Apoteòṡi secondo il dizionario Treccani: “Deificazione, elevazione di un mortale allo stato divino. In senso figurato celebrazione di una persona o di un fatto con lodi straordinarie, esaltazione, glorificazione”. C’è una ragione per questo incipit, solo al momento inspiegabile. Potrebbe introdurre un messaggio da consegnare ad Andrea Stroppa, giovane suddito italiano di Elon Musk, per evitare che il tycoon socio di Trump intacchi il suo patrimonio di miliardario numero degli States. Come? Presto detto. Potrebbe evitare di investire miliardi di dollari per finanziare la caccia a esseri viventi nel chissà dove dell’Universo, privandolo di questo capriccio da megalomane. Come? Semplice, un extraterrestre c’è già, è il superman italico (anche se nome e cognome hanno poco della lingua di Dante), caso raro di permanente concentrazione, qualità psicofisiche ‘disumane’, controllo totale del sistema nervoso, correttezza e lealtà, lucida intelligenza.
È l’identikit di Jannik Sinner, che da quando ha superato l’età post puberale siede stabilmente sul gradino più alto del podio, da winner seriale, da number one del tennis mondiale. I top ten del suo sport hanno provato a umanizzarlo, a interferire con la (fantasiosa) missione interspaziale di alieno alla scoperta di fatti e misfatti degli umani. Uno, ad uno, ha fallito l’intera élite del tennis: Nadal, Djokovic. Alcaraz, Medvedev e da ultimo il russo germanizzato Zverev, numero due del mondo. In preda allo sconcerto, come ha raccontato stamattina Sky, l’avversario di Sinner si è salvato dal rischio depression, trasformando l’amarezza per una sconfitta quasi umiliante in gratuita lezione di tennis, nell’ illusione di aver incamerato preziose indicazioni per il suo futuro. Sinner alza un altro trofeo da winner, incamera nel palmares anche questa vittoria su Zverev e il titolo dei prestigiosi Australian Open. Tre set da dominatore per Jannik, controllo perfetto di nervi, dell’’emotività, potenza, straordinaria mobilità di solito problematica per atleti alti più di un metro e novanta, colpi da maestro, intelligenza tattica, governo creativo di diritto, rovescio, volée, smash, lob, ‘palle corte’: 6/3-7/6-6/3 il punteggio perentorio di una finale a senso unico, impressionante la consapevolezza di dominatore, la calma olimpica di Sinner, la perfezione di atleta che davvero ha dell’extraterrestre.
Ecco il perché di “Apoteosi”, in attesa del responso sul presunto caso di doping che Jannik e il suo staff hanno screditato spiegando che la sostanza in discussione, a dosi irrilevanti, era stata utilizzata dal fisioterapista per curare una piccola ferita. Appena calato il sipario sulla finale degli Australian Open, Jannik si è avvicinato allo sconfitto, ha poggiato le mani sulle su spalle, lo ha confortato. Anche in questo Jannik è unico.
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