Si avvicina un Natale amaro per i tanti giornalisti ridotti in schiavitù da sentenze della magistratura immotivate ed ingiuste, sol perché facendo fino in fondo il loro dovere hanno toccato interessi di potenti che dovevano restare occulti.
Nel libro “La Repubblica delle Toghe” di Rita Pennarola c’è un capitolo intitolato “Giornalisti: fine pena mai”. Vi si documenta, fra le altre, la storia di quel giornalista che, dopo aver pubblicato un articolo in cui si dimostrava che negli anni ’90 il nome di un certo magistrato era incluso negli elenchi della Massoneria sequestrato a Palmi e pur avendo lo stesso Agostino Cordova confermato la circostanza in dibattimento, a distanza di vent’anni e passa sta ancora pagando con i miseri mezzi di sussistenza per quella pubblicazione.
Le storie di analoghe vie crucis sono tante, raccontate nel libro anche per onorare le vittime di questa barbarie, giornalisti coraggiosi che per vicende analoghe ci hanno rimesso la vita.
Ricordate la cartellina azzurra mostrata orgogliosamente in TV da Pier Camillo Davigo con la scritta ben in evidenza “Per una serena vecchiaia”, in riferimento ai risarcimenti danni estorti ai giornalisti in sede penale o civile? Beh oggi Davigo, condannato anche in Cassazione (ma senza conseguenze sulla super pensione, per quanto ne sappiamo) ha fatto da capro espiatorio, ma tanti suoi colleghi continuano e continueranno ad influenzare i magistrati delle corti chiamate a decidere sulle presunte diffamazioni, non fosse altro che per la loro eburnea intoccabilità.
NUOVO CODICE DEONTOLOGICO? FUFFA, VA CAMBIATO L’ART 104!
In questo clima oggi l’Ordine Nazionale dei Giornalisti proclama di aver approvato un nuovo Codice deontologico per la professione. L’annuncio, finché non cambieranno le norme in materia di diffamazione, suona come l’ennesima beffa. Perché una concreta volontà di cambiarle non c’è mai stata. E comunque il nodo centrale resta a monte.
Come abbiamo già ampiamente documentato ai lettori della Voce, nel libro di Pennarola è spiegato che solo modificando l’articolo 104 della Costituzione sulla composizione del CSM, sarà possibile un giorno – se mai lo vedremo – ripristinare la democrazia nel nostro Paese, anche quella dell’informazione, andata perduta per il dilagare del Potere Giudiziario sugli altri due.
In nessun Paese civile, infatti, l’organo chiamato a giudicare sull’operato dei magistrati vede la maggioranza degli stessi togati per due terzi, a fronte dell’inutile e figurativo terzo dei laici. Nel libro trovate l’analisi comparativa, c’è il confronto con le altre Nazioni, c’è l’impressionante report sulle conseguenze che tutto ciò comporta sull’economia, sul giornalismo, sulla tenuta sociale.
Dentro questo autentico abisso di democrazia si cala l’iniziativa – sacrosanta – di istituire una Giornata in memoria delle vittime di errori giudiziari che, appena ventilata, ha suscitato immediatamente le ire dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ma la meritoria Fondazione Luigi Einaudi insiste: «Se non lo farà il Parlamento, saremo noi a lanciare una grande iniziativa ogni 17 giugno» e «l’ANM se ne farà una ragione».
E sono pronte a dare battaglia altre sigle in prima linea per la difesa delle vittime, a cominciare da Progetto Innocenti, capitanata dal penalista Baldassarre Lauria.
Va detto intanto che il termine “errori giudiziari”, benché utile a rappresentare il problema, è in qualche modo fuorviante, giacché molto spesso non di errori si tratta, bensì di sentenze combinate a tavolino e poi qualche volta (non sempre) smascherate nei successivi gradi di giudizio.
Ma ciò che serve in questo momento, per chiarire i termini reali dello scontro, è l’impietoso, agghiacciante resoconto sul numero di queste vittime vittime. Ce lo fornisce puntualmente il deputato Enrico Costa che, con i suoi post su X, ma soprattutto con le coraggiose battaglie parlamentari, rappresenta un indiscusso baluardo in difesa dei principi chiave del Diritto, “regolarmente” violati.
LA CONTA DELLE VITTIME
Nel solo periodo 2018-2023 gli innocenti in custodia cautelare, riconosciuti come tali, sono stati 4.368. Un esercito dolente di uomini e donne, a fronte dei quali noi, in quanto Stato, abbiamo pagato risarcimenti per oltre 193 milioni di euro. Irrisorie le conseguenze per i magistrati che avevano “sbagliato”: sulle appena 87 azioni disciplinari avviate, i non luogo a procedere sono stati 44, le assoluzioni 27, 8 le blande censure ed un solo trasferimento.
Tutto a posto (per loro). Ma c’è di peggio. Seguendo ancora Costa apprendiamo che delle quasi 100mila persone arrestate ingiustamente dal 1992 ad oggi, solo 30mila hanno ottenuto il risarcimento. Le Corti infatti hanno respinto oltre il 70% delle domande con la motivazione che l’arrestato avrebbe concorso all’errore del magistrato.
In tema di “errori” giudiziari, chiudiamo riportando un toccante, rigoroso brano dall’articolo che Mattia Feltri ha pubblicato sulla Stampa. Ha per titolo: “Un dente solo”.
“Tutti ci siamo immaginati, credo, i decenni dell’innocente recluso, ma pochi, temo, i mesi dell’innocente tornato libero. Quando lo hanno arrestato aveva 26 anni, una casa, un lavoro, un reddito e tutti i denti. Quando lo hanno liberato aveva 59 anni, niente casa, niente lavoro, niente reddito e un dente solo. Se non mi avesse aiutato mia sorella, ha detto, avrei dovuto rubare. Nella nostra idea di giustizia, di politica e di comunità, può succedere che si prenda un uomo, lo si condanni ingiustamente, gli si tolga il tempo migliore della vita, la casa, il lavoro, tutto, anche i denti e poi gli si dica: abbiamo sbagliato, arrivederci. E se non ha più nulla, s’arrangi”.
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