta, così come risultano respinte le due istanze per riaprirle presentate dal padre. Perché? Perché in questa terribile vicenda sono coinvolti elementi apicali della Federciclismo? E’ ciò che sostiene Carlo Iannelli, intervenuto anche ultimamente su X, a proposito degli abusi di certa parte della magistratura, per chiedere ancora una volta che sia fatta luce sulla morte di Giovanni.
Il #babbodigiovanni, come ormai da tempo si firma sui social lanciando accorati appelli, non molla, andrà avanti, se necessario, fino al termine dei suoi giorni. La sua tenacia ricorda quella di Vincenzo Agostino: nessuno può dimenticare quel papà dalla lunga barba bianca che per 34 lunghi anni ha urlato la sua richiesta di verità per la morte del figlio Nino Agostino, poliziotto, ammazzato insieme alla moglie incinta a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989 da due killer di Cosa Nostra. Un processo, quello sì, che è stato a lungo celebrato, ma in un clima asfissiante di omertà e depistaggi. Un processo di cui papà Agostino, morto ad aprile dello scorso anno, non vedrà mai la fine. E probabilmente non la vedremo neanche noi, visto che proprio in queste ore la Cassazione, dopo 35 anni, ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo del boss Nino Madonia, che era stato condannato per l’omicidio di Nino sia in primo che in secondo grado.
Possiamo solo augurarci che non cada per sempre la stessa scia di bugie ed omissioni sulla morte di Giovanni, dobbiamo sperare che le indagini possano essere riaperte e condurre finalmente ad un processo che accerti la responsabilità di coloro che hanno stroncato la vita di Giovanni.
Aveva appena 22 anni, il giovane ciclista di Prato, quando partecipava alla 87esima edizione del Circuito Molinese, gara per velocisti che si svolge ogni anno a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria. Era arrivato a poco più di 100 metri dal traguardo, quando «impattò contro lo spigolo di un’abitazione privata – ricostruisce la Gazzetta di Lucca – dove non c’era alcuna transenna». Eppure il regolamento della Federciclismo su questo punto parla chiaro, prevede «l’obbligo di transennare gli ultimi 300 metri prima dell’arrivo e i 100 metri seguenti». Si impone inoltre «che questi ultimi 400 metri della gara siano continui, senza alcuna interruzione neanche nella zona del traguardo stesso».
Evidente quindi che qualcuno ha sbagliato e che a pagare con la vita è stato Giovanni. Come è possibile, allora, che la Procura di Alessandria abbia chiesto l’archiviazione?
Carlo Iannelli sul punto va giù duro. In un post di ieri su X accusa la Procura innanzitutto di avere «ignorato fin dal primo momento la disponibilità offerta dal RIS di Parma e della Polizia scientifica di Roma, che si erano detti pronti ad eseguire un’accurata perizia sul video dell’impatto fatale, che esiste, ma è rimasto privo di esame peritale». Altre accuse riguardano il fatto che gli inquirenti avrebbero preso per oro colato le testimonianze di dirigenti apicali della Federciclismo che, secondo papà Carlo, avrebbero avuto delle responsabilità per la palese violazione delle rigorose norme anzidette sulle barriere. C’è di peggio, perché nessuno fra le centinaia degli altri testimoni presenti alla gara sarebbe stato mai ascoltato in Procura, nemmeno i corridori che erano vicini a Giovanni in quel fatale momento. Mancherebbero agli atti perfino delle semplici foto scattate con un comunissimo telefono cellulare. Quale consulente, inoltre, sarebbe stato prescelto dagli inquirenti proprio un noto vip della stessa sigla di categoria.
«La Federciclismo – ha dichiarato Carlo alla Gazzetta di Lucca – è stata da subito la controparte di mio figlio Giovanni e si è immediatamente schierata dalla parte degli organizzatori di quella corsa ciclistica, fornendo anche ben due avvocati ed un consulente agli organizzatori. Il consulente, addirittura, a un certo punto è diventato persino il consulente del pubblico ministero di Alessandria che, di fronte all’esito di quella relazione, in realtà una vera e propria memoria difensiva per la Federciclismo, ha chiesto l’archiviazione del fascicolo relativo all’omicidio colposo di mio figlio Giovanni».
Nel 2020 Carlo è stato ricevuto al Quirinale per esporre la vicenda e chiedere giustizia. Ma ad oggi l’iter per cominciare a vedere uno spiraglio non è mai iniziato.
Di fronte a tutto questo, ci auguriamo di poter essere parte di quel nuovo clamore mediatico che in casi analoghi ha fornito la “spinta” giusta per imboccare la strada verso la verità. Affinché quello di Carlo Iannelli e di suo figlio Giovanni non finisca sepolto dalla polvere del silenzio, come sta ancora oggi accadendo per l’eccidio di Nino Agostino.
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