Meglio dopo che prima?

Ci piacerebbe tornare bambini, magari conservando il patrimonio delle esperienze, degli errori, delle omissioni accumulate, e godere del mondo incantato delle fiabe inventate dal mitico Gianni Rodari, dai fratelli Grimm, dai narratori per l’infanzia di storie da ninna nanna che iniziano con il rituale “C’era una volta” e che per note motivazioni, in questo tempo del pianeta Terra malato di ingiustizia, non si concludono con l’hollywoodiano “e vissero felici e contenti”. Conclusa la fantasia del tuffo a ritroso, all’età delle favole, per avviare una riflessione sull’attualità non resta che il loro incipit, “C’era una volta…”.

Per chi soffre di deficit della memoria viene in aiuto il ricordo del “buongiorno” della politica all’anno che subentra al precedente e per quanto ci riguarda, al 2025. Auguri, promesse, progetti, iniziative, annuncio di eventi: sono titoli e sottotitoli del messaggio della presidenza del consiglio e, certo, l’incognita sulla credibilità degli impegni enunciati. C’era una volta, ovvero il verbo essere coniugato al passato perché la signorina presidentessa del nostro governo del nulla ha deciso di negarsi a fine anno, ha comunicato agli italiani e in particolare al mondo dell’informazione che il messaggio è rinviato e i giornalisti ancora una volta saranno privati del diritto a tempo debito di porre domande alla reticente “Yo soy Giorgia”. Questo forse lo ricorderete, concluse un incontro negli Stati Uniti al massimo livello istituzionale con la farsa irrispettosa di una finta conferenza stampa, in pratica con un suo breve monologo e ‘via’, senza concedersi alle domande degli inviati. Dunque la borgatara è replicante dello sgarbo. Annulla senza uno straccio di motivazione il confronto tradizionale stampa-potere di fine anno al 9 gennaio, quando il 2025 avrà già consumato una decina dei suoi giorni e pare un po’ difficile chiamarla ancora così. A questo punto un nostro vuoto di memoria. La tradizione non è stata rispettata dalla sorella d’Italia neppure un anno fa, ovvero ne ha un’idea molto personale.

Un anno fa le date del 21 e del 28 dicembre slittarono al 4 gennaio. Palazzo Chigi tace, sul sito della presidenza del Consiglio non è indicato neppure l’appuntamento e Matteo Renzi, impertinente leader d’ Italia Viva, assume il ruolo di contestatore: “Nel 2024 la Meloni ha fatto meno conferenze stampa di Vladimir Putin. È un dato molto negativo per l’informazione italiana e nessuno protesta. Non sono chiari i motivi di questo rinvio: cosa ha da fare di così fondamentale in questi giorni per evitare l’incontro con la stampa come hanno fatto tutti i premier che l’hanno preceduta? nulla lascia intendere che l’influenza sia il motivo dello slittamento, anche perché la data del post-Befana è stata fissata ben prima delle Feste, il 16 dicembre”. Infierisce Bonifazi, fedelissimo di Renzi: “Tocchi e ritocchi?”. Si direbbe l’interrogativo alluda a presunti interventi estetici a cui Giorgia si sottoporrebbe prima di affrontare la conferenza stampa e il nuovo anno al potere, ma forse è solo una maligna provocazione.


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