IL SUD DI FRANCESCO ROSI, DA MONTELEPRE A EBOLI

Il 10 gennaio 2025 ricorre il decimo anniversario della scomparsa di Francesco Rosi. Per ricordare un protagonista del cinema italiano, e regista di impegno civile tra i più apprezzati nel mondo, “CinemaSud” ristamperà il volume Oltre Eboli. Da Carlo Levi a Francesco Rosi, edito nel 2022 a cura di Orio Caldiron e Paolo Speranza.

Per gentile concessione dell’editore, dal volume pubblichiamo un breve estratto del saggio di Paolo Speranza Rosi secondo il Sud.

Una scena da “le mani sulla città”. In apertura un particolare dalla copertina del libro

 

Il successo del suo film più famoso, Le mani sulla città, Leone d’Oro a Venezia nel 1963 e applaudito in tutto il mondo, non bastò a evitare a Francesco Rosi una lunga coda di polemiche, soprattutto nella sua Napoli, e non soltanto – com’era inevitabile – da parte dell’establishment politico-affaristico legato al sindaco monarchico Achille Lauro ma persino da alcuni settori della Napoli progressista.

Tutt’altra accoglienza aveva ricevuto l’anno precedente, in Sicilia e nella stessa Napoli, un film non meno difficile e potenzialmente “urticante” come Salvatore Giuliano. Quantomeno, come era lecito attendersi, nell’area progressista. A Palermo e nell’isola, fin dall’anteprima privata nel novembre del ’61, il film aveva entusiasmato sia il pubblico che i militanti politici e gli intellettuali schierati contro la mafia. “Se dovessi definire con un solo aggettivo il bellissimo film di Rosi Salvatore Giuliano direi che questa è un’opera giusta. È giusta sia sul piano poetico, ed è giusta sia sul piano della realtà e della sua interpretazione”, scrive Carlo Levi sul quotidiano “L’ora” di Palermo.

La copertina di Cinemasud sul film di Rosi “Salvatore Giuliano”

“Il fascino delle cose vere” è il titolo del forum su Salvatore Giuliano con cui “La Fiera del Cinema”, nel marzo del ’62, si fa portavoce del consenso unanime della critica. “Una sintesi fantastica e drammatica che ci spinge, oltre la cronaca, nel cuore stesso delle ragioni storiche, sociali, politiche e umane che l’hanno determinate”, afferma nel dibattito Antonello Trombadori, critico di “Vie Nuove” ed esponente di punta della cultura marxista. Mentre Di Giammatteo, curatore della rubrica di cinema del terzo programma radiofonico, vede in Salvatore Giuliano una innovazione estetica addirittura epocale per il cinema italiano: “La sua ispirazione è nata da un lungo e sempre più stretto contatto con la realtà”, superando in questo modo sia il Neorealismo “classico” di matrice zavattiniana, che secondo Di Giammatteo partiva non dalla realtà ma da una storia precostituita, e soprattutto la tradizione crociana, ricorrendo a un metodo di indagine scientifico e “sul campo”, precedente e funzionale all’atto creativo.

L’elemento di maggior interesse del forum è costituito dall’accoglienza riservata al film dal popolo siciliano, documentata su “La Fiera del Cinema” (all’epoca la rivista di settore a più alta tiratura) da alcune fotografie e dalla testimonianza del regista sui sopralluoghi effettuati a Montelepre, il paese del celebre bandito, e a Castelvetrano: “A Montelepre – dichiara Rosi – sono arrivato, ho girato per il paese prima da solo, poi con uno sceneggiatore, poi con l’aiuto regista. La gente mi guardava incuriosita e sospettosa, s’affacciava alle finestre, mi scrutava. Poi, alla vigilia delle prime riprese del film, mi hanno fatto un interrogatorio pubblico. Tutto il consiglio comunale, clero, tenente dei carabinieri, tutti quanti. La loro preoccupazione era solo quella di essere rappresentati nella luce giusta. Naturalmente non potevo rassicurarli, non potevo dire: non dubitate, farò vedere quanto siete stati maltrattati. Ho detto solo: state tranquilli perché mi vedrete lavorare sotto i vostri occhi e mi potrete controllare. Essi mi hanno visto lavorare e girare le scene nelle strade e far rivivere quello che era successo quindici anni prima: perché ho fatto una ricerca da pedante in questo. Sulle prime c’era soltanto molta curiosità in loro, poi piano piano venivano a dirmi delle cose, ad applaudirmi; dai balconi uno gridava: ‘È vero, è vero, era così!’. È stata un’esperienza formidabile”.

Altrettanto particolare fu l’esperienza della proiezione a Montelepre, a cui il regista volle assistere di persona dopo la trionfale accoglienza del film a Palermo. Assiepati nel salone cittadino, i conterranei di Giuliano tributarono al film un consenso inusuale, all’insegna dell’understatement, ma forse – considerando la mentalità collettiva dell’epoca – ancora più significativo. “Il silenzio di Montelepre”, titolò nell’aprile del ’62 “Realtà del Mezzogiorno”, mensile di area democristiana, nell’articolo a firma di Natale Tedesco, che riconosce (a denti stretti) al film un indubbio valore estetico ma ne sottolinea – alla stregua degli intellettuali di sinistra rispetto al personaggio di De Vita in Le mani della città – il deficit di approfondimento psicologico dei personaggi, che finisce per conferire a Salvatore Giuliano, afferma Tedesco, il tono di un documentario più che di un film a soggetto.

Anche in questo caso, è nella pubblicistica meridionale che emergono le voci più critiche sul cinema di Rosi. Nel caso di “Realtà del Mezzogiorno” si trattò tuttavia di un caso isolato, in un panorama critico segnato da un apprezzamento unanime e convinto per Salvatore Giuliano, anche da parte di critici severi come Giuseppe Marotta e Mario Soldati, dei teorici francesi George Sadoul e Jean Gili, fino all’ampio articolo su “Cine Cubano” (febbraio 1964) di Julio Garcia Espinosa, il regista e teorico più autorevole del nuovo cinema latinoamericano, in cui il cinema di Rosi è paragonato all’arte teatrale di Brecht.

La cover di “Oltre Eboli”

Qualche settimana dopo il difficile “esame” a Montelepre, anche Napoli tributò un consenso convinto al film, suggellato nel partecipato dibattito al Circolo di cultura “Francesco De Sanctis”, il 7 aprile del ’62, alla presenza del regista, del critico di “Mondo operaio” Pio Baldelli e del vicepresidente dell’assemblea regionale siciliana Pompeo Colajanni. Fu quest’ultimo (riporta “Cronache Meridionali”) a sottolineare il valore politico del film, esprimendo gratitudine a Rosi “per l’amore verso la Sicilia ed i suoi abitanti che gli ha ispirato il film” e attestando, da conoscitore profondo delle vicende siciliane, la fedeltà del film alla situazione storica e la sua notevole risonanza, rispetto ai problemi della mafia e del malgoverno, nell’opinione pubblica nazionale.

Sul set di Salvatore Giuliano, intanto, si era materializzato l’incontro tra Rosi e Carlo Levi che avrebbe ispirato al regista, diciotto anni dopo, un film tratto da Cristo si è fermato a Eboli, il best seller mondiale sulle condizioni del Mezzogiorno italiano.


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