Ricordate le memorabili ‘Canterbury Tales’ firmate da uno dei più fantasiosi scrittori in terra d’Albione, Geoffrey Chaucer, il Boccaccio britannico tradotto in splendide immagini cinematografiche da Pier Paolo Pasolini?
Ebbene, quel piccante (ma molto più tragico) copione emerge in queste ore con le fresche dimissioni dell’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, appena 68 anni, il prelato maximo della Chiesa anglicana, il numero uno dal 2013 e destinato e rimanervi per altri due anni. Invece l’improvviso, ma non imprevisto, abbandono dello scranno ‘pastorale’.
Praticamente snobbato dai media occidentali, quasi silenziato, il giallo in super tonaca. Incredibile ma vero.
Presto detto il motivo di quelle dimissioni. Solo pochi giorni fa è cominciato a circolare l’esplosivo contenuto di un ‘Rapporto’ redatto da Keith Markin, ex direttore dei Servizi sociali inglesi. Un lavoro lungo, certosino che descrive gli “abomini” perpetrati per decine d’anni e tenuti “nascosti” dai vertici della Chiesa.
La goccia che ha fatto traboccare il classico vaso è stato, ore fa, l’ultimatum posto da Helen Ann Hartley, il vescovo donna di Newcastle, che ne ha chiesto senza mezzi termini le dimissioni.
In tempo quasi reale la risposta recapitata da don Giustino Welby: “E’ molto chiaro che devo assumermi la responsabilità personale e istituzionale per il lungo e traumatico periodo tra il 2013 e il 2024”. Ed ha aggiunto: “Spero che questa decisione chiarisca quanto la Chiesa d’Inghilterra comprenda la necessità di cambiamento e il nostro profondo impegno nel creare una Chiesa più sicura. Mente mi dimetto, lo faccio con dolore per tutte le vittime e i sopravvissuti agli abusi”.
Un’ammissione che più competa non si può. Welby afferma di aver subito chiesto il permesso di dimettersi a Re Carlo III, che sulla carta è il vero capo della Chiesta anglicana. A questo punto comincia la non poco anomala trafila per designare il successore: il compito di questa scelta ricade sulla ‘Crown Nomination Commission’ che deve sottoporre due nomi al premier britannico (il laburista Keir Starmer), il quale poi ‘consiglia’ a king Carlo.
Facciamo un passo indietro e andiamo a 7 anni fa, nel 2017. ‘Channel 4’, la stessa emittente che in questi giorni sta mandando in onda un’altra esplosiva trasmissione sulle ricchezze reali nascoste (come abbiamo documentato nella new di ieri), realizzò un vero scoop, confezionò un reportage al calor bianco, in cui venivano ricostruiti quei decenni di abusi, perpetrati su circa 130 ragazzi da un insigne avvocato della Chiesa, John Smith, abusi ben noti ai vertici di Canterbury ma sempre tenuti nascosti, ‘segreti’, sepolti sotto quintali di complicità e collusioni.
Dopo quella trasmissione Welby sostenne di non aver mai avuto “alcuna idea o sospetto di abuso” ma poi aggiunse, in modo non poco significativo e al tempo stesso contraddittorio: “personalmente non sono riuscito a garantire che le accuse venissero indagate in modo corretto”. E riconobbe di “non aver incontrato personalmente e rapidamente le vittime dopo che gli abusi erano stati svelati”. E da chi? Ma proprio dalla trasmissione di Channel 4. Che però, incredibilmente, non ebbe quegli esiti mediatici e, soprattutto, giudiziari che sarebbe stato più che lecito attendersi. Tutto finito sotto un’abbondante coltre di nebbia tipicamente britannica e di omertà.
Fino al ‘Rapporto Markin’, che finalmente arriva a far luce su fatti & misfatti sempre sepolti sotto un silenzio complice. E mortale: sia perché molti abusati sono passati a miglior vita (certo meglio di questa, almeno per loro), sia perché il carnefice, l’avvocato Smith, nel 2018 è morto in Sudafrica, uno dei paesi nei quali, oltre al Regno Unito, ha messo a segno i suoi luridi abusi.
A questo punto passiamo in rapida carrellata i passaggi salienti del bollente rapporto, un vero tsunami sulla potente Chiesa anglicana.
Nel ponderoso fascicolo viene precisato e documentato che “per quattro decenni John Smith è stato il più prolifico abusatore seriale associato alla Chiesa d’Inghilterra, operando in tre diversi paesi dove ha inflitto aggressioni fisiche, sessuali e psicologiche a circa 130 persone”.
“Nonostante gli sforzi di alcuni individui per portare gli abusi all’attenzione delle autorità, le risposte della Chiesta d’Inghilterra e di altri sono state del tutti inefficaci e hanno rappresentato una vera e propria copertura”.
“Welby ha affermato nel 2017 di aver incontrato Smith ma di non essere un suo caro amico”.
“Smith convinceva i suoi ragazzi che la via per Cristo passa attraverso la sofferenza, e poi li sottoponeva ad attacchi fisici, sessuali, psicologici e spirituali traumatici. L’impatto di quegli abusi è impossibile da valutare e ha segnato in modo permanente le vite delle sue vittime”.
Il Rapporto Markin sostiene di aver trovato “prove evidenti che gli abusi perpetrati da Smith nel Regno Unito erano stati insabbiati, minimizzati e tenuti ‘segreti’ almeno dal 1982, e forse anche prima”.
E il possente j’accuse: “La Chiesa d’Inghilterra era a conoscenza ai massimi livelli degli abusi almeno fin da luglio 2013 e Welby venne a sapere delle accuse contro Smith ad agosto 2013, appena nominato arcivescovo di Canterbury”.
Pesante come la il colonnato di San Pietro.
Ancora. Secondo il Rapporto Markin, Smith avrebbe potuto e dovuto essere denunciato alla polizia nell’estate 2013 “passo che avrebbe portato a una indagine completa, alla scoperta della natura seriale degli abusi, alla possibilità di processarlo e infliggergli la dovuta condanna per le atrocità commesse”. Invece niente, ed è stato libero di abusare fino a che il Signore non gli ha chiuso gli occhi.
Oggi è la volta del complice Welby: se non era un ‘amico’ perché l’ha fatto?
Ai posteri l’ardua sentenza.
P.S. Se non l’avete già visto, vi consigliamo il film ‘I Due Papi’, interpretato in modo magistrale da Anthony Hopkins nei panni di Ratzinger e da Vincent Price in quelli di Bergoglio. Imperdibile.
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