La politica sfregiata

Ad ogni tornata elettorale, prima ancora di ragionare sull’esito politico del voto, la guerriglia tra schieramenti ‘nemici’ si nutre di erudite o sommarie, superficiali o approfondite analisi, sulle percentuali di italiani disertori delle urne, che hanno rimosso dalla memoria i tempi remoti in cui l’astensionismo era segnalato come un reato di pigrizia disfattista, commesso da renitenti all’appello convinti del qualunquista “non serve a niente il voto, sono tutti uguali”. La destrutturato diserzione, elezione dopo elezione ha assunto la dimensione del default di un destrutturato partitismo, è sfociato in ambigue dissertazioni sul danno arrecato agli opposti competitors. Destra e sinistra, addebitano le sconfitte alternate ai propri assenti all’appello “vota Antonio, vota Antonio” e la subiscono passivamente, mentre nulla cambia della frattura partiti-società del disagio, ma non è il peggio per i mestieranti della politica. Contributi rilevanti all’idiosincrasia per il voto li propone la  complessa, tsunamica ondata di comunicazioni dei media avvelenati dall’odio, da modelli di aggressività che nel caso più moderato è rappresentata da titoli e articoli al vetriolo della ’carta stampata’, e all’eccesso dal caos televisivo di urla scomposte, da odio reciproco, insulti, parolacce, ingiurie da querela. Le conseguenze confluiscono nel calderone indistinto delle lamentazioni degli uni e degli altri. Fosse oggetto di consapevolezza dei politici, il problema indurrebbe i responsabili ad affidare il rinsavimento, come accadeva nel Pci, all’analisi severa dei ‘probiviri’, al prestigio della loro autorevolezza che reprimeva ogni deroga alla correttezza.

Da decenni è drammaticamente corposa a lista dei comportamenti off limits che contribuiscono alla disaffezione degli italiani per le  cicliche opportunità di partecipare alle scelte programmatiche dei partiti, di chi è investito della responsabilità di realizzarle. In Parlamento, nelle pagine di quotidiani e settimanali, nella cloaca pseudo informativa di talk show televisivi in video dall’alba alle ‘ore piccole’ della notte, si moltiplicano i casi di aggressioni verbali da querela e non risparmiano nessuno. Solo oggi, le news raccontano la condanna del giornalista Minzolini, a suo tempo berlusconiano da “Meno male che Silvio c’è”,  per aver definito l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi “incapace, ignorante, demente”. Bersani, uno dei saggi del Pd, è stato querelato da Vannacci, citato con l’aggettivo “coglione”. Vannacci: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione. La campionessa Paola Egonu (nera, nazionale italiana pallavolo)? I suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. Tale Capezzone, volubile funambolo del ‘salto della quaglia’, da segretario del partito radicale, a direttore editoriale di “Libero”, quotidiano della destra meloniana, a “24 di sera”, programma Mediaset pro Fratelli d’Italia, ha c commentato l’ignobile provocazione dell’estrema destra, delle camicie nere spedite per provocare a Bologna per provocare, città ferita dall’orrenda strage nazifascista della stazione: “Visto che è successo a Bologna, cosa alla Sapienza con i teppisti di sinistra?” Non in linea con la saggezza da capelli bianchi di un nobiluomo, di giornalista colto qual è Corrado Augias. Nel corso di un’intervista di Floris (per “di martedì”) ha denunciato incoerenze e inadeguatezza del ministro della Giustizia. Giudizio ineccepibile, ma Augias ha mimato  Nordio con il gomito di Nordio alzato, postura di chi sparla per aver ecceduto nel bere (e non acqua fresca). Errore? Errore. Di che meravigliarsi se vota il 50 percento degli italiani, se gossip, chiacchiere, litigi sono il sale della politica?


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