Questo Natale sarà ricordato come il Natale dei bambini uccisi in guerra o morti in mare. Eppure, queste festività che dovevano celebrare il mito della famiglia perfetta, proprio come si vedono nelle pubblicità. Genitori uniti e bambini felici.
Ma così non è se si leggono giornali e riviste o se si ascoltando i dibattiti televisivi e gli accorati appelli del Papa. Troppe volte si sente parlare di bambini barbaramente uccisi in Palestina, per mano israeliana, nei disumani bombardamenti a tappeto o di civili uccisi sotto le fragili tende dei campi di accoglienza per profughi. Il conflitto tra israeliani e palestinesi, come quelli che si combattono nelle cosiddette guerre dimenticate.
Queste atrocità sembrano finalizzate a cancellare l’intera popolazione palestinese. I resoconti dei giornalisti quando descrivono queste guerre, cominciano sempre parlando del numero di bambini uccisi, e poi … solo poi, passano a raccontare dei morti totali, siano essi adulti, malati, donne o inermi civili. Di questi si parla meno, quasi a voler scandire una graduatoria dell’orrore. Ma perché ci colpiscono solo i bambini uccisi? È come se avessero valore solo alcune e altre fossero meno importanti. I morti in guerra sono sempre incolpevoli anche se, è vero, ma i bambini lo sono di più. Rappresentano l’aspetto peggiore dell’orrore di conflitti, sempre senza senso.
Ci chiediamo allora perché si parla tanto del dolore dei bambini? Forse perché quella disperazione costituisce il tratto comune alle guerre, come alle migrazioni per fame.
Parliamo qui di due casi che hanno recentemente occupato grandi spazi sulla stampa. Il primo è quello della bambina salvata in mare, sopravvissuta al naufragio di un barcone di migranti e trovata aggrappata da oltre tre giorni alla camera d’aria di una ruota, utilizzata da cinici scafisti come rudimentale salvagente. I suoi genitori, forse annegati nelle gelide acque “cimiteriali” di un mare, un tempo culla di civiltà diventato un immenso cimitero.
Negli stessi giorni leggiamo di quattro neonati morti di freddo nel giorno di Natale a Gaza, mentre dormivano con i loro genitori sotto le tende (altri due neonati moriranno nei giorni successivi). Queste sei piccole vittime si aggiungono agli oltre 17mila bambini, sui quasi 50.000 civili palestinesi, uccisi in Palestina dall’inizio del conflitto ad oggi.
In entrambi questi casi si racconta della disperazione più profonda, mentre i potenti della terra ostentano disinteresse e distanza. Solo papa Francesco fa sentire la sua voce e continua a invocare la pace ed a condannare le guerre nel mondo, assieme ad una società che diventa ogni giorno più egoista, cinica e spregiudicata.
La comunità umana continua a pensare che si possano risolvere con le armi tutte le controversie. In realtà si pensa a difendere il proprio interesse economico, senza nemmeno provare a praticare percorsi di pace. È come se la sola forza bruta potesse definire chi ha ragione. Si continuano così a difendere, acriticamente, gli interessi dei grandi produttori di armi, fingendo di non capire che, poi, queste armi ammassate negli arsenali dovranno trovare nuovi mercati. Il motivo è che questa ricca industria delle armi contribuisce a far crescere il PIL dei paesi le producono. Sono loro che determinano governi e li finanziano alle elezioni con generose elargizioni di contributi.
Potremmo dire parafrasando lo stesso Vangelo che, proprio in occasione di queste festività, dovremmo così reinterpretare le scritture “… quando ho avuto fame, mi avete nutrito (leggi: mi avete lasciato prigioniero su una nave a marcire); quando sono stato un forestiero (leggi: quando sono stato un migrante), mi avete accolto (leggi: mi avete deportato in Albania)“.
Le guerre sono considerate necessarie e qualcuno addirittura pensa che siano giuste e da combattere, e questo accade perché gli orrori che contengono sono trattati alla stregua di effetti collaterali … quindi causali e moralmente innocenti.
Nel mondo milioni di minori sono coinvolti nei conflitti armati. In tanti sono feriti, uccisi, separati dalle famiglie e costretti ad assistere alle peggiori scene di violenza. Rapimenti, stupri e il loro stesso sfruttamento come soldati o, sarebbe meglio dire, come carne da macello. Questa è la motivazione che li costringe ad abbandonare la loro casa, che distrugge le loro scuole e i centri sanitari, che sconquassa l’ambiente che invece dovrebbe proteggerli. Senza contare che poi per anni, dopo la fine del conflitto, i bambini soffrono di ferite psichiche, di cattivo sostentamento e della mancanza di prospettive di vita, con un pericolo costante dovuto alle mine antiuomo ed alle munizioni inesplose che rimangono lì, in agguato, per sempre.
Quei bambini che diventano soldati sono costretti ad uccidere. Molti di questi smarriscono il contatto con le loro famiglie di origine per anni. Restano soli e traumatizzati, ma poi, semmai tornano a casa, non riescono più ad integrarsi. Spesso le loro famiglie e le loro case sono state devastate dai bombardamenti.
Hanno subito violenze anche sessuali e, a volte, sotto gli occhi dei loro cari, che poi sono stati massacrati. Chi conduce questo tipo di guerre mira a distruggere intere comunità.
Se non è un genocidio questo, diteci voi cos’è.
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