L’estenuante telenovela griffata ‘ITA’, a quanto pare, è terminata: nel modo peggiore possibile. Ossia con una autentica svendita della nostra un tempo gloriosa compagnia di bandiera ‘Alitalia’, man mano finita a rotoli perché totalmente disamministrata e lasciata in balia del vento.
Adesso il ‘pacco’, il super saldo addirittura al di sotto di 1 miliardo d’euro sborsati dalla tedesca ‘Lufthansa’ per aggiudicarsi il 49 per cento delle azioni: per la precisone 829 milioni.
Per la serie: mezza ITA vale molto meno di un’Inter o di un Milan, passate di mano negli ultimi 3 anni per oltre 1 miliardo di euro. Restando in campo calcistico, a questo punto bastano Vinicius, Mbappè & Bellingham, il trio d’attacco del Real Madrid, per comprarla.
Entro il 2033 l’operazione verrà completata: prima passando al 90 per cento e poi facendo il pieno col 10 per cento residuo entro 9 anni.
Una bella operazione messa a segno dalle eruttanti menti del nostro MEF, capitanato dal leghista Giancarlo Giorgetti, il quale raccoglie gli spiccioli per una compagnia che – pur con tutte le traversie e i ‘buchi’ degli ultimi anni – ha fatto la nostra storia. E un asset strategico per il volo in Europa e certo non solo.
Una miseria per la sempre più fallimentare gestione delle casse ‘patrie’ (ma non erano sovranisti lorsignori?) e la sciagurata gestione delle nostre Entrate, dove le palate di miliardi evasi restano sempre una chimera, mentre le condizioni economiche e sociali del Paese sono solo lacrime e sangue. E chissenefrega, poi, se 5000 lavoratori di ITA sono sbattuti per strada. Ma ogni cosa funziona, l’occupazione vola, tutti gli indicatori sono positivi per la nostra ‘Giorgia’ nazionale!
Un merito va pur riconosciuto al prode Giorgetti: aver resistito come una roccia all’ulteriore sconto richiesto dai tedeschi, che di tutta evidenza si erano accorti della vacca, pur magra, da mungere, 800 per far cifra tonda.
Poveri noi, a che livello ci siamo ridotti, l’ultima ruota del carro. E pensare che in Germania non se la passano certo bene: governo in crisi (si voterà a marzo), economia a picco (il colosso ‘Volkswagen’ chiude alcuni suoi stabilimenti), insomma la locomotiva d’Europa è in panne che peggio non si può. E pur in queste condizioni, come un avvoltoio, vola in picchiata sulla nostra carcassa…
Con un occhio ai prezzi, passiamo all’altra operazione del giorno che vede sotto i riflettori la più antica banca di casa nostra, ma anche la più sforacchiata, la più miracolata dalle poderose iniezioni di denaro pubblico e la più chiacchierata dell’ultimo quindicennio per i gialli (un esempio su tutti, l’omicidio, perché tale è, di David Rossi 11 anni fa, il responsabile delle comunicazioni). Stiamo parlando, ormai l’avrete capito, del ‘Monte dei Paschi di Siena’.
Che prosegue sulla strada della privatizzazione, con il 15 per cento appena ‘venduto’ (o anche in questo caso svenduto) dall’ineffabile MEF, che evidentemente ha urgentissimo bisogno di far cassa, anche se in questo modo racimola, come detto per ITA, solo gli spiccioli.
Qui forse va un po’ meno peggio, stando alle cifre ufficiali, visto che quel 15 per cento è stato valutato 1 miliardo e 100 milioni di euro. E almeno i soldi non vanno all’estero.
Ecco la ripartizione della quota MPS tra i golosi acquirenti: la fetta maggiore, pari al 5 per cento, va al sempre più emergente BPM. Altre due fette sono del 3,5 e prendono la direzione di due gruppi ‘storici’ del capitalismo di casa nostra: una, infatti, a ‘Delfin’, la holding della famiglia Del Vecchio; l’altra al non meno noto gruppo Caltagirone. La rimanente quota del 3 per cento, infine, ad ‘ANIMA’, una Sgr già proprietaria dell’1 per cento
Eccoci all’intricato risiko. Francesco Gaetano Caltagirone & C. sono al tempo stesso soci di ‘Anima’ e di Banco BPM.
Delfin è uno dei soci di maggior peso, con il suo 2,6 per cento, nel ventre del colosso nostrano ‘Unicredit’.
Insieme, poi, gruppo del Vecchio e gruppo Caltagirone sono primattori nelle lussuose compagini azionarie di ‘Mediobanca’, il salotto buono della finanza, e di ‘Generali’, la prima compagnia assicurativa del Belpaese.
Passiamo alla coppia più bella del mondo: almeno nel delicato campo del credito.
A meno di imprevisti, infatti, ad ore è prevista la nomina di Debora Miccio per la poltrona di amministratore delegato dell’‘Istituto per il Credito Sportivo e Culturale’, la banca che si occupa statutariamente di finanziare le strutture sportive nostrane e che dal 2005 ha ampliato la sua sfera d’azione anche al settore delle attività culturali. Da non poco.
E sapete qual è il suo principale sponsor? Il gentile consorte, Fabrizio Minotti, una vita nel mondo del credito e fresco amministratore delegato (è stato nominato ad aprile scorso) dello strategico ‘Medio Credito Centrale’, presieduto da Ferruccio Ferrante: una sigla che merita uno spazio in più visto il suo alacre impegno per tirar su le sorti del sempre bistrattato Mezzogiorno.
Nel 2011 MCC è stato acquistato, al 100 per cento, dalle sempre più onnivore ‘Poste Italiane’ ed è diventato ‘Banco del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale spa’. Sei anni dopo, nel 2017 un altro passaggio, sempre al 100 per cento: stavolta a comprare è l’altrettanto onnivora ‘Invitalia’, la sigla che dovrebbe contribuire allo sviluppo delle regioni meridionali. Presidente d’Invitalia è Rocco Sabelli, mentre al timone, come amministrare delegato, c’è Bernardo Mattarella, figlio del Presidente della Repubblica. Una delle più recenti operazioni griffate Invitalia è il maxi finanziamento (1 miliardo e 200 milioni di euro) per l’eterno (e mai decollato, dal 1992, anzi denso di sperperi arcimilionari passati lisci come l’olio) ‘sviluppo’ (sic) di Bagnoli. Operazione benedetta dalla premier Giorgia Meloni, dall’ex ministro Raffaele Fitto in angosciosa attesa della super-poltrona UE, e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi.
Folto l’elenco delle controllate di Invitalia: oltre ad ‘MCC’, gli interi pacchetti azionari di ‘Infratel’, ‘Italia Turismo spa’, ‘DRI Italia spa’ (energia), ‘Invitalia Partecipazioni spa’.
Dal canto suo il potente Minotti è ex senior manager del sempre emergente BPM, ex direttore generale del ‘Banco Popolare di Verona’, nonché della ‘Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno’.
Dimenticavamo un dettaglio. E’ di provata fede leghista. Come del resto l’altro sponsor che conta, il sottosegretario (del Carroccio) al MEF Federico Freni.
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