DOMENICO PAOLERCIO, ARTISTA DELLA LUCE

– Il centenario del fotografo di Andretta e Castellammare –

Un artista della luce, tra i più apprezzati direttori di fotografia in Campania nel secondo Novecento, che ha respirato l’aria del grande cinema ma scelse infine la fedeltà anche fisica alla sua terra, per meglio dire ai due Comuni che hanno rappresentato i poli della sua esistenza: Andretta e Castellammare di Stabia.

Domenico Paolercio è stato un professionista esemplare e uomo di profondi valori. Nato ad Andretta cento anni fa, il 26 settembre del 1924, appassionato di fotografia sin da ragazzo, non ancora diciottenne si trasferì nella vicina Calitri come apprendista nello studio fotografico Cerreta, e di lì a Foggia, assunto dalla prestigiosa ditta Leone, consolidando la sua formazione di ritoccatore di negativi e di esecutore di foto artistiche e di attualità. Nel 1949 si stabilì a Castellammare di Stabia, dove ha vissuto per sessant’anni, fino alla scomparsa. Nella città stabiese, che negli anni Cinquanta e Sessanta fu una delle realtà più vitali dell’industria cinematografica italiana, il popolare Mimì ebbe modo di rivelare il suo indiscusso talento nei film dei maggiori protagonisti della “scuola cinematografica” di Castellammare, il popolare produttore Natale Montillo e il versatile regista Silvio Siano, con il quale collaborò all’importante trilogia dei primi anni Sessanta: Lo sgarro (1962), girato tra Palma Campania e Nola, con Gerard Blain, Charles Vanel, Gordana Miletic, Saro Urzì; La donnaccia (1963), altra produzione italo-francese, interamente girato a Cairano, con Dominique Boschero, Georges Riviere, Lucile Saint-Simon, Aldo Bufi Landi e un cameo di Giacomo Furia, amico di lunga data del regista; e l’anno successivo La vedovella, che vedeva tra gli autori del soggetto lo stesso Furia e il direttore di “CinemaSud” Camillo Marino, considerata la prima commedia sexy italiana: girato fra Tortora e Maratea, vedeva tra i protagonisti Peppino De Filippo, accanto alla stellina inglese Margaret Lee.

Due grandi attori della tradizione napoletana, Nino Taranto e Regina Bianchi, interpretarono un film memorabile per Castellammare, Operazione ricchezza (1967). L’anno prima Paolercio aveva contribuito al successo del docufilm La donna a Pompei, diretto da Oreste Tartaglione da un volume di Michele D’Avino, di recente digitalizzato grazie allo storico di cinema Luciano Cuomo con Andreita Galasso e presentato con successo al Mart di Rovereto e al Festival internazionale di cinema e archeologia di Firenze. Nel 1957, insieme a Piero Girace, Paolercio si era aggiudicato il “Premio Napoli” per la cinematografia con il documentario Viaggio ad Anacapri. Per questo e altri film realizzati per l’Istituto Luce Paolercio si meritò gli elogi, fra gli altri, di Federico Fellini, e sul finire degli anni Sessanta è stato in predicato di dirigere la fotografia per un film, poi non realizzato, di Vittorio De Sica.

Meno brillante fu l’ultima fase della sua carriera, quando Paolercio fu coinvolto nelle deludenti esperienze del decamerotico Donne e magia con Satanasso in compagnia (1973), di Roberto Bianchi Montero, e dell’instant-movie Apocalisse di un terremoto (1982), diretto da Sergio Pastore, con Ciro Sebastianelli e Stella Carnacina.

Domenico Paolercio (che vediamo anche nella foto di apertura) sul set de La donnaccia

Castellammare di Stabia, sua città di adozione, a Paolercio ha dedicato mostre, pubblicazioni, premi importanti e si appresta a ricordarlo (con Silvio Siano) nel 2025, in un evento al Cinema Montil. Nel paese natale, Andretta, il tributo a Paolercio fu associato nel 2018 alle iniziative per i cinquant’anni della scomparsa di Pasquale Stiso (1923-1968), il poeta-sindaco di cui era grande amico ed estimatore. In quell’occasione a Paolercio, con la partecipazione di familiari ed amici, fu dedicata una Mostra di foto di scena di alcuni film, promossa dal Comune in collaborazione con “Quaderni di Cinemasud”, il Premio fotografico “Werner Bischof – Il Flauto d’Argento”, fondato e diretto dal Renato Fischetti, e il Festival internazionale del film “Laceno d’Oro”, che anche nell’edizione appena conclusasi, al Cinema Eliseo, ha voluto ricordare Paolercio in sinergia con il “Premio Pasquale Stiso” (fondato e diretto da Carlo Tedeschi, Teresa Stiso e da chi scrive) proiettando una slide delle sue foto di scena più significative.

Le foto più ammirate riguardano La donnaccia, girato a Cairano nell’estate del 1963. Di quel film, come ha dichiarato in varie interviste e ribadito nei colloqui che ho avuto l’onore di condividere con lui, Paolercio conservava l’amarezza per le incomprensioni riscontrate ad Andretta, il paese natale suo e di Stiso, coautore del soggetto con Camillo Marino, dove la comunità locale (a differenza della vicina Cairano) non intuì l’importanza di una produzione cinematografica internazionale; gli restava tuttavia un ricordo vivo e gradito dell’ospitalità cairanese, della vita sul set, del rapporto con gli attori, e soprattutto dell’amicizia profonda per Stiso e Marino: “Il primo – raccontò al pubblicista stabiese Luigi M. Ferraro – era un brillante avvocato penalista, gran poeta e uomo di sinistra, votato alla giustizia sociale. Suicidatosi perché troppo sensibile alle problematiche umane, alle quali avrebbe voluto dare un grande apporto risolutivo, senza però considerarsene all’altezza. Il suo cruccio era quello di doversi servire della legge, per ragioni professionali, senza riuscire ad ottenere, ed esprimere la vera giustizia. Camillo Marino è un ottimo giornalista, critico dell’arte cinematografica e dell’arte in genere”.

Peppino De Filippo sul set de La vedovella

Un legame profondo, confermato dalla partecipazione attiva di Paolercio sia al “Laceno d’Oro”, di cui ci ha lasciato le foto più memorabili delle edizioni a Bagnoli Irpino (in primis quelle con Domenico Modugno nel 1961), sia alle iniziative per il recupero del film La donnaccia, nel 1997 e ’98 a Cairano. Per quel film, oggi importante documento antropologico ma all’epoca grande occasione mancata della filmografia sul Mezzogiorno, Paolercio rimpiangeva il mancato coinvolgimento in sede di sceneggiatura di Stiso, che a suo (fondato) giudizio avrebbe garantito un’impronta più realistica e sociale, in linea con il titolo originale del film: Il fronte delle terre.

L’eco della brillante vis poetica e civile di Stiso lo aveva accompagnato già l’anno precedente, sul set del film Un uomo da bruciare, diretto da Paolo e Vittorio Taviani, ispirato alla tragica vicenda del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale, ricordato da Carlo Levi in Le parole sono pietre. In quell’occasione Paolercio fece amicizia con il protagonista, Gian Maria Volontè, al quale volle leggere alcuni versi del sindaco-poeta, all’epoca quasi tutti inediti: “Volontè ne fu molto colpito – mi confidò Paolercio in un incontro a Castellammare – soprattutto dalla poesia Le donne del mio paese, e voleva conoscere Stiso. Ricordo che da Piazza Armerina, dove si girava il film, ci furono diversi colloqui telefonici tra Volontè e Stiso, ma non riuscirono mai ad incontrarsi”.

Prima che un brillante tecnico della fotografia, Paolercio è stato dunque un umanista, sensibile ai temi della cultura e impegnato per il riscatto del Sud, una realtà paesaggistica e sociale che con i suoi documentari ha contribuito a far conoscere, nella bellezza e nella miseria, e a rendere più poetica e viva.


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