Ghiacci bollenti nella seconda era Trump, che tra pochi giorni viene ufficialmente varata.
Non si sono fatte attendere le prime reazioni da parte della Danimarca, di fatto ‘proprietaria’ della immensa Groenlandia, di fronte al progetto manifestato subito da The Donald di annetterla in tempi brevi ai suoi States; e, of course, dei vertici UE, che si sentono scippati di un loro (sic) territorio, o meglio, feudo.
Vediamo le ultime in arrivo da Copenaghen.
Il governo sta predisponendo un piano da 390 milioni di euro che dovranno essere utilizzati in alcune precise direzioni. In primis, rafforzare intelligence e sicurezza per proteggere al meglio gli oltre 2 milioni di superficie (per la precisione 2.170.000 chilometri quadrati, qualcosa di sterminato se paragonato agli appena 49 mila metri quadrati della stessa Danimarca). Verranno acquistate 2 navi per controllare tutta l’area artica. Non è finita certo qui: perché, poi, è previsto il potenziamento dell’aeroporto di Kangerlussuaq, una vecchia base militare USA nella Groenlandia occidentale, in cui verranno ospitati jet da combattimento F-35. Per monitorare la zona potranno dare un significativo contributo un bel po’ di droni a lungo raggio. Un pacchetto coi fiocchi!
C’è da vedere cosa succede della grossa base, sempre a stelle e strisce, di Thule (‘Thule Air Base’), in cui sono oggi installati sofisticati sistemi di difesa missilistica (ICMB), radar di allerta avanzata a disposizione del ‘North American Aerospace Defence Command’ (‘NORAD’), non poco strategici per la sicurezza spaziale.
Passiamo alle prime dichiarazioni a caldo dei protagonisti scesi subito in campo.
A proposito dell’annessione, gonfia il petto il tycoon nel suo primo discorso ufficiale del 2025: “E’ una cosa che deve succedere”. E si è chiesto, in modo per lui retorico: “In quale modo mai la Danimarca può provvedere nei prossimi tempi ad assicurare quegli investimenti necessari per rendere più redditizio e sicuro il futuro della Groenlandia? Per la Danimarca e l’Unione europea si tratta di spese insostenibili”.
E aggiunge in modo colorito: “Il popolo di quella terra è ‘Maga’ e trae solo benefici diventando parte della nostra nazione. Noi la proteggeremo e la custodiremo da un mondo esterno molto feroce. Renderemo la Groenlandia di nuovo grande”. Il riferimento è alle mire della Russia e soprattutto, of course, della Cina.
Tiene a sottolineare l’onnipresente Elon Musk: “Il popolo della Groenlandia deve decidere del proprio futuro e sono certo che voglia esser parte dell’America”.
Il primo ministro di Nuuk (la capitale), ossia Mute Egede, prende posizione: “la Groenlandia non è in vendita”, afferma cercando anche lui di gonfiare un po’ lui il petto. Ma il suo governo ha manifestato, nei mesi scorsi, di scalpitare soprattutto per l’indipendenza dalla Danimarca, e quindi dalla UE, visto che ha deciso di affrontare il tema di un referendum per l’autonomia da svolgersi entro il 2025. La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e la responsabile per gli Esteri, Kaja Kallas, sono avvertite…
Cerca di fare la voce grossa, dal canto suo, il ministro degli esteri del fresco e super instabile governo francese, Jean Noel Barrot: “La Groenlandia è un territorio dell’Unione europea. Non è concepibile che l’UE permetta ad altre nazioni al mondo, chiunque esse siano, di attaccare i nostri confini sovrani”. Una sovranità acquisita per diritto divino, par di capire. Ai confini della realtà.
L’idea tirata fuori dal cilindro trumpiano, comunque, non è nuova. Il tycoon, infatti, l’aveva già avanzata nel corso della prima presidenza, suscitando subito le ire dell’allora premier danese, Mette Frederiksen, che la bollò come “assurda”. Immediata la reazione di Trump che arrivò ad annullare una 2 giorni ufficiale a Copenaghen.
Come mai tanto interesse per la Groenlandia? Vari i motivi e praticamente tutti di carattere economico-commerciale e geostrategico.
Partiamo dalle rotte del commercio. Rotte sempre più praticabili e convenienti, visto che con l’innalzamento delle temperature i ghiacci tendono a sciogliersi man mano, e quindi le ‘vie’ di transito diventano maggiormente percorribili. Per fare un solo esempio pratico, la ‘linea’ Rotterdam-Shangai (Olanda-Cina, quindi) è da oltre 20 mila chilometri se effettuata passando per il canale di Suez, come oggi avviene con 8-10 giorni di viaggio; scende invece a 14 mila se si transita per la Groenlandia e le zone artiche. Enormi costi in meno, dunque.
Passiamo alle immense risorse naturali e, soprattutto, di materie essenziali, rare e non solo, per le odierne produzioni: uranio, petrolio, gas naturale, ma anche ferro, zinco, oro. Di tutto: maxi scrigno a cielo aperto. Un tesoro, quindi, che fa gola alle super potenze: con una ovvia non troppo singolar tenzone tra USA e Cina, UE e Russia ad occupare le secondo linee.
Per orientarci meglio tra ghiacci & business in Groenlandia e nell’Artico, sempre più bollenti, vi proponiamo la lettura di alcuni pezzi.
Dallo stimolante sito ‘NoGeoingegneria’, L’inestimabile tesoro sotto i ghiacci della Groenlandia
Da ‘Osservatorio Artico’ del 2 gennaio 2025 Tra Russia e Usa non c’è (ancora) partita nell’Artico
Da ‘Geopolitica.info’, messo in rete prima dell’idea di Trump, e quindi del 23 novembre 2024, La strategia americana nell’Artico
Infine, da ‘Politico’, del 9 gennaio 2025, il significativo The method in Trump’s Groenland Madness
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